TM   Febbraio 2025

Multipli di Trump

Dopo mesi di attesa, finalmente il passaggio di testimone alla Casa Bianca, con un po’ di chiarezza in dote. Cosa succederà nei prossimi mesi? Dipende, ma ci sono analogie con i ’70. L’analisi di Michele De Michelis, Responsabile investimenti di Frame Am.

Michele De Michelis

di Michele De Michelis

Responsabile investimenti di Frame Asset Management

Ecco finalmente il tanto atteso momento dell’insediamento di Trump. Ora sarà davvero possibile capirne le reali intenzioni. Da quando è stato eletto, infatti, non si è fatto altro che assistere a capovolgimenti di umore sul mercato azionario americano, che hanno portato l’indice a muoversi in un  trading range tra 5800 e 6100 punti.

Gli operatori del mercato obbligazionario, invece, hanno avuto le idee molto più chiare , portando il rendimento del decennale americano intorno ad area 4,8%, molto vicino al livello del 5% che viene considerato una sorta di ‘Linea Maginot’ e che già nel 2023 aveva saputo respingere gli attacchi dei falchi.

Anche il dollaro ha mostrato i muscoli, andando a scambiare contro l’euro, seppur per poco tempo, sotto 1.02, offrendo un chiaro segnale sulla forza dell’economia americana rispetto a quella del Vecchio Continente. Ma cos’è che gli investitori si aspettano e temono allo stesso tempo da questo controverso ma sicuramente iconico Presidente?

Partendo dagli aspetti positivi, ovviamente il desiderio che tutti hanno nel proprio intimo è quello di vedere un proseguimento delle politiche economiche (sia fiscali che monetarie) espansive che hanno alimentato i rialzi di Borsa degli ultimi otto anni, seppur intervallati da due bear market di discreta entità. Il problema è che queste politiche rischiano di far ripartire l’inflazione che la Fed stava praticamente sconfiggendo, ma che ultimamente, complice un mercato del lavoro ancora in salute, sta resistendo neanche fosse un gladiatore nella fossa con i leoni.

Inoltre, il neo eletto presidente non ha mai nascosto la volontà di inserire dazi all’importazione e di voler rimandare a casa i molti immigrati clandestini, mosse che però  potrebbero  avere l’effetto indesiderato di far aumentare i prezzi.

Nel 1973 la Fed per contrastare la spirale inflazionistica dovette alzare i tassi di interesse e la conseguenza fu il crollo delle Nifty/Fifty che, come sempre accade in certe situazioni, scesero molto di più di quello che era il loro valore intrinseco

È probabile invece che la Fed dal canto suo rimarrà molto più cauta e vorrà vedere gli impatti reali delle scelte del Governo sul ciclo economico. Del resto, già nell’ultima riunione di dicembre del Fomc si era detto che, dei quattro tagli previsti soltanto tre mesi prima, la stima per l’anno 2025 si era abbassata a due.

Ci sono dunque parecchi punti interrogativi per questi 12 mesi, che arriva dopo due anni fantastici per lo Standard & Poor’s che per effetto di questi rialzi oggi presenta dei multipli molto importanti, scambiando a circa 23x il livello degli utili attesi, non propriamente a buon mercato. Qual è il rischio che preoccupa di più? Proprio le valutazioni elevate, in particolare di quelle poche società che hanno guidato le performance dell’indice.

Non si contesta che non abbiano dimostrato di essere eccezionali in termini di redditività, ma solamente che a volte pagare un prezzo troppo alto per la qualità potrebbe non essere un affare. A tale proposito, viene in mente la storia delle cosiddette “Nifty/fifty” che andavano tantissimo di moda negli anni Sessanta e primi anni Settanta.

Un gruppo di cinquanta growth stocks che a quel tempo rappresentavano la crème de la crème delle società statunitensi. La lista annoverava società di eccellenza di ogni settore dell’economia americana come Coca-Cola, Polaroid, P&G e General Electric.

Questi titoli avevano elevati livelli di capitalizzazione ed erano considerati perfetti per i cassettisti perché tendevano a salire costantemente del tempo. L’estrema redditività di tali titoli in termini di capital gain li rese oggetto di continui e costanti acquisti da parte di investitori istituzionali. Per tale motivo, la consistente domanda spingeva in alto il valore dei titoli, creando quindi un circolo virtuoso che portava i prezzi a salire e più salivano più venivano richiesti.

La conseguenza fu un sensazionale incremento del P/E dei titoli; nel 1972 l’indice Standard & Poor’s 500 scambiava a un P/E di circa 19, mentre il valore medio riferito alle Nifty/Fifty era vicino a 42, con Polaroid a 90.

Nel 1973 la Fed per contrastare la spirale inflazionistica che aveva colpito  l’economia reale in seguito alla crisi petrolifera dovette alzare i tassi di interesse e la conseguenza fu il crollo dei corsi delle Nifty/Fifty che, come sempre accade in certe situazioni, scesero molto di più di quello che era il loro valore intrinseco.

Benché oggi i mercati siano diversi con maggiori protezioni rispetto al passato,  le similitudini con quel periodo ci sono.

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