TM   Dicembre 2024

Carbon tax alle frontiere

Con l’UE di gran lunga il primo partner commerciale elvetico, le aziende svizzere non possono ignorare gli sviluppi normativi europei, indipendentemente dalle scelte politiche nazionali. Un contributo di Tobias Lotti, membro del Circolo Giovani Giuristi di Zurigo.

Tobias Lotti

di Tobias Lotti

Membro del Circolo Giovani Giuristi Zurigo

CO2

Il sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS) è uno strumento chiave nella politica climatica europea. Questo meccanismo di mercato permette alle aziende di commerciare diritti di emissione di CO2: chi inquina meno può vendere le proprie quote in eccesso, mentre chi necessita di emettere di più deve acquistarne sul mercato. Questo sistema “cap and trade” crea un incentivo economico diretto per la riduzione delle emissioni, stabilendo un prezzo di mercato per il carbonio. Dal 2020, la Svizzera è l’unico paese terzo il cui sistema è collegato all’ETS europeo, garantendo parità di condizioni con i concorrenti europei nella gestione delle emissioni. Le quote di emissione svizzere ed europee sono reciprocamente riconosciute e possono essere scambiate liberamente tra i due sistemi, creando un mercato più liquido ed efficiente.

In risposta alla crescente pressione globale per la riduzione delle emissioni, l’UE ha recentemente introdotto il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), una misura destinata a rivoluzionare il commercio internazionale dei prodotti ad alta intensità di carbonio. Il CBAM mira a evitare il cosiddetto “carbon leakage”, ovvero la delocalizzazione della produzione in paesi con standard ambientali meno stringenti, imponendo un prezzo sul carbonio per le importazioni equivalente a quello pagato dai produttori UE.

Il Consiglio federale, dopo un’analisi della situazione, ha deciso per il momento di non adottare un sistema analogo, concentrandosi invece sulla salvaguardia del vantaggioso accordo ETS esistente. Secondo l’esecutivo, questa scelta riflette la tradizionale autonomia svizzera in materia di politica economica e si basa su un’analisi costi-benefici secondo qui il CBAM avvantaggerebbe solo un numero limitato di industrie mentre imporrebbe oneri amministrativi significativi all’intero tessuto economico.

La sfida immediata per le aziende svizzere è quindi duplice: da un lato, devono implementare sistemi accurati di monitoraggio e reporting delle emissioni per soddisfare le richieste dei clienti Ue; dall’altro, devono prepararsi all’impatto economico del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) dal 2026, quando le emissioni dichiarate si tradurranno in costi effettivi per le importazioni nell’UE.

Tuttavia, i dati dell’Ufficio federale di statistica pubblicati nel maggio 2024 parlano chiaro: nel 2023 l’Unione europea si conferma di gran lunga il principale partner commerciale della Svizzera. Questa realtà economica rende impossibile per le aziende svizzere ignorare gli sviluppi normativi dell’UE, indipendentemente dalle scelte politiche nazionali. Dal primo ottobre 2023, infatti, gli importatori europei devono dichiarare le emissioni incorporate nei prodotti importati da paesi terzi, Svizzera inclusa, per settori chiave come acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno ed elettricità.

Il sistema CBAM richiede una documentazione dettagliata delle emissioni dirette e indirette associate alla produzione, includendo non solo le emissioni del processo produttivo ma anche quelle legate all’energia utilizzata. Per le aziende elvetiche questo crea una situazione particolare quando importano prodotti da paesi terzi (come per esempio la Cina) per poi rivenderli all’UE senza sostanziali trasformazioni: in questi casi devono necessariamente fornire ai loro clienti europei i dati sulle emissioni del paese di origine. Non è una scelta opzionale: senza questi dati, l’accesso al mercato europeo potrebbe essere notevolmente compromesso dal 2026, quando il sistema passerà dalla fase di semplice reporting a quella di effettiva imposizione economica.

La sfida immediata per le aziende svizzere è quindi duplice: da un lato, devono implementare sistemi accurati di monitoraggio e reporting delle emissioni per soddisfare le richieste dei clienti UE; dall’altro, devono prepararsi all’impatto economico del CBAM dal 2026, quando le emissioni dichiarate si tradurranno in costi effettivi per le importazioni nell’UE.

Il messaggio per il tessuto industriale svizzero è inequivocabile: la decisione del Consiglio federale di non adottare il CBAM non esime le aziende dalla necessità di prepararsi a questo nuovo sistema. Con l’UE che rappresenta una quota così significativa dell’export svizzero, la capacità di adattarsi rapidamente alle nuove normative europee diventa cruciale per mantenere la competitività internazionale. Data la complessità del sistema e le stringenti tempistiche di implementazione, diverse società di consulenza specializzate si sono già stabilite sul territorio svizzero, offrendo servizi specifici per la gestione del CBAM. Questi attori stanno emergendo come facilitatori chiave nella transizione, supportando le aziende nell’implementazione dei sistemi di monitoraggio necessari e nella gestione delle dichiarazioni CBAM richieste dall’UE.

La sfida del Carbon Border Adjustment Mechanism rappresenta quindi un’opportunità per ripensare i processi produttivi in ottica di sostenibilità, anticipando un trend che, indipendentemente dalle scelte politiche svizzere, è destinato a ridisegnare il commercio internazionale nei prossimi decenni. Il vantaggio del collegamento ETS esistente potrebbe rivelarsi cruciale in questa transizione, offrendo alle aziende svizzere un’importante base di partenza per affrontare le sfide della decarbonizzazione del commercio internazionale.

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