Una notizia che di recente si è diffusa con la velocità di una tempesta invernale, è stata l’annuncio da parte del premier spagnolo socialista Pedro Sanchez di una particolare misura atta, secondo lui, a contribuire alla soluzione del problematico accesso degli spagnoli all’abitazione: l’aumento del 100% delle imposte in caso di acquisto di immobili da parte di cittadini non residenti in Spagna e non dell’Unione Europea. Sanchez ha assicurato che, nel 2023, i non residenti extra-Ue hanno acquistato 27mila case e appartamenti in Spagna, precisando: “Non tanto per viverci, quanto per speculare e far soldi. Una cosa che, nel contesto di carenza che stiamo vivendo, non possiamo permetterci”. Purtroppo, in chi ci vive o conosce bene la situazione politica spagnola, questo annuncio non ha suscitato grande scalpore, accompagnato ‘more solito’, dalle recite del corifèo dei vari soci dell’estrema sinistra (però, ahimè per loro e per gli spettatori, mai all’unisono) mentre il resto dei cittadini l’ha accolto e dimenticato come un’ulteriore trovata del ‘presi’. Invece, all’estero, si è scatenata la bufera. Pensate ai cittadini britannici (auto-ostracizzati dall’Ue), a quelli degli Stati Uniti e a noi svizzeri, aspiranti a godere del meraviglioso contesto e dei servizi offerti dalla Spagna, per le ferie ma anche per la vita da pensionati.
Sarò condannato a pagare delle imposte esorbitanti per investire in un appartamento o una casa vicino alla spiaggia o al campo di golf? E per chi – non residente in Spagna – è già proprietario di un immobile: come inciderà il fatto di avere più difficoltà a vendere, in caso di bisogno, il proprio immobile col venir meno, verosimilmente, della domanda da parte dei tipici innamorati della Spagna?
Queste ed altre domande, dopo l’ampia eco dell’annuncio sulla stampa internazionale, sono poste alle agenzie immobiliari e agli studi legali e fiduciari locali. C’è chi ha pure previsto un’imminente ondata di acquisti di immobili da parte di chi non vuole prendere il rischio di vedere applicata la norma annunciata con l’effetto collaterale di un aumento dei prezzi. Dato che noi svizzeri siamo tra quelli che in Spagna si trovano bene (senza bisogno di arrivare al mio livello naturalmente), ho ritenuto utile trattare questo tema ed esporrò di seguito gli argomenti che sostengono la mia ipotesi: quest’imposta del 100% non si farà.
Partiamo da una prima questione: in Spagna, le difficoltà di accesso alle abitazioni sono dovute proprio agli investimenti immobiliari da parte di cittadini non Ue non residenti?
Le cifre citate dal signor Sanchez sembrano non corrispondere a quelle reali. Per esempio, quanto alle 27mila unità citate, stando al ‘Consejo General del Notariado’ (che attinge le informazioni statistiche direttamente dai notai coinvolti nelle compravendite) nel 2023 gli immobili acquistati dai non residenti e non residenti Ue sono stati 17mila. Ma anche se la differenza sulle cifre citate è rilevante (63%), provate ad inserirle nel contesto dell’attuale situazione critica dell’accesso agli alloggi in Spagna. Secondo un articolo di Ana P. Alarcos, pubblicato dal portale Idealista: “Da quando è scoppiata la bolla immobiliare, il numero di nuove case in Spagna è cresciuto più del volume di abitazioni esistenti. Di conseguenza, il mercato residenziale nazionale si trova in una situazione di deficit immobiliare da quasi tre lustri che, a sua volta, sta facendo salire i prezzi. Dall’estate del 2010 all’estate del 2024, il mismatch supera le 740mila abitazioni”. Secondo i dati dell’Indagine sulla Forza Lavoro dell’Istituto Nazionale di Statistica (Ine) e del Ministero dell’Edilizia Abitativa e dell’Agenda Urbana (Mivau), analizzati dall’Associazione degli Sviluppatori Immobiliari di Madrid, in questo periodo di 14 anni sono state create nel Paese 1.936.681 nuove abitazioni in termini netti, mentre il numero di abitazioni finite (quelle con il certificato ufficiale di fine costruzione) si è attestato a 1.195.051, per cui il divario tra le due cifre raggiunge le 741.630 unità. È effettivamente così: mancano almeno più di 741mila abitazioni e per risolvere il problema si annunciano misure per dissuadere gli investitori non residenti, e non residenti nella Ue, ad arrivare ad acquistare 17mila abitazioni. Inoltre, il solo senso comune ci porta ad immaginare che la giovane coppia che ‘volens nolens’ deve lavorare per sostenere la propria economia domestica (con un salario minimo di 1.134 euro/mese e un salario medio netto di 1.924,92 euro/mese nel 2024), non sarà alla disperata ricerca proprio dell’appartamento sognato dai pensionati britannici con spiaggia, sole e golf.
Seconda questione: questa iniziativa ha solide basi legali?
