Tanto tempo fa, ma nemmeno troppo, c’era una Piazza forte e vitale che aveva l’ambizione, non troppo nascosta, di scalzare la sua principale rivale dal secondo posto di una personalissima classifica, dichiararsi grande, e proseguire nella sua corsa verso l’olimpo della finanza. Poi qualcosa andò storto, il funambolismo che l’aveva sempre contraddistinta non era più sufficiente, il che unito a qualche piccolo e grande incidente di percorso la costrinse a riabbassare la cresta, scendere a più miti consigli, e ritornare ordinatamente nei ranghi. Le sorelle maggiori non se ne ebbero a male, e in casa tornò a regnare la concordia, mettendo a tacere le malelingue del vicinato, e la malfidenza dei rancorosi che ancora temevano fughe in avanti, nuovi sgarbi. Si potrebbe così chiudere la parabola di Lugano, e della terza Piazza svizzera, che ci ha creduto convintamente, ma che non sbocciò mai, lasciando Zurigo e Ginevra al loro posto.
«Nonostante sia bernese di origine, sono molto legato emotivamente all’Italia, dove ho trascorso oltre un decennio in fanciullezza, e all’italianità, quel misto di brio, elasticità e passione nel fare le cose che non esiste altrove, e che mi porto dietro da allora. Nel 1991, al termine degli studi in economia a Berna, almeno secondo i piani originali, mi sarei dovuto trasferire in Ticino per un paio d’anni, fare esperienza, per trasferirmi poi negli Stati Uniti o comunque all’estero. Non è andata propriamente così; è solo un ventennio che ho lasciato professionalmente Lugano, alla volta di Ginevra prima e Zurigo poi, mentre affettivamente non sono mai partito, ed è qui che trascorro il tempo libero», esordisce così Martin Liebi, Ceo di Oddo Bhf Switzerland.
Del resto il Ticino conserva molti dei suoi tradizionali attributi, fortemente spendibili nell’attrarre residenti facoltosi dall’estero, a partire da un’elevata qualità della vita, come puntualmente poi avviene. Ma… «Nel 2003 Lloyds scelse di affidarmi la regione di Ginevra, lasciai dunque professionalmente il Ticino, e con il senno di poi accettare fu la decisione giusta. Nonostante continuino ad esservi dei piccoli gioielli, a livello di realtà del settore, spesso detenuti da dinastie familiari e da più generazioni, già all’epoca in cui ero in Credit Suisse eravamo divenuti degli esecutori, bravi e creativi, di una strategia decisa a tavolino a Zurigo. I giochi non venivano più fatti qui, e la Piazza aveva perso almeno una parte delle sue forti personalità, sebbene nel corso degli ultimi decenni siano moltissimi i ticinesi che fuori dal Cantone si sono distinti», prosegue il Ceo.
Nel corso degli anni a susseguirsi sono incarichi importanti, per istituti bancari di primo livello, con un finale abbastanza inaspettato. «Nel 2021 mi contatta un amico per presentarmi il Gruppo in cui sono oggi, che all’epoca non conoscevo. Solo a fronte della sua insistenza si è aperta questa nuova entusiastica fase in una realtà poco nota, specie in Svizzera, ma dal mio punto di vista assolutamente formidabile. Philippe Oddo, il Ceo del Gruppo, e che ne è anche azionista di maggioranza, è un imprenditore che ha messo in fila venti acquisizioni di successo in vent’anni. Siamo una delle banche private, ancora di una famiglia, più grandi d’Europa, con oltre 140 miliardi di euro di masse, e 3mila dipendenti, ma soprattutto offriamo servizi tipici di grandi Gruppi bancari mondiali, dalla ricerca economica e finanziaria – abbiamo un team di 80 persone – alla corporate finance, con una specializzazione in M&A, nel Dna del Gruppo sin dalla sua nascita. Cinque generazioni fa», riflette Liebi.
Un business model sicuramente complesso, ma che negli anni ha maturato internamente importanti sinergie tra dipartimenti, e controllate estere. «Il Gruppo nasce infatti a Marsiglia, nel 1849, quale broker di azioni. Di strada ne abbiamo fatta molta, e accanto ai servizi tradizionali di Asset e Wealth Management, ci occupiamo anche ogni anno di diverse operazioni di finanza straordinaria dai 30 ai 700 milioni di euro, curiamo in prima persona Ipo ed emissioni obbligazionarie, al pari della compravendita di pacchetti azionari fuori mercato. Siamo molto orgogliosi del team di ricerca, la vendiamo e rendiamo disponibile ai nostri clienti, ma che sta anche alla base del nostro stile di Gestione. Molto difficilmente, con rare eccezioni, mettiamo nei portafogli della clientela fondi o strumenti complessi, siamo investiti attivamente in oltre 850 società europee quotate, con il cui management interagiamo regolarmente. Attraverso questi servizi ci guadagniamo nel corso del tempo la fiducia della clientela, che soddisfatta si rivolge poi a noi anche per altre esigenze. Risolviamo problemi, non piazziamo prodotti, e questo viene apprezzato», rileva il Ceo.
