TM   Settembre 2025

Emblema della dolce vita

Esprime l’eleganza vacanziera. Priva di portiere, con sedili in vimini e colori pastello, la piccola auto da spiaggia ha catturato l’essenza di un’epoca fatta di ottimismo e bellezza. Rappresenta ancora oggi un pezzo di storia automobilistica, un’icona da collezione che sfida il tempo e la modernità, raccontata da Marco Betocchi, appassionato e collezionista di auto d’epoca. 

Marco Batocchi

di Marco Betocchi

Appassionato collezionista e socio, dal 1990, dell’Automobile Club de Monaco

Fiat Jolly su base seicento
Nel 1957 la carrozzeria Ghia (oggi di proprietà dell’americana Ford) presentò la prima Fiat Jolly su base Fiat Cinquecento, alla quale seguì il modello su base Fiat Seicento (qui in foto). Fu la nascita di un mito.

Mentre l’estate volge ormai al termine, il pensiero vola all’indietro, non solo di qualche mese ma di molti anni, tornando a quel tempo lontano in cui il genio automobilistico italiano fu capace di produrre non solo auto sportive che facevano sognare il mondo ma anche piccole vetture che rappresentavano perfettamente quell’estate esistenziale, fatta di ottimismo, eleganza e gusto di vivere. Era il 1957 quando la carrozzeria Ghia (oggi marchio di proprietà dell’americana Ford) presentò la prima Fiat Jolly su base Fiat Cinquecento, alla quale seguì il modello più prestazionale su base Fiat Seicento con il suo motore quattro cilindri. Fu quest’ultima, con la sua linea vagamente ispirata alla nautica, completamente aperta e priva di portiere, che diventò la vera icona di quel ristretto segmento, come lo si definirebbe oggi.

Divertenti e facili da guidare, le Jolly ebbero un grande ma effimero successo e in breve tempo fu facile vederle in tutti i loro bellissimi colori pastello sulle strade delle riviere italiane, della Costa Azzurra ma anche delle località ultra-chic degli Hamptons americani. Sono entrate rapidamente nei garage delle case al mare più eleganti, utilizzate indifferentemente da lui o da lei per andare in spiaggia o anche per una serata al ristorante, parcheggiate con nonchalance di fianco a costose spider o coupé.  Ho lontani ma nitidi ricordi legati a una Jolly Seicento rosa, con tendalino a fiori e splendidi sedili in vimini, che si intravedeva all’ombra del giardino della villa di proprietà di un elegante gentiluomo a Bordighera, dove si narrava si fossero svolte feste leggendarie alla presenza anche di Hedy Lamarr, bellissima star di Hollywood. La stessa vettura che, nel momento in cui nessuno le voleva più, fu comprata da un famoso chirurgo lombardo, padre di un caro amico di gioventù, che ci consentiva di usarla ogni tanto la sera.

Erano automobili meccanicamente identiche a quelle di grande serie – persino volante e strumentazione erano uguali –  economiche e affidabili ma molto esclusive non solo nel prezzo, in proporzione molto elevato, ma soprattutto nell’utilizzo prettamente vacanziero, con l’idea di potersi distinguere senza eccedere e senza ostentazione. Un’idea di auto priva di senso pratico diventata simbolo del senso della vita, di quella vita, dolce ed elegante. Oggi, nell’epoca dei Suv ibridi, tutti uguali con le loro ruote enormi e i vetri scuri, a qualcuno è venuta l’idea di riproporre le “spiaggine” prodotte su base di moderne vetturette elettriche, oppure trasformando qualche vecchia Fiat Cinquecento sopravvissuta. Ma è un esercizio privo di stile e privo di senso, perché quei tempi non torneranno mai e forse è meglio, per chi se lo può permettere, cercare qualche esemplare originale che, a caro prezzo, può consentire di rivivere per un attimo quelle atmosfere irripetibili.

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