Caro lettore,
l’estate va finendo, ed è tempo di rinnovamento, in più d’un senso e in più di una dimensione, a patto evidentemente che tale cambiamento si sia di buon animo nel volerlo accogliere. Questa nuova edizione intende esplorare quegli universi che si sono fatti protagonisti degli ultimi anni, dunque il mare magnum del debito pubblico, e la sostenibilità.
Il debito che gli Stati hanno ereditato dalla pandemia, che si somma al precedente, rimane una spada che chiunque fuorché Damocle è disposto a vedere, o solo a prendere in considerazione. Gestirlo è semplice a patto di qualche minimo accorgimento, redimerlo è ben più problematico, forse impossibile, ragion per cui è un’ipotesi aprioristicamente scartata. Eppure, prim’ancora di interrogarsi della sua sostenibilità, è bene domandarsi: che mondo sarebbe senza debito pubblico? Quali effetti ha la sua scarsità in quei rari Paesi che dell’essere eccezione fanno un vanto? Svizzera e Giappone si trovano agli estremi opposti, ma…
Al tempo stesso la sostenibilità, e ironia della sorte non quella dei debiti, si è ritagliata nel corso degli anni un ruolo da protagonista assoluta in tutti i salotti buoni, forse proprio in virtù dell’essere tutto e nulla, e in questo si è riscoperta incredibilmente moderna. Ciononostante, esistono realtà imprenditoriali e finanziarie che già in tempi non sospetti facevano di idee oggi assimilabili a ‘sostenibilità’ la loro forza. All’epoca la definivano semplicemente buon senso. Cosa è cambiato?
Se invece si guarda alla più banale delle tre dimensioni Esg, e dunque l’ambientale, un grande interprete che va distinguendosi nel campo può essere il principe degli investimenti alternativi, il Vino, con performance e volatilità che le asset class tradizionali sognano.
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