Secondo la Nzz, la Banca centrale russa nel suo rapporto relativo all’anno 2022 ha dichiarato che all’incirca il 50% delle sue riserve valutarie internazionali sono stati bloccati all’estero. Un importo ragguardevole se si considera che per la fine del 2022 l’importo complessivo di queste riserve ammontava a circa 580 miliardi di dollari. È questo l’effetto delle sanzioni emanate da alcuni Paesi occidentali, tra cui la Svizzera, su ‘invito’ del governo statunitense, forte anche in questo frangente della posizione della valuta americana nella sua funzione di moneta di riserva prevalente nei rapporti internazionali. Un’arma formidabile per portare pregiudizio a Paesi non graditi e per obbligare altri Stati ad applicare le medesime misure, pena l’adozione di analoghe misure di ritorsione.
In un precedente contributo avevo affrontato la tematica del blocco decretato dalla gran parte dei Paesi occidentali (tra cui, malauguratamente, la Svizzera) su averi di privati cittadini di nazionalità russa e di società aventi sede in Russia dimostrando la mancanza di basi giuridiche e la loro illiceità, venendo a mancare non soltanto la prova ma qualsivoglia indizio di provento di reato, il che avrebbe comunque reso impossibile la loro susseguente confisca. Si metteva quindi in rilievo con preoccupazione che esponenti politici e governativi (anche in Svizzera) non escludono di forzare i limiti legali per poter confiscare gli averi sequestrati.
Analogo discorso, seppur basato su diversi presupposti di legge, deve essere fatto per i fondi bloccati della Banca centrale russa. È un principio assodato del diritto internazionale che gli averi di proprietà di uno Stato godono dell’immunità e non possono di conseguenza fare oggetto di misure di blocco e confisca. Ciò nonostante questo principio viene costantemente violato su sollecitazione del governo americano, forte appunto della posizione ancora rivestita dal dollaro quale moneta di riserva nel commercio internazionale. E anche qui preoccupa la posizione che sembrano assumere i poteri governativi occidentali che con artifici giuridici cercano di svalutare il principio dell’immunità a rischio di una sua non applicazione in futuro anche nei confronti di altri Stati e di loro stessi.
Mentre il governo svizzero, dimentico dei principi di neutralità e di quelli di uno Stato di diritto, è attendista e dichiara per bocca del suo ministro responsabile che è centrale una procedura comune, lasciando aperta la prospettiva di seguire quello che dovessero decidere l’Unione europea e gli Usa, l’Ue ha formulato delle ipotesi sulla possibilità di confiscare se non gli averi bloccati in quanto tali, almeno i proventi derivanti dal loro impiego in prestiti obbligazionari al fine di destinarli al governo di Kiev. La confisca di proventi derivanti da investimenti in corso non sarebbe giuridicamente prospettabile in quanto la Banca centrale russa avrebbe diritto non solo al valore nominale della somma investita, ma anche agli interessi prodotti. Secondo l’artifizio giuridico proposto, invece, una volta che le obbligazioni dovessero venire a scadenza, il controvalore accreditato in conto potrebbe essere reinvestito questa volta in obbligazioni statali a scadenza annuale non più in favore del legittimo proprietario ma di chi ha operato il blocco. Ciò renderebbe possibile ricavarvi un interesse di almeno il 2,6%. Gli stessi guru giuridici dell’Ue sottolineano comunque che, una volta decadute le sanzioni, la Banca Centrale russa avrebbe di principio diritto a liberamente disporre degli averi bloccati.
Tutte queste sono ipotesi di lavoro che faticano a trovare la via di una proposta formale da sottoporre ai Paesi membri. Molti dubbi suscitano anche l’idea di inventare una sorta di ‘imposta’ sugli averi bloccati, anche qui in spregio non solo del principio di immunità, ma anche dei principi di uno Stato di diritto. Per quello che si sa, molti dubbi sul procedimento abbozzato vengono avanzati dalla Banca centrale europea e da alcuni Paesi membri, consci dei rischi insiti nella prospettiva tracciata di confisca, soprattutto in considerazione del pericoloso precedente che si verrebbe a creare e che in futuro potrebbe ripercuotersi su loro.
Sul fronte delle misure da adottare sugli averi sequestrati di persone private, fisiche e giuridiche, gli organi dell’Ue cercherebbero di introdurre nel catalogo delle norme penali fattispecie relative alla criminalità organizzata che abbasserebbero il livello di punibilità fino a eliminarlo quasi del tutto e a introdurre la punibilità di chi si renda responsabile dello sviamento delle sanzioni. Oggetto di discussione sarebbe anche l’idea di potere confiscare, nell’ambito di una supposta lotta alla criminalità organizzata, patrimoni difficilmente riconducibili a reati penali.
Sono tutte proposte chiaramente condizionate dal livore antirusso ancora in voga nelle cancellerie occidentali e sono un segno preoccupante di quanto in basso siano scaduti i principi di legalità e di proporzionalità in molti politici e rappresentanti governativi eletti o non eletti.
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