Sarà un caso fortuito, ma la Svizzera si è vista ‘regalare’ i dazi americani fra i più alti proprio il primo agosto, cioè il giorno della festa nazionale. E perfino subito dopo che la presidente delle Confederazione Karin Keller-Sutter, con una telefonata diretta, avesse compiuto un ultimo tentativo di convincere Donald Trump a moderare le proprie intenzioni.
Anzi, sembra che proprio questa telefonata lo abbia indotto a non tenere in nessuna considerazione le ragioni, più che fondate, dei negoziatori svizzeri. A essere valutato è soltanto il deficit commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Svizzera, che è di una quarantina di miliardi di dollari. Ha perfino peggiorato una prima intenzione, che era quella di stabilire dazi al 31%, salendo al 39% generalizzato!
Quasi subito ci si è comunque accorti che l’importazione di oro proveniente dalla Svizzera in alcuni anni è quasi pari al totale del deficit commerciale citato e si è quindi provveduto a esentare l’oro dal dazio generale. E questo anche perché si tratta di oro soltanto lavorato in Svizzera, dove risiedono tre delle cinque maggiori raffinerie al mondo, delle quali due sono attive nel canton Ticino.
A quanto si dice, e la stampa svizzera ha puntualmente riportato, la presidente della Confederazione avrebbe impartito a Trump una lezione di economia, facendogli notare le possibili conseguenze a livello mondiale, a medio e lungo termine, della politica protezionistica degli Stati Uniti attraverso le tariffe doganali. Trump è però ben lungi dal tener conto dei fattori economici nelle sue decisioni e usa i dazi favorendo chi gli piace e sfavorendo chi, per un motivo e per l’altro, fuorché solo economico, non gli piace.
Dal 7 agosto l’economia svizzera, il cui Pil è dipendente per metà dalle esportazioni, con gli Stati Uniti fra i maggiori clienti, deve accollarsi un dazio del 39% oltre alla penalizzazione dovuta alla forte svalutazione del dollaro nei confronti del franco e agli effetti indiretti provocati nei Paesi che hanno un forte import-export con la Svizzera. Effetti che si sono già visti perfino prima dei nuovi dazi. L’inevitabile irritazione è stata poi accentuata dal fatto che la Svizzera, attraverso lunghe trattative, era convinta di essere tra i Paesi che non avrebbero sofferto della nuova politica americana.
«Sarà un caso fortuito, ma la