Che di straordinario vi sia anche la finanza, e vissuta in prima persona, è la cronaca recente a raccontarlo, con tutte le sue positive ma anche inaspettate conseguenze. «Il Gruppo è tradizionalmente sempre stato attivo in Francia e Germania ma, acquisendo Bhf Berlin e la Frankfurt Bank nel 2016, è entrata anche la Svizzera nel perimetro, per il tramite di un piccolo ufficio a Zurigo. Nel 2020, in piena pandemia, è stata invece acquisita Landolt&Cie, la più antica banca della Romandia risalendo al 1780, e particolarmente nota nella regione, con la sua sede di Losanna. È qui che arrivo io, tra le priorità che mi sono state affidate c’è infatti l’integrazione delle due realtà di Zurigo e Ginevra, i cui business model erano completamente diversi; consolidare la nostra presenza in Svizzera e farci conoscere di più; oltre ovviamente a crescere, organicamente e per il tramite di nuove acquisizioni», precisa Liebi.
Acquisire realtà complesse e strutturate può del resto spingere l’acceleratore sulla crescita di masse e clienti, ma anche presentare notevoli difficoltà proporzionalmente alle dimensioni dell’acquisito, e non solo. Si tratta però di trovare anche gli aspetti positivi. «Il nostro Ceo è un imprenditore e ragiona di conseguenza, è attivo e acquisisce tuttora clientela, ma è anche azionista di maggioranza del Gruppo detenendo il 65% delle azioni, un secondo 25% è invece in mano ai collaboratori, e il restante 10 a una manciata di famiglie: Landolt e Lombard (precedenti azionisti di Landolt), e Bettencourt Meyers. Le acquisizioni possono assumere diverse sfumature, non essere al 100% ma progressive nel tempo, o prevedere uno scambio d’azioni, a patto vi sia un progetto chiaro e condiviso. Al pari, possono recare in dote asset preziosi, è il caso dell’ufficio di Zurigo di Bhf, o di un dipartimento attivo nel trading di metalli da un deal del 2006, tant’è che per dimensioni siamo oggi il terzo operatore più grande in Europa nel mercato dell’alluminio. Possiamo competere quasi alla pari con gruppi più grandi di noi, e di diverse volte, e distinguerci», riflette il Ceo.
La Piazza svizzera per quanto indubbiamente attrattiva e da un fascino particolare, offre un mercato concorrenzialmente spietato, e già ben presidiato. Dunque sicuramente non dei più semplici. «Tra le attuali priorità strategiche del Gruppo c’è la Svizzera. Evidentemente non a tutti i costi, ma il Gruppo ha a disposizione 1,2 miliardi di franchi di capitale proprio. Di recente sono alla ricerca di team già consolidati in precisi segmenti di mercato, indipendentemente dal dove provengano; il sogno nel cassetto sarebbe proprio sviluppare una piccola unità di Corporate finance, in Svizzera francese, dove c’è un interessante vuoto di mercato. Nel nostro Gruppo si ragiona sempre sulle persone, se c’è l’alchimia il 131esimo collaboratore svizzero è benvenuto, a prescindere dal profilo. Ma siamo anche in trattativa per una piccola acquisizione, e l’Ipo di un’altra media realtà. Il target perfetto rimangono realtà non troppo grandi, ma abbastanza consolidate, da un paio di miliardi, o indipendenti non troppo piccoli che per una qualche ragione hanno smesso di crescere», illustra il Ceo.
Passano gli anni, se ne scrivono lunghi e commossi necrologi, eppure la Piazza svizzera continua a tenere, e sorprendentemente, almeno per molti, a crescere. Qual è il segreto? «Detto molto apertamente il vero nodo di Gordio è che molti, forse troppi, ci invidiano. La Svizzera è un Paese che funziona, pur con tutti i problemi di un’economia avanzata, non abbiamo squilibri macroeconomici sostanziali e la Bns si conferma davvero indipendente, abbiamo perso il treno europeo, ma non è poi così scontato se sia stato solo un male. Ciononostante affascina ancora e impressiona positivamente la clientela estera, dal Sud America al Medio Oriente, o semplicemente il resto d’Europa, in primis come Paese. E il montare delle tensioni geopolitiche sta spingendo molta clientela tedesca a interessarsi alla nostra Piazza, molto più che in passato, anche grazie al contributo dello scambio automatico d’informazioni», sintetizza Liebi.
Se dunque la Piazza tiene botta, sia nei confronti del passato, che rispetto a una crescente concorrenza estera, ad esempio in Asia, quanto è cambiata la clientela nel corso dei decenni? «Sono da oltre trent’anni nel settore, e rimango convintamente molto vicino alla clientela. Ci sono stati molti cambiamenti, a partire da un livello più normativo a uno di prodotto. Il cliente oggi è più preparato e attento, e mediamente più istruito, ma come dico spesso ai nostri consulenti a non essere cambiato è il rapporto di fiducia che deve esserci con l’istituto, che rimane la base epistemologica di tutto.
