In questo contesto storico, i cambi valutari e le scelte politiche rappresentano i principali driver dei prezzi. Nella seduta del 22 novembre, il cambio euro/dollaro ha toccato un nuovo minimo annuale, scendendo fino a quota 1,033. Il rafforzamento del dollaro riflette non solo il divario tra la situazione economica statunitense e quella europea, ma anche l’influenza della nuova Amministrazione e l’ipotesi di nuovi dazi verso il resto del mondo, Cina in primis.
Questo apprezzamento del dollaro si è manifestato rispetto a tutte le principali valute globali, coinvolgendo anche quelle emergenti. Tuttavia, l’intenzione di Trump di favorire un dollaro debole per stimolare le esportazioni e migliorare la bilancia commerciale, unita alla necessità di contenere le pressioni inflazionistiche, obiettivo raggiungibile con un ipotetico calo del prezzo del petrolio, potrebbe indicare che il trend rialzista della valuta americana non sia destinato a durare per tutto il 2025 e a tale proposito va seguito il livello di 70 dollari al barile sul Brent.
Questo orientamento potrebbe spingere il cambio dollaro/yuan verso valori inferiori a quelli attuali di 7,25, riportandoli più vicino ai minimi annuali registrati a fine settembre, a 6,97. Il Governo cinese ha annunciato la rimozione del rimborso dell’Iva sull’export di prodotti in alluminio e rame. Questa decisione potrebbe generare un aumento dei prezzi sui mercati internazionali, in quanto le aziende cinesi potrebbero ridurre l’export di questi prodotti verso il resto del mondo.
In Europa, la situazione appare tutt’altro che positiva. Sebbene l’inflazione sia vicina all’obiettivo del 2%, l’industria continua a mostrare segnali di rallentamento. Di conseguenza, il mercato sta già scontando un aumento del differenziale tra i tassi di riferimento della Bce e quelli della Fed, ipotizzando una maggiore probabilità di tagli futuri a Francoforte.
La forza del dollaro si sta rivelando un peso per i prezzi delle materie prime. Il future del Co2 quotato in euro, ad esempio, ha fatto un minimo esattamente il 6 novembre a 62,4 euro per poi toccare un massimo relativo nella seduta del 25 novembre a 71,5 con un incremento del 14,5%. Tuttavia, il valore rimane distante sia dal massimo annuale di 78,1 sia dal record storico (agosto 2022) di 99,2.
La debolezza dell’euro ha portato la valuta a perdere terreno anche nei confronti del franco svizzero. Infatti, l’euro/franco ha segnato un nuovo minimo annuale in area 0,92 il 22 novembre, con un lieve recupero in chiusura mensile in area 0,93 nonostante le aperture da parte della Bns per futuri tagli dei tassi d’interesse.
Metalli. Dopo il calo post elezioni, il rame ha toccato un minimo a 8.870 dollari, superiore al livello del 5 agosto a 8.714. Una rottura del supporto a 8.700 potrebbe spingere i prezzi fino a 8.200, mentre il superamento della resistenza a 9.200 aprirebbe la strada verso i 9.800.
L’alluminio, invece, ha vissuto una forte volatilità dopo l’annuncio cinese della rimozione del rimborso Iva sulle esportazioni, oscillando in un range tra 2.600 e 2.700 dollari. Una rottura di quest’ultimo livello, considerato un’importante resistenza a causa dell’intensificazione dell’export cinese prima dell’annuncio, potrebbe innescare un nuovo slancio, spingendo i prezzi fino a 3.000 dollari.
Per quanto riguarda il nickel, torna alla ribalta l’idea di quotarlo su un Exchange diverso dall’Lme. In particolare, si ipotizza una quotazione sullo Shfe di Shanghai dal marzo 2025. Questa transizione potrebbe introdurre nuova volatilità nei prezzi, insieme all’opportunità di monitorare lo spread tra le due quotazioni, mettendo in dubbio il ruolo storico di Londra.
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