Il 2024 si prospetta essere un anno complesso sotto molti aspetti, ma non per questo privo di opportunità d’investimento, o parco in termini di rendimenti. Al pari degli anni precedenti si tratterà di gestire le molte sfide con molto sangue freddo, e raziocinio. Sfide che è evidente non mancheranno. Quello che è ampiamente previsto è un raffreddamento generalizzato della congiuntura. Dopo un 2023 debole sulla sponda europea dell’Atlantico, il 2024 dovrebbe vedere un rallentamento anche di Washington, compensato seppur parzialmente da una timida ripartenza di Pechino, entrata forse in una fase di maturità (minor crescita, ma di qualità).
Nel corso dell’anno gli istituti centrali, per fronteggiare conseguenze potenzialmente peggiori della frenata, dovrebbero iniziare a tagliare i tassi. Allo stato attuale è probabile che i mercati dei titoli governativi stiano sopravvalutando il rischio di ‘tassi più alti, più a lungo’, da qui l’opportunità di bloccare liquidità in emissioni di titoli di qualità, e alto rendimento. La Geopolitica, con tutte le conseguenti risposte politiche degli attori in campo, si manterrà al centro della scena. Da un lato gli Stati Uniti stanno entrando nell’anno elettorale, dagli esiti finali incerti (e non è nemmeno chiaro chi saranno i candidati), dall’altro iniziano a essere molti i conflitti in corso, caldi come nel caso di Ucraina e Israele, o freddi, come Cina e Taiwan.
Occidente. Il 2023 si sta per chiudere con una crescita dell’economia americana più robusta delle aspettative iniziali, e importante rispetto a una deludente performance europea. Ad aver contribuito al buon risultato, 2,4% reale rispetto allo 0,5 europeo, hanno contribuito i risparmi in eccesso, residui ancora della fase pandemica, delle famiglie. Durante il 2024 potrà essere invece apprezzato un rallentamento, dovuto in larga misura agli effetti ritardati dell’importante stretta monetaria della Fed, il venir meno di molti programmi di aiuto a famiglie e imprese, oltre agli effetti indesiderati dell’erosione della fiducia dei consumatori: la risalita del tasso di risparmio. Rallentamento non significa però recessione marcata, evitabile grazie a un mercato del lavoro ancora forte, e una robusta attività d’investimento in Intelligenza Artificiale, semiconduttori, infrastrutture ed energia.
Più combattuta la situazione in Europa. Il calo dell’inflazione dovrebbe infatti spingere la crescita dei redditi reali, al pari della tenuta del mercato del lavoro, con dunque un certo supporto ai consumi, a fronte di bilanci familiari sani. Le politiche fiscali ancora espansive dovrebbero poi attutire l’eventuale impatto. Nonostante gli attesi tre tagli dei tassi, la politica monetaria della Bce resterà restrittiva, il credito bancario ancora particolarmente costoso, a fronte di una domanda estera modesta e costi dell’energia volatili.
Cina. L’economia cinese dovrebbe crescere del 4,4%, un dato che in passato avrebbe fatto storcere il naso, ma che potrebbe invece inaugurare una ‘nuova normalità’. I nodi dovrebbero infatti essere venuti al pettine, il gigante asiatico si trova confrontato con una debolezza dei consumi interni, e scarsa domanda estera, oltre a complicazioni sul fronte immobiliare. Geopolitica e riduzione della popolazione attiva, a più lungo termine, non consentiranno più a Pechino di raggiungere i tassi di crescita del passato. Nell’immediato il Governo centrale ha annunciato un piano da 1 trilione di yuan (circa 125 miliardi di euro), che dovrebbe dare una spinta di 0,4 – 0,8 punti percentuali al Pil nel 2024, con nuove misure non escluse. Nel lungo periodo investimenti mirati in digitalizzazione e sviluppo del manifatturiero, più consumo interno, e la transizione ecologica dovrebbe garantire all’economia cinese una certa stabilità, e crescita, seppur minore che in passato.
Guardando agli ultimi dieci anni quanto è accaduto sicuramente non manca per varietà, con una ricchezza sbalorditiva negli ultimi: pandemia, guerre, allentamento monetario e relativa stretta, crisi economica e finanziaria… Ma come sarà invece il prossimo decennio? Dipende dall’evolvere delle D.
Deglobalizzazione. Sembra essere sempre più probabile che il culmine della globalizzazione sia ormai alle spalle. Lo scenario che va delineandosi vede un confronto sempre più aspro tra Pechino e Washington, con il mondo a dividersi in due aree d’influenza. Se nel realizzarsi prevalesse una decisione politica è probabile si aprirebbe una fase di diminuzione dell’offerta di beni e alta inflazione, se invece si imponessero ragioni economiche, l’offerta potrebbe migliorare, al pari del potenziale di crescita, e a minore inflazione.
Demografia. Nella maggior parte dei Paesi la popolazione ha smesso di crescere, e ha anzi iniziato a diminuire, considerato che l’aumento della forza lavoro sia una componente fondamentale della crescita del Pil questo già nel breve periodo potrebbe determinare qualche problema, e un calo del potenziale di crescita. Parallelamente l’aumento del numero di pensionati, e dunque anche del rapporto popolazione attiva/pensionati, passato dall’11,8 al 14,8% in meno di un decennio (è già al 29,1 nei Paesi avanzati, pone ulteriori problemi.
Digitalizzazione. A compensare i problemi demografici può però contribuire il diffondersi del digitale a un ritmo più sostenuto degli ultimi anni. Un’adozione su ampia scala dell’Intelligenza Artificiale potrebbe infatti spingere la produttività anche del terziario avanzato, più che compensando la minor manodopera disponibile sul mercato.
Decarbonizzazione. Da un lato la riduzione dell’impatto dell’attività umana sul pianeta, dall’altro la recente crisi energetica, hanno riacceso i riflettore sul contributo che le rinnovabili potrebbero dare all’approvvigionamento energetico in molti Paesi, ma anche sul come compensare gli eventuali deficit nel breve periodo. La transizione richiede però anche ingenti risorse finanziarie ancora da individuare.
Debito. L’evoluzione dell’ultima ‘D’ è in ampia misura legata agli sviluppi delle prime quattro, e dal loro impatto su crescita, inflazione e dunque tassi d’interesse. Il forte aumento del rapporto debito/Pil dal 2008 in avanti è stato compensato negli ultimi anni da un costo molto contenuto del suo servizio, trend che è tutto da dimostrare possa riproporsi.
A dipendenza degli sviluppi delle cinque ‘D’ gli scenari per il prossimo decennio sono molti variati, da un ritorno ai ruggenti anni Venti, a una lunga stagnazione, alla stagflazione, a un mondo nuovo di bassa inflazione e alta crescita.
Tassi. Già nel corso degli ultimi mesi l’inflazione è andata diminuendo, ed è probabile nel 2024 proseguirà la discesa in direzione del target, sia negli Stati Uniti, che nell’Eurozona, chiudendo tra 12 mesi in area 2-2,5% almeno a livello Core. Entro metà anno le Banche Centrali avranno raccolto sufficienti segnali per essere libere di tagliare i tassi tra 75 e 50 bp, a dipendenza dell’istituto. Allo stato attuale i mercati scontano che la Fed li terrà sopra al 4,2% per i prossimi 5 anni, dato altamente improbabile, essendo statisticamente molto improbabile non si verifichi una recessione, una fase di bassa inflazione o di turbolenza finanziaria. Il raffreddamento della crescita farà scemare le aspettative sui tassi, con il rendimento dei Treasury che dovrebbe chiudere il 2024 in area 3,5%.
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