Nella maggior parte dei casi il passaggio generazionale non è ancora avvenuto, dunque le competenze finanziarie della clientela nell’arco dei prossimi anni continueranno a crescere, a un buon ritmo, il che è estremamente positivo rispetto al grado di complessità che hanno raggiunto i mercati oggi. Ed è nell’alfabetizzare che il consulente deve avere un ruolo», prosegue il Ceo.
Guardando al futuro, specie in realtà a dimensione familiare, pur grandi che siano, qualche preoccupazione mista a ombra è solita stagliarsi. Sarà anche questo il caso? «La famiglia continuerà a essere l’azionista di riferimento anche nei prossimi anni, ma è quasi certo lascerà un ruolo operativo. Il passaggio generazionale è un argomento sentito anche a livello di management, ma stiamo formando la nuova generazione, e non mi preoccupa. Pensando in là negli anni desidererei restare nel Gruppo, anche nel mio caso in ruoli non più operativi, ma di indipendente, affiancando la nuova generazione di consulenti. Sono un superiore sicuramente molto esigente, prendo parte a tutti i colloqui, e sono sempre onesto e trasparente specie nel caso dei più giovani su quello che possiamo offrire. A contare è l’impegno che le persone ci mettono, la passione che esprimono in quello che fanno», mette in evidenza Liebi.
È però in prospettiva che potrebbero emergere significative differenze, che ripercorrono anche la storia recente di un Paese che sino a prova contraria funziona. «Se guardo a trent’anni fa, quando muovevo i primi passi in Credit Suisse, si vede nettamente quanto tutto sia cambiato. Generalizzare è sempre sbagliato, ma in Svizzera c’è ‘meno fame’, e non è un dettaglio. Oggi si dà un peso eccessivo a quello che è il ‘work-life balance’, mentre un giovane dovrebbe essere irrefrenabile e smanioso di fare, ambizioso il giusto, energia allo stato puro, il che spesso non è il caso. È anche per questo che cerco di essere sempre molto franco in sede di colloquio, è un reato rovinare lo sviluppo professionale di una persona, specie se giovane, promettendo cose non vere nella consapevolezza di farlo, sottraendolo a un posto dove si trovava discretamente bene ed era contento», precisa il Ceo.
Nonostante le cinque generazioni e 150 anni di storia, si può essere ancora giovani, almeno nell’animo? «Il nostro è un Gruppo che è cresciuto molto, e in fretta. Sotto molti aspetti siamo rimasti indietro come mentalità, per altri aspetti in termini di Governance; non siamo ancora riusciti a responsabilizzare il giusto i nostri collaboratori, delegando più funzioni, che evidentemente si deve essere disposti a ricevere. Ne siamo però consapevoli, e ci stiamo lavorando da qualche anno, il futuro è dei più giovani, e non va dimenticato. Il nostro è il lavoro, e il settore più bello al mondo, conosci e incontri le persone più varie, che ti arricchiscono con le loro esperienze, com’è stato nel mio caso in particolare con Al Gore, per fare un esempio; per quanto il più notevole di tutti resti indiscutibilmente quello con mia moglie. Ma se non c’è la passione, non c’è niente», conclude Martin Liebi.
Tramontata l’era di Credit Suisse, e a fusione ormai in dirittura d’arrivo, con gli indipendenti in costante fermento da ben più tempo, il risiko è ripartito, e nuove operazioni di finanza straordinaria si fanno sempre più probabili. La Piazza svizzera si conferma attrattiva, il mercato, pur piccolo che sia, particolarmente ambito, in una fase in cui anche il ricambio di personale ha avuto una forte accelerazione. È dunque il ‘place-to-be’, e le sorprese potrebbero essere vicine.
Se il fascino della Svizzera rimane immutato rispetto al passato, almeno secondo molti, ed è molto probabilmente questa la miglior garanzia della durevolezza del suo successo, quanto diverge la situazione del terzo hub del Paese? «Sottotraccia a livello nazionale il consolidamento degli attori, indipendenti e bancari, sta proseguendo a un ritmo costante, e nonostante in molti ci aspettassimo un’accelerazione, è ormai chiaro che sorprese non ce ne saranno. Il problema di fondo è che molti vogliono comprare, ma pochi vendono. In Ticino è invece diverso, il consolidamento è una necessità per la sopravvivenza della maggior parte degli operatori, e inevitabilmente ci sarà», sottolinea Liebi.
A consolidamento avvenuto, e con realtà mediamente meno graciline, cosa sarà lecito aspettarsi? «Per quanto l’innovazione e la concorrenza non siano panacee, è indubbio possano aiutare molto. Lugano dovrebbe sì guardare a nuovi mercati, ma anche specializzarsi in nuovi servizi, facendo sistema del know-how che ha maturato. Il Ticino è attrattivo rispetto a un certo target di clientela, che vi si sta trasferendo, quello potrebbe essere un segmento su cui insistere, proponendo servizi di livello, ma anche specializzandosi ad esempio nei Private Market. L’importante è diversificare, mercati, prodotti e servizi», conclude il Ceo.
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