TM   Settembre 2024

La giustizia scende in pista

La decisione finale della Grande Camera della Cedu nel caso “Caster Semenya contro Svizzera” potrebbe rappresentare una svolta storica nel rapporto tra arbitrato sportivo e diritti umani. L’Opinione di Giacomo Keller, studente di diritti dell’Università di Zurigo e presidente del Circolo Giovani Giuristi.

Giacomo Keller

di Giacomo Keller

Studente di diritto all’Università di Zurigo e Presidente del Circolo Giovani Giuristi

Atleti

La vicenda della pugile algerina Imene Kehlif, esplosa durante le recenti Olimpiadi di Parigi, ha riacceso il dibattito decennale tra i diritti umani, e in particolare il divieto di discriminare sancito dall’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), e il mondo dello sport. L’intricata questione che divide la giustizia sportiva concerne il diritto a non essere discriminate di atlete con un livello naturale di testosterone superiore alla media. 

Il caso più simbolico in questo contesto è quello della mezzofondista sudafricana Caster Semenya, vincitrice di due medaglie olimpiche negli 800 metri e di tre titoli mondiali, oltre a numerosi titoli nella Diamond League. La sua biografia è però strettamente legata alla sua condizione genetica innata di persona intersex, ovvero nata con caratteristiche biologiche non conformi alle norme sociali o alle definizioni mediche di ciò che rende una persona maschio o femmina. Questa differenza di sviluppo sessuale (in inglese Dsd, Difference in Sex Development) porta il corpo a produrre una maggiore quantità di ormoni, soprattutto testosterone, rispetto ad altre donne.

Nel 2018 la World Athletics ha adottato un nuovo regolamento Dsd che vietava alle atlete con livelli di testosterone naturali superiori a 5 nmol/l di gareggiare in vari eventi sportivi, tra cui gli 800 metri. Semenya è stata dunque costretta a scegliere tra l’effettivo obbligo di sottoporsi a trattamenti ormonali per soddisfare i requisiti e l’esclusione da tutte le gare internazionali degli 800 metri nella categoria femminile. Dopo un breve periodo di cure ormonali, Semenya si è rifiutata di proseguire, trovandosi così esclusa da tutte le competizioni. Contro questo provvedimento, la sportiva sudafricana ha presentato dinnanzi al Tribunale arbitrale sportivo di Losanna (Tas) un’istanza di arbitrato chiedendo di valutare la congruità del regolamento Dsd, considerandolo discriminatorio contro le atlete intersex.

Pur riconoscendo l’esistenza di una discriminazione, il Tas ha tuttavia ritenuto che il diverso trattamento fosse necessario, ragionevole e proporzionato per assicurare l’equità delle competizioni sportive. Con decisione del 25 agosto 2020 anche il Tribunale federale, competente per esaminare i lodi del Tas, è giunto alla medesima conclusione.

Non soddisfatta dalle argomentazioni di questi tribunali, Semenya si è rivolta alla Terza Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con sentenza del 15 maggio 2024, ha capovolto entrambe le precedenti decisioni, ritendendo discriminatorio il contenuto dal regolamento Dsd e concludendo che il Tribunale federale, nel contesto della sua sentenza, non avesse fornito sufficienti garanzie procedurali e istituzionali ai sensi della Cedu, suggerendo così all’autorità giudiziaria svizzera di modificare il sistema di revisione dei lodi arbitrali sportivi.

La Corte aveva già una volta decretato la necessità di una revisione del sistema arbitrale sportivo nell’ottica dei diritti umani con la decisione Mutu e Pechstein contro Svizzera. Questa sentenza richiamava però unicamente il Tf e dunque indirettamente anche il Tas ad applicare gli obblighi procedurali derivanti dall’art. 6 della Cedu (diritto a un equo processo), mentre nulla era mai stato deciso nell’ambito dei diritti sostanziali come il divieto di discriminare.

Ora, se la decisione della Terza Camera venisse confermata anche dalla Grande Camera, l’ultima istanza della Corte di Strasburgo, verrebbe sancita la necessità anche per un’istituzione giudiziaria privata come il Tas di allinearsi agli obblighi sostanziali derivanti dalla Cedu, storicamente rivolta invece unicamente agli Stati. Il Tribunale federale, dal canto suo, verrebbe chiamato a interpretare questi obblighi con un margine di apprezzamento molto più ristretto rispetto a quanto fatto finora. I diritti sostanziali derivanti dalla Cedu dovrebbero dunque essere garantiti non solo dagli Stati contraenti ma anche indirettamente dal Tas, assicurando così maggior protezione per le atlete intersex e per gli altri atleti vittime di discriminazioni. E Caster Semenya avrebbe vinto la sua personale battaglia.

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