Il più grande fornitore europeo di Etf ed Etc white-label, Hanetf, evidenzia come una singola query di ricerca su Chat Gpt consumi circa il 1500% di energia in più rispetto a una semplice ricerca su Google. Per quanto le quantità complessive di energia siano al momento marginali, il dato fa riflettere. Con riferimento agli Stati Uniti, rispetto a una domanda di energia sostanzialmente piatta negli ultimi 20 anni, la situazione sta ora cambiando e una delle ragioni principali è il boom della domanda di data center, in particolare di quelli collegati all’Ia. A titolo di esempio, l’azienda di servizi pubblici che serve lo stato della Virginia, prevedeva un aumento del 2% tra il 2022 e il 2037, ma adesso ipotizza un incremento del 6% tra il 2023 e il 2038. E probabilmente non è sola.
Per quanto molti investitori, come è normale, abbiano scelto di ‘seguire’ l’Ia attraverso l’esposizione ai titoli tecnologici, vale la pena valutare anche altre strade. I risultati recenti dei grandi gruppi tecnologici sembrano evidenziare come “vendere” l’infrastruttura necessaria a costruire servizi di Ia sia al momento più lucrativo che venderne gli stessi servizi.
Una strada è quella delle materie prime. L’energia nucleare avrà un ruolo chiave nella fornitura di elettricità, in particolare grazie all’assenza di emissioni di carbonio. Il nucleare resta inoltre un tema presente nei piani di molti Paesi, inclusi quelli del Governo italiano. Ne deriva, inevitabilmente, un incremento della domanda di uranio. Si tratta di un mercato che già oggi ha un forte deficit di offerta, con probabili ulteriori pressioni sul prezzo, a vantaggio delle società minerarie.
Alla produzione di elettricità si aggiunge il bisogno di portare per trasmissione l’elettricità all’utente finale, processo che richiede un notevole quantitativo di rame. I nuovi centri dati richiederanno perciò linee di trasmissione ad alta intensità di rame. Anche in questo caso vi è però un deficit di offerta rispetto a un metallo già in forte domanda. L’aumento dell’offerta di rame richiede tempi lunghi; infatti, una miniera di rame richiede circa 10/15 anni per essere esplorata, sviluppata e resa produttiva. A ciò si aggiunge l’instabilità politica delle regioni in cui le miniere si trovano. Si stima che nell’ultimo anno il 3-5% dell’offerta globale di rame sia stata interrotta per ‘instabilità’ in Congo, Kazakistan, Mongolia e America Latina. Il prezzo del rame si trova già adesso su livelli elevati e, di recente, la corsa al rialzo è stata stimolata dall’importante offerta di acquisto di Bhp, poi rifiutata, sulla compagnia Anglo American.
In generale, quindi, le società minerarie attive nell’estrazione del rame potrebbero trarre un importante vantaggio da un’offerta strutturalmente inferiore alla domanda. E secondo alcuni calcoli solo superati i 12mila dollari la tonnellata, è lucrativo espandere la produzione ed estrarre una quantità maggiore di materia prima, con un aumento di prezzi che ne favorirà una più elevata redditività.
Per motivi simili, diversi analisti esprimono un parere positivo sulla borsa inglese, legato anche alla composizione dell’indice Ftse 100, favorito dai prezzi elevati o in crescita delle materie prime. Ubs, in un recente studio evidenzia come alcuni settori e indici abbiano sovraperformato l’Msci All Country World Index negli ultimi cinque anni. Non sorprende che tra i “vincenti” vi siano soprattutto alcuni settori tecnologici. Probabilmente meno nota e conosciuta è però l’ottima performance di temi quali Clean Edge Smart Grid Infrastructure e Global Data center, che continueranno, molto probabilmente, a essere spinti dai bisogni dell’Ia e dalla ‘fame’ di elettricità.
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