Sono tante le asset class ad aver fatto bene da gennaio, ma una in particolare sta attirando l’attenzione di molti: l’oro. Tra gennaio e metà aprile, ma soprattutto da marzo, è infatti cresciuto di oltre il 14%. Gli si attribuiscono caratteristiche che lo rendono appetibile quando si realizzano determinate condizioni. La prima è che i tassi di interesse reali siano bassi, la seconda un dollaro debole, la terza è la percezione di un contesto rischioso, essendo il bene rifugio per eccellenza. Si parla però di ‘mistero’ laddove tutte le condizioni sono opposte: il dollaro è forte, i tassi reali americani sono in crescita e la percezione del rischio è relativamente bassa. Eppure continua a salire.
I recenti dati relativi al mercato del lavoro e alle vendite al dettaglio hanno ulteriormente rafforzato l’idea che l’economia statunitense, lungi dall’essere debole, è al contrario piuttosto tonica, con il risultato che i tassi Treasury a due e dieci anni hanno segnato nuovi massimi.
I modelli quantitativi che in passato hanno consentito di prevedere il movimento dell’oro con una certa accuratezza in questo momento non funzionano. Occorre quindi domandarsi quali altre dinamiche stiano agendo. Giova ricordare che la domanda di oro ha diverse fonti: gli acquisti di monete e lingotti, gli investimenti in Etf e futures, l’oreficeria, qualche applicazione industriale e, infine, gli acquisti delle Banche Centrali. Queste ultime rivestono un ruolo fondamentale in quanto detengono riserve in diverse forme, incluso l’oro fisico. Secondo i dati del World Gold Council, i loro acquisti spiegano il 90% dell’aumento della domanda di oro nel 2022. Per il 2023, un ben più modesto 13,1%.
Non vanno dimenticati, poi, gli investitori retail che spesso sono portati a comprare asset finanziari quando salgono, spinti dalla paura di perdere il rialzo. Questo effetto, detto momentum, è in grado di spingere il prezzo delle attività finanziarie ben al di sopra (o al di sotto) del loro valore intrinseco. Questo flusso si alimenta in molti modi: per esempio, il colosso americano Costco, di fatto un enorme price club, da un anno consente ai suoi clienti di comprare agevolmente lingotti d’oro dal peso di un’oncia.
Benché queste forze possano contribuire a spiegare le dinamiche di prezzo, sembra che manchi ancora qualcosa. Il grafico del prezzo fornisce un primo spunto: dopo aver rivisto i minimi dell’anno a ottobre, il metallo giallo ha messo a segno un poderoso rialzo che lo ha portato a chiudere il 2023 sui massimi. È proprio di ottobre l’inizio delle ostilità a Gaza.
Si è di fronte quindi a una nuova, forte determinante che può spiegare la forza dell’oro, e cioè la crescente incertezza geopolitica. È invece del febbraio 2022 un altro evento dirompente: l’Ucraina. Il prezzo dell’oro però in quella situazione non era salito, anzi era sceso. Su scala planetaria, gli Stati Uniti impongono sanzioni, congelano gli asset in dollari, impediscono l’uso di Swift. Cina, Russia, Corea del Nord sono solo alcuni degli Stati che cercano di affrancarsi dall’egemonia del dollaro. E l’oro può essere un veicolo efficiente per farlo.
Esiste quindi una dinamica di respiro molto più ampio che affonda le radici nel tramonto della Pax Americana e nell’affermarsi di un nuovo ordine multipolare. Un forte domanda di oro può agevolmente collocarsi all’interno di questo scenario. La dinamica del prezzo dell’oro presenta dunque al momento alcune caratteristiche speculative, da qui un possibile consolidamento, è tuttavia probabile che le dinamiche di lungo periodo persistano in un mondo sempre più frammentato.
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