Le ultime indicazioni sullo stato di salute dell’economia svizzera mostrano un netto peggioramento e alimentano il rischio di una contrazione del Pil nel corso dei prossimi trimestri. Secondo i dati dell’Ufficio Nazionale di Statistica, già nel secondo trimestre di quest’anno la produzione industriale è calata dell’1,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Ciononostante, nella prima metà dell’anno il buon andamento del turismo e della domanda domestica hanno mantenuto il Pil su un sentiero di crescita, seppure in moderazione.
Tuttavia, il quadro è peggiorato significativamente durante i mesi estivi. L’indice composito dei direttori degli acquisti (Pmi) è sceso significativamente già nella parte finale del secondo trimestre. Le prospettive per il prossimo futuro sono particolarmente preoccupanti alla luce del crollo del portafoglio ordini evidenziato dalle aziende partecipanti all’indagine. Osservando l’andamento dei principali settori economici, risalta l’improvvisa debolezza dei servizi, che si somma ora a quella già evidente da diversi mesi del settore manifatturiero. Quest’ultimo risente delle difficoltà dell’industria nell’Unione Europea, principale partner commerciale della Svizzera, e del rallentamento del commercio internazionale.

Invece, le aziende del settore dei servizi sembrano aver di colpo risentito della stretta monetaria messa in atto dalla Banca Nazionale Svizzera, dal giugno 2022. Dato il ritardo con cui gli effetti della politica monetaria impattano sull’economia, non è sorprendente che dopo oltre un anno dall’inizio degli aumenti dei tassi di interesse la crescita del Pil rallenti, in particolare nei settori più legati alla domanda domestica come appunto i servizi.
Inoltre, pesa sulle prospettive di domanda di servizi non di prima necessità la cautela manifestata dalle famiglie nei confronti dei consumi. Ciò riflette il forte peggioramento della situazione finanziaria personale rispetto a inizio 2022. Secondo l’indagine della Seco il peggioramento del quadro finanziario delle famiglie è il più intenso degli ultimi cinquant’anni. Anche in questo caso, è evidente l’effetto delle politiche restrittive adottate dalla Bns al fine di riportare l’inflazione all’interno della fascia obiettivo 0-2%. Infatti, per far scendere l’inflazione la Banca Centrale deve inevitabilmente riuscire a rallentare la domanda finale.
Osservando l’andamento dei principali settori economici, risalta l’improvvisa debolezza dei servizi, che si somma ora a quella già evidente da diversi mesi del settore manifatturiero. Quest’ultimo risente delle difficoltà dell’industria nell’Unione Europea, principale partner commerciale della Svizzera, e del rallentamento del commercio internazionale
Da questo punto di vista è quindi incoraggiante che negli ultimi mesi le imprese svizzere di servizi abbiano mostrato un deciso cambio di rotta per quanto riguarda l’intenzione di aumentare i prezzi di vendita. Guardando ancora al Pmi, nel settore dei servizi la tendenza a ridurre i prezzi di vendita ha raggiunto un grado di diffusione che si era osservato solo durante la pandemia e dopo lo shock valutario del 2015. Se quindi è migliorato il quadro inflazionistico, non va però trascurato che in entrambi questi periodi, l’economia svizzera è entrata in recessione.
Per quanto paradossale, la Bns potrebbe accogliere favorevolmente l’emergere di segnali di evidente rallentamento. La forza della domanda domestica e le conseguenti pressioni al rialzo sui prezzi dei servizi sono state spesso indicate tra le principali ragioni alla base degli aumenti dei tassi di interesse. Il crescente rischio di una contrazione del Pil e la prospettiva di una significativa moderazione dei prezzi nei prossimi mesi suggeriscono che la manovra restrittiva operata dalla Bns è stata efficace. Di conseguenza, l’istituto potrebbe concludere che i tassi di interesse abbiano già raggiunto un livello sufficientemente restrittivo da riportare stabilmente il tasso di inflazione all’interno della fascia obiettivo 0-2%.