TM   Ottobre 2024

Crescere, alla nostra maniera

Il mondo assicurativo sta vivendo da anni una delicata fase di trasformazione. La ricerca dell’efficienza non è priva di sacrifici, le compagnie l’hanno scoperto, a prosperare sono gli indipendenti, specie quelli della prima ora. Ecco una consolidata realtà del territorio. Intervengono Vittorio Finardi, Ceo e co-fondatore di Finardi & Partners, e Marco Petito, Socio, Direttore commerciale e responsabile acquisizioni.

di Federico Introzzi

Responsabile editoriale Ticino Management

Timeline finardi
Un quarto di secolo all’insegna di valori familiari.

I ‘family business’, altrimenti detti aziende di famiglia, si confermano nei dati essere la spina dorsale dell’economia svizzera, europea e mondiale. Tutte le aziende nascono in famiglia, e non di rado vi rimangono. Eppure, cosa voglia dire ‘famiglia’ spesso non è così scontato, ed è qui che iniziano i dibattiti, senza che vi sia un’unanime concordanza nel seppellire l’ascia di guerra da parte dei più oltranzisti. Tali aziende, e su questo è facile trovare consenso, sono note per essere innovative, resilienti, in molti casi particolarmente prospere, ma soprattutto orientate a un successo che vuole essere duraturo nel tempo, in primis per una questione di buona reputazione nei confronti del resto della comunità locale, da parte della ‘famiglia’, e dei suoi membri, che di frequente sono omonimi dell’azienda. I casi sono infiniti, di ogni ordine e grado, ma soprattutto uniformi in tutti i settori nel cui sottobosco si trovano operatori piccoli e ancora agili, anche nelle industrie più mature, finanziaria e assicurativa incluse. In Svizzera, ma anche in Ticino.

«Ho iniziato in qualità di apprendista a conoscere il mondo delle assicurazioni, negli anni Novanta, quando ancora esisteva la Ginevrina. Ho ricoperto molti ruoli, da quelli meno qualificati a quelli di maggiore responsabilità, in Ticino ma anche a Ginevra, e in diverse grandi compagnie, posso quindi affermare di avere assistito in prima persona a molti cambiamenti del settore nell’arco di oltre trent’anni, ma soprattutto ho trascorso gli ultimi 25 da dipendente, nell’azienda che ho fondato insieme a mio padre», esordisce così Vittorio Finardi, Ceo e co-fondatore di Finardi & Partners, boutique luganese specializzata nel brokeraggio assicurativo.

Non tutti i percorsi sono però altrettanto lineari, e spesso a non mancare sono proprio le sorprese. «Diversamente da Vittorio, ho iniziato nella logistica del mondo luxury, per un brand molto noto qui in Ticino. Sono però 25 anni che ormai mastico di assicurazioni ogni giorno e, dopo le prime esperienze presso i giganti del settore, tra cui Allianz, sono già da 20 in questa società, che nel corso del tempo è cresciuta, precorrendo molti dei cambiamenti che hanno poi segnato profondamente il settore. In questo il padre di Vittorio, Flavio Finardi, aveva certamente visto lungo», sottolinea Marco Petito, Socio, Direttore commerciale e responsabile acquisizioni di Finardi & Partners.

Vittorio Finardi e Marco Petito
Da sinistra, Vittorio Finardi, Ceo di Finardi & Partners, e Marco Petito, Socio, Direttore commerciale e responsabile acquisizioni.

Tendenze comuni ormai a moltissimi ambiti, e settori, ma che rischiano di passare sottotraccia sino al deflagrare di questo o quel problema, o sino a che un qualche evento, spesso non positivo, non inneschi una reazione. «Nei primi Duemila il mondo assicurativo veleggiava ancora in ottime acque, erano spesso anni eccezionali, con risultati economici molto importanti che spingevano a sottostimare l’impatto che avrebbero avuto alcune ‘innovazioni’ che stavano comunque avvenendo. Mio padre Flavio, per primo, aveva intuito che l’equilibrio si sarebbe sempre più spostato a favore dei broker, consulenti assicurativi terzi alle compagnie, che così facendo ne esternalizzavano i costi crescenti. Così, se all’interno delle compagnie, vent’anni fa, il rapporto tra broker e consulenti era, senza esagerare, di 10 a 90, oggi siamo passati a 65-35, e in alcuni casi si è già superato il 70-30. Le ragioni sono diverse, ma la rotta risulta ormai tracciata», riflette il Ceo.

In più d’un ambito lo si definisce ‘effetto palla di neve’. Una volta imboccata la strada è difficile tornare indietro, e sotto altri aspetti incredibilmente complicato. Sarà per questo che mai succede? «Vittorio ha impiegato più di un anno a convincermi, e dopo aver iniziato mi ci sono voluti diversi mesi per entrare in questa, all’epoca nuova, logica. È evidente che i consulenti esisteranno sempre, ma si è chiusa un’epoca, e ci troviamo in una completamente diversa. In termini di volumi i broker sono diventati fondamentali per le compagnie, il che è interessante anche per l’aspetto economico, in quanto sono agenti esterni, non dei dipendenti, che all’assicurazione non costano nulla se non una parte del fatturato che generano e i bonus contrattualizzati. Siamo del resto strutture molto più dinamiche e snelle, recettive nei confronti dei cambiamenti del mercato, e delle esigenze della clientela.

A essere cambiato è del resto anche il rapporto tra compagnie e clientela, con una forte accelerazione negli ultimi anni dettata dalle circostanze. «L’emergenza pandemica ha intaccato molti equilibri, e il mondo assicurativo è stato probabilmente tra i più influenzati nel lungo periodo. In termini finanziari sono stati anni costosissimi per le compagnie, che hanno reagito rivedendo e inasprendo l’intera contrattualistica, perdendo la poca flessibilità che ancora c’era. Quello che però il cliente vuole è proprio flessibilità, un servizio di qualità, sartoriale e quasi in tempo reale, ovviamente senza costi aggiuntivi e concorrenziale. E cerca una persona, un confidente che gli stringa la mano quando serve, non un anonimo servizio clienti che magari, al giorno d’oggi, viene gestito dall’intelligenza artificiale. Proprio quello che una piccola azienda familiare può offrire», nota Finardi.

Evidentemente al crescere delle dimensioni la flessibilità diventa una merce estremamente rara e costosa, come i grandi istituti bancari hanno scoperto negli ultimi anni. Dunque decisioni drastiche e draconiane, e qualche sacrificio sull’altare dell’efficienza. «I clienti sono sempre più informati, la domanda continua a crescere e l’offerta è sempre più complessa e variegata, ma soprattutto personalizzabile. Ed è noto che i sarti piacciano a tutti. Un broker è libero di fare cherry picking, discriminando per qualunque variabile sia necessario, dunque sì in termini di costo, ma anche di servizio, modularità, copertura… quello di cui necessita il cliente. C’è ovviamente un ‘ma’. La vera ricchezza di una Casa di brokeraggio è il numero di relazioni che ha con le compagnie, il numero delle controparti a cui può rivolgersi. Noi avendone ben 42 siamo a tutti gli effetti un broker, possiamo soddisfare le esigenze del nostro cliente dialogando con tutti i principali (e non) istituti, altri hanno 4-5 relazioni… è tutto diverso», sintetizza Marco Petito.

Se dunque le controparti sono la ricchezza, perché non le hanno tutti? «Nel ’99, anticipando i tempi e in controtendenza, mio padre insistette per avere relazioni con tutti i principali istituti. Oggi le compagnie non si concedono più facilmente, è oneroso per loro gestire tali relazioni, e vincolano questi contratti a molti paletti, non solo finanziari, il che limita molto i nuovi operatori. Nel corso di questo quarto di secolo la nostra società è stata però brava nel costruirsi una solida reputazione presso le compagnie, che hanno piacere e interesse a collaborare con noi, oltre che nei confronti della clientela. Siamo una società che cresce, e continua a farlo, ma senza scendere a compromessi su quelli che sono e rimangono i nostri valori: il cliente è il nostro re, agiamo sempre nel suo interesse; tutti i nostri clienti sono uguali, senza eccezioni di alcun tipo», precisa il Ceo.

Si tratta dunque anche in questo caso di un sottile gioco di equilibri, avendo sempre in mente l’obiettivo finale: cucire un buon abito, che soddisfi tutti. «Un buon broker deve essere sufficientemente aggiornato e preparato da chiedere le offerte da presentare al cliente basate sulle compagnie più concorrenziali indirizzate alla sua specifica esigenza, pur soddisfacendola al meglio possibile. Per le compagnie preparare queste offerte è oneroso, bisogna dunque interpretare l’esigenza e raccogliere i dati necessari per andare mirati, evitando di far perdere a tutti tempo e denaro. Al cliente del resto non interessano 20 offerte, ma le migliori cinque. Da qui la nostra necessità di avere collaboratori specializzati e operosi, a livello di back office, che sono il segreto del nostro successo», enfatizza il direttore.

L’esperienza è spesso la migliore delle insegnanti, soprattutto laddove è il contatto con le persone a fare la vera differenza. Ed è noto che il punto siano sempre e solo le persone. «In tutti questi anni ho imparato ad ascoltare, senza giudicare, specie sulla base delle semplici apparenze. Per noi ogni cliente merita il massimo delle nostre capacità, che sia l’anziana signora che ha rotto lo specchietto dell’auto, che sia l’affermato imprenditore con al seguito qualche centinaio di collaboratori in temi previdenziali. È vero, la clientela istituzionale in termini finanziari è prevalente, ma vogliamo offrire a ogni singolo cliente quello che ci aspetteremmo venisse dato a noi, dunque massima disponibilità, comprensione, empatia e vicinanza, professionale ma soprattutto umana quando evidentemente le circostanze lo richiedono. Il nostro miglior alleato? Il passaparola dei nostri clienti», mette in evidenza Finardi.

Un quarto di secolo è comunque lungo da cavalcare, ma anche estremamente breve; le tappe del viaggio numerose, in positivo ma anche in negativo. «Nel 2020, durante l’emergenza pandemica, è scomparso il fondatore, Flavio Finardi. È stato un evento traumatico, come è spesso il caso in realtà piccole e familiari, ma con la forza e l’attaccamento di tutto il team siamo riusciti a superare anche questa dura prova, confermando il lavoro fatto nei vent’anni precedenti. Due anni fa abbiamo potenziato notevolmente il servizio Cassa malati, acquisendo una risorsa dedicata e con vent’anni di esperienza, che ci sta dando un’importante spinta. Siamo un team piccolo ma affiatato, appassionato del proprio lavoro e che non si risparmia pur di arrivare al risultato, ossia che il cliente risulti soddisfatto. Non possiamo sicuramente permetterci di formare giovani apprendisti, puntiamo dunque ad acquisire professionisti esperti del settore, di buona volontà e disposti a rimettersi in gioco, accettando una filosofia del lavoro un po’ particolare, estranea a molti», rileva Petito.

Indipendentemente dal settore, trascorrono gli anni, ma lo fanno per tutti e nella stessa misura, il che ha inevitabilmente una serie di conseguenze abbastanza scontate. «Certo, siamo alla ricerca attiva di nuove risorse per potenziare il back office, ma anche per ‘allevare’ una seconda generazione di consulenti, parallelamente al rallentamento fisiologico di alcune figure Senior. Abbiamo la struttura, che è la nostra forza, possiamo metterla a disposizione di delusi o scoraggiati che vogliano continuare a soddisfare i propri clienti, ma senza trascorrere le giornate a compilare scartoffie, al pari dell’incaricarci della gestione di portafogli di un certo peso, garantendo al proprietario una parte importante dei ricavi derivanti. Non si tratta dunque di ‘acquisire’ o comprare, ma di gestire quanto ci viene consegnato, al meglio delle nostre possibilità, anche grazie alla reputazione che ci siamo conquistati», sottolinea il Ceo.

Al netto di altisonanti definizioni, qual è il ruolo di un broker? Come trascorre la giornata? «Come dicevo spesso a mio figlio, in tenera età, mi prendo cura delle persone, le supporto e gli semplifico la vita, in cambio queste mi sono riconoscenti, e lo percepisco non solo nelle parole. È la più grande delle soddisfazioni, ma anche la più grave delle responsabilità, ti puoi organizzare e gestire la giornata in piena autonomia, ma sai di non poterti mai fermare, che è il nostro più grande limite», evidenzia il direttore.

Qualcosa nel corso degli ultimi anni è però cambiato, e si riflette inevitabilmente anche sulla figura stessa dell’addetto di questa industria. «Nell’immaginario collettivo l’assicuratore non gode certamente della migliore delle reputazioni, ed è per questo che noi siamo particolarmente orgogliosi di quella che ci siamo costruiti. Non è più ormai da tempo un lavoro da cui si inizia, ma dove si approda, a patto di accettare l’idea di ‘mettersi a disposizione’ del cliente, dell’azienda, della formazione, delle autorità… la soddisfazione viene dal riuscire a risolvere problemi complessi, dal rapporto quotidiano con il cliente, dall’immedesimarsi; è gioire per quello che si è riusciti a fare, è ottenere la fiducia del cliente nel gestirlo e affiancarlo in tutte le sue pratiche assicurative quotidiane. Siamo un team di persone che vive con una passione incrollabile il proprio lavoro, come dimostrano questi 25 anni di attività», conclude Vittorio Finardi.

Le somiglianze tra industria finanziaria e mondo assicurativo sono dunque più che sostanziali, al pari dell’evoluzione che stanno vivendo. In una Piazza in cerca d’autore, come quella luganese, che parte della soluzione non stia anche nel riuscire a creare sinergie sino a ieri improbabili? Del resto, il cliente è sempre lo stesso.

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