Nel dicembre 2023 i futures sui Fed Fund incorporavano una possibile riduzione dei tassi d’interesse americani di 150 bp, ossia una discesa dal 5,5% attuale al 4. Con il passare del tempo in aprile le attese si sono ridotte alla metà, anche e soprattutto in considerazione del dato di marzo sull’inflazione americana che si è attestato a +3,5% su base annua, più alta delle aspettative: nella migliore delle ipotesi, i tassi americani a dicembre sarebbero quindi intorno al 4,75%.
Il processo di riduzione dei tassi è stato avviato a sorpresa dalla Bns il 21 marzo scorso, con la decisione di un taglio di 25 bp, da 1,75 a 1,5%. Questa mossa è stata figlia di dati positivi sull’inflazione, contenuta sul territorio elvetico, e in conseguenza anche di un forte rafforzamento del franco avvenuto nell’ultimo paio d’anni contro le altre principali valute. Il franco è stato considerato da molti investitori come un asset rifugio in un contesto di forte tensione geo-politica su più fronti. Situazione analoga vissuta dai metalli preziosi come l’oro, il bene rifugio per eccellenza, che sta toccando ad aprile nuovi massimi storici oltre 2.350 dollari per oncia, ma anche dall’argento che si sta portando nuovamente verso 30 dollari l’oncia come già nel 2021.
Gli addetti ai lavori non sono certo stati colti di sorpresa dal rialzo che si è verificato sin da gennaio, un’accelerazione non certo insolita per la natura del comparto. Questa è infatti una situazione simile a quella vissuta nel 2021 e potrebbe essere il segnale anticipatore di una ripartenza verso l’alto dell’inflazione, ragione per cui è difficile credere a una lunga serie di ribassi dei tassi e suggerisce di considerare la possibilità di una possibile pressione sui prezzi, soprattutto nel 2025. Questa eventualità avrebbe forti ripercussioni dal punto di vista finanziario, andando a colpire il mercato delle obbligazioni, che al momento sconta esclusivamente uno scenario di ribasso dei tassi. Tra i vari settori spicca la salita delle soft commodity, guidate dal cacao con un +159% da inizio anno, seguito dal caffè (+14%), dallo zucchero (+7%) e dal cotone (+6%), ma si trovano rialzi decisi anche nell’energy, con il Brent a + 21%, con evidenti ripercussioni.
La materia prima che potrebbe distinguersi maggiormente nel prossimo futuro è però il rame, che al momento segna +10% da gennaio e che sarà prevedibilmente in deficit di offerta per il decennio 2025/2035. Il fatto che già nei primi tre mesi sia arrivato sui massimi dell’anno precedente fa propendere verso un possibile nuovo record storico, dopo che aveva sfiorato gli 11mila dollari per tonnellata nel marzo 2022.
Il rialzo del rame ha trainato tutto il comparto dei metalli industriali: alluminio, zinco, nickel e stagno hanno tutti mostrato una tendenza rialzista. In particolare, il mercato dell’alluminio fisico si trova in una fase di incremento dei prezzi causata da una lieve ripresa della domanda in Europa e soprattutto dalla situazione di forte tensione attualmente in atto nel canale di Suez, passaggio fondamentale per l’approdo di metallo nel Mediterraneo.
Il prezzo del nickel sulla borsa di Londra invece ha interrotto la fase ribassista in atto per tutto il 2023 dopo la decisione dell’Indonesia, da cui dipende circa metà della produzione globale, di ridurre il ritmo di crescita delle loro produzioni per la prima volta in 10 anni. Il trend positivo mostrato da queste materie prime sui mercati finanziari può essere da anticipatore di una possibile ripresa economica del settore industriale nel continente europeo, ormai in rallentamento dalla seconda metà del 2022.
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