TM   Settembre 2023

La guerra dei chip

Dopo anni di felici pennichelle infine sta scoppiando il nuovo ‘bubbone’ dei chip, e della loro pericolosa concentrazione produttiva in un’unica isola. Ma esistono reali contromisure?

Ettore Accenti

di Ettore Accenti

Esperto di tecnologia

Pare che il mondo per riconoscere i veri problemi debba sempre parlare di guerre. E ora, nonostante sia un po’ tardi per svegliarsi, si scopre che un’infinità di prodotti dipendono da microscopici rettangolini di silicio che solo in pochi riescono a produrre e che per fabbricarli occorrono molte decine di miliardi di dollari e specializzazioni difficili da reperire. 

Nicolaus Copernico scuserà se in questa breve nota si ricorrerà alla sua impareggiabile rivoluzione per farne un confronto con qualcosa che sta accadendo oggi, quasi 600 anni dopo. Con il modello eliocentrico era riuscito a sconvolgere il mondo dell’epoca, abbattendo credenze millenarie e rischiando il rogo. In fondo Copernico aveva semplicemente analizzato quanto a quei tempi si stava rilevando con osservazioni attente e ne trasse delle conclusioni che meritarono, molto dopo, l’appellativo di ‘rivoluzione copernicana’.

Chip, rivoluzione copernicana

Incredibilmente, oggi, con tutta la tecnologia a disposizione, con una sterminata potenza di mezzi d’analisi, non ci si è ancora resi conto che, quasi senza accorgersi, si è lentamente scivolati in quella che qualcuno definisce già ‘Guerra dei chip’ o che detta altrimenti si potrebbe definire  ‘la rivoluzione copernicana dei chip’.

E non è una rivoluzione nata oggi, ma inizia nell’anno 1958, quando un giovane neolaureato di nome Jack Kilby, e premio Nobel nell’anno duemila, lavorando in un laboratorio della Texas Instruments riuscì a creare il primo circuito elettrico funzionante con componenti tutti immersi in un cristallo di germanio senza separarli: era nato il circuito integrato, oggi chiamato ‘chip’. Il processo fu poi reso industrializzabile da Robert Noyce fondatore della Fairchild Semiconductor e poi di Intel. Avvenne poi che un certo Gordon Moore, cofondatore di Intel, nel 1965 pubblicasse un’innocua osservazione in cui prospettava di come la densità dei componenti in un chip sarebbe raddoppiata ogni due anni a parità di costo.

Così come l’osservazione di Copernico ha scatenato una rivoluzione dalle incredibili conseguenze, l’osservazione di Moore su un processo industriale esponenziale sta mettendo oggi alla prova tutta l’industria. Il lettore osserverà certo che le due osservazioni abbiano impatti profondamente diversi e le due epoche non siano nemmeno vagamente paragonabili.

 

E non si potrà che condividere tale osservazione perché quella di Copernico fu qualcosa che non impattò il mondo produttivo di allora, ci fu qualche prete un po’ arrabbiato, il vecchio Tolomeo si sarà rigirato nella tomba, ma agricoltori e scrittori di pergamene continuarono come prima la loro pacifica attività.
Quella di Moore è invece un qualcosa che sta stravolgendo l’intera industria mondiale, senza nemmeno accorgersene, quelle minuscole termiti, dette chip, si sono infilate ovunque, nelle carte di credito, nei telefoni, nelle auto, nelle armi e, presto, anche sotto la pelle. Qualcuno potrà affermare che non c’è nulla di strano: nel mondo moderno l’industria dei semiconduttori ha dimostrato di essere vitale, anzi una delle più effervescenti e floride passata dai 26 miliardi dollari del 1984 agli attuali 600!

Santa Clara, Museo Intel. Così è qui riportata la legge di Moore: Nel 1965, Gordon Moore fece una previsione sul numero di transistor che potrebbero essere inseriti su un singolo chip di silicio, un ‘intuizione successivamente ribattezzata “Legge di Moore”. Nel 1975, Moore aggiornò la sua previsione affermando che il numero di transistor collocati su un chip raddoppierà circa ogni due anni. Di conseguenza, le dimensioni diventeranno sempre più piccole, mentre la capacità di integrare più funzionalità su un chip aumenterà. Le osservazioni di Gordon Moore sul ritmo della tecnologia del silicio hanno stabilito uno standard per lo sviluppo e creato un modello di business per l’industria dei semiconduttori. Il numero di transistor incorporati in un chip raddoppia circa ogni due anni.

Ma questa industria ha un piccolo dettaglio che la rende unica e al cui confronto anche il buon Copernico rischierebbe di impallidire: è un’industria che, per la prima volta da quando l’Homo Sapiens esiste, segue un processo esponenziale anziché lineare. Per i non matematici questo significa che rapidamente punta all’infinito, e infatti dai dieci componenti per chip di Kilby si è oggi già oltre i dieci miliardi, senza contare che nel 2030 si sarà tagliato il traguardo dei 30 miliardi, e così andare negli anni successivi.

Molti affermano oggi, come spesso prima, che comunque la legge di Moore si fermerà e che questo è un evento naturale e facilmente gestibile. Allora perché mai parlare della guerra dei chip per il controllo di un’unica fabbrica sul globo? E qui va subito precisato che l’intera industria in cui quelle care termiti si sono infilate, praticamente in tutti i prodotti di largo consumo, è seduta su un vulcano pronto ad esplodere. Ecco un esempio facilmente comprensibile: Apple, la più grande società al mondo in termini di capitalizzazione, deve il suo successo al fatto che ogni due o tre anni vende una nuova generazione di iPhone a vecchi e nuovi utenti. Una legge di mercato vuole che le performance di una nuova generazione per poter sostituire la precedente deve essere da due a quattro volte superiore alla precedente. Questo è avvenuto con l’iPhone perché attraverso i suoi chip contenuti ha seguito la curva esponenziale di Moore passando da qualche centinaio di milioni di transistor del primo ai ben oltre dieci miliardi dell’ultimo. E se la legge di Moore si fermasse, che farà Apple?

Tutta l’industria di prodotti finali è legata direttamente o indirettamente a questo processo esponenziale; chi si ferma perde competitività e rischia di fallire. Persino l’industria automobilistica da una presenza quasi nulla di chip vent’anni fa oggi è giunta a dipenderne per il 30% del suo valore aggiunto. È stata sufficiente una crisi di mancanza di qualche chip per qualche mese e il mondo occidentale si è spaventato, persino inviando portaerei a difesa della più avanzata fonderia del silicio che si trova a Taiwan, la Tmsc, che ebbi la fortuna di veder nascere a Taipei nella seconda metà degli anni Ottanta, allora nata come produttore offshore degli Stati Uniti.

L’industria dei semiconduttori ha una piccola peculiarità che la rende pressoché unica nella storia: segue un processo di sviluppo esponenziale, anziché lineare, il che non è immune da sensibili problemi

Ma si dirà: “Che problema c’è, al costo di una qualche decina di miliardi spruzzati con generosità qua e là, e di quelle fonderie se ne possono fare dove si vuole”. Peccato però non si tratti di fonderie di acciaio! E no, le cose non sono così semplici e i soldi non bastano, tanto che anche la potente macchina militare americana non può permettersi questi rischi per il semplice motivo che sottostante c’è la miccia accesa della legge di Moore. Quella fonderia che è in grado di utilizzare la più avanzata tecnologia di oggi è la sola che può sfornare chip competitivi. Se Tmsc non rifornisse più Apple, addio al suo progresso. Per mantenersi al passo con lo sviluppo di questa tecnologia si sarebbe dovuto iniziare anni fa, almeno dieci; se oggi si duplicasse Tmsc, e questo è solo un esempio, quando la nuova Tmsc sarà davvero a regime, la prima sarà già avanti sulla curva esponenziale di Moore e questa seconda non sarà competitiva.

Nella mia vita con i semiconduttori ho già vissuto i problemi enormi persino della grande Intel nel duplicare le sue produzioni in nuovi siti: il dramma era sempre lo stesso, e cioè quanti fossero i ‘chip buoni’ ottenibili da ogni fetta di silicio. Detto altrimenti, se non si raggiunge un livello accettabile di ‘chip buoni’ la nuova fabbrica diventa rapidamente inutile, anzi dannosa per i conti finali.

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