Premesso che l’annuncio del premier è stato generico e che, per il momento, non esiste un progetto di legge specifico, sorgono molti dubbi. Per esempio: in Spagna le imposte che gravano le trasmissioni degli immobili sono di competenza delle regioni autonomiche (la maggior parte governata dal centrodestra, ovviamente contrario a queste trovate e comunque a favore degli investimenti esteri in Spagna). L’introduzione di un’imposta statale in quest’ambito potrebbe essere considerata contraria alla Costituzione (rischio in realtà mitigato dal fatto che per il momento il Tribunale Costituzionale spagnolo – composto non solo da giuristi -, è di fatto controllato dal partito socialista e prende decisioni sempre più polemiche a favore del Governo). Forse più chiaro è il problema della compatibilità con la normativa europea, soprattutto a seguito di una sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia Europeo del 2014, che confermava che le norme delle regioni autonome in materia d’imposta di successione e donazione (pure loro trasferite) e che discriminavano i residenti dai non residenti, rappresentavano una restrizione della libera circolazione di capitali, dunque contrarie al diritto dell’Ue. In due sentenze, del 19 e del 30 novembre 2020, il Tribunale Supremo spagnolo si è pronunciato su queste norme regionali concludendo che dovevano essere applicate a prescindere dal luogo di residenza del soggetto d’imposta, sia esso uno Stato dell’Ue o dello See o di uno Stato terzo.
E infine, una terza questione: è prevedibile che il rispettivo disegno di legge venga approvato dal parlamento spagnolo?
A chi non segue le vicende politiche in Spagna, da una parte tale questione può sembrare superflua (di norma un Governo governa con l’appoggio e la fiducia del Parlamento, altrimenti convoca elezioni), dall’altra quanto sto per descrivere risulterà quanto meno pittoresco. In primo luogo va ricordato che il partito socialista di Sanchez non ha vinto le elezioni del 2023, avendo ottenuto 120 seggi contro i 137 del partito popolare di Feijó. Se oggi Sanchez è premier è dovuto a una situazione, più che pittoresca, che ha visto unire i voti dei partiti di estrema sinistra, nazionali e nazionalisti (catalani e baschi, tra questi ultimi anche gli eredi della banda terrorista Eta) e dei partiti di estrema destra nazionalisti (catalani e baschi). Per quanto riguarda i partiti catalani, Sanchez, per ottenere il loro appoggio aveva promesso una legge di amnistia per i condannati (quasi tutti) per il tentativo di colpo di stato del 2017 con la dichiarazione unilaterale di indipendenza della regione. Il problema è che, pur se la legge è stata promulgata, a oggi non ha avuto effetto (per vari motivi) nei confronti del principale interessato, Carles Puigdemont, scappato alla giustizia e latitante a Waterloo (Belgio) da dove dirige comunque il partito nazionalista di destra Junts para Cataluña con sette voti in parlamento. Problema notevole perché proprio quei sette voti sono essenziali per formare la maggioranza parlamentare che ha eletto Sanchez alla presidenza e Puidgemont, frustrato dall’inadempimento delle sue aspettative e in continua lotta con il suo rivale indipendentista in Cataluña, Esquerra Republicana (di sinistra), ha promesso di “far sudare sangue” a Sanchez (tradotto: chiedere controprestazioni in cambio dei voti) per ogni votazione.
A questo si aggiungono le continue rivalità e divergenze fra gli altri partiti di estrema sinistra che si esprimono addirittura nel Consiglio dei ministri (22 i ministri nel 2024…). Risultato: solo nel corso del 2024 il Governo di Sanchez ha perso 75 votazioni in parlamento, con un record storico, raggiunto il 19 dicembre, quando ne ha perse in un solo giorno 20. Gli ultimi preventivi dello Stato sono stati i primi approvati nel 2023, prorogati per il 2024 e lo saranno molto probabilmente anche per il 2025 dato che quelli presentati dal Governo sembra non troveranno l’appoggio della maggioranza parlamentare. Tale situazione atipica (di norma ci si dovrebbe attendere la convocazione di elezioni generali) è condita da una situazione personale del premier Sanchez rocambolesca. Attualmente sono sotto inchiesta giudiziaria (‘imputati’): sua moglie Begoña Gomez per quattro reati e suo fratello David per cinque; lo sono già, o comunque in procinto di esserlo, il braccio destro di Sanchez, José Luis Abalos, e una miriade di ministri e funzionari del partito socialista per casi di corruzione legati al traffico di mascherine durante la pandemia, e soprattutto a un enorme traffico di idrocarburi con una frode al fisco stimata in 231 milioni di euro.
La ciliegina: losca trama internazionale tra il Venezuela di Maduro e movimenti finanziari in Repubblica Domenicana.
Risultato: come titolava El Español giorni fa: “Popolarità di Sánchez ai minimi storici: ha solo il 26% dei consensi e gli elettori del Psoe lo declassano al 6,2”.
Insomma: le risposte alle questioni sopra esposte portano a sostenere con una certa serenità la convinzione che, chi desidera investire in un appartamento in Spagna, lo potrà fare senza lo spauracchio dell’ascia fiscale annunciata da Sanchez e godendosi finalmente sole, spiaggia e il golf: Q.E.D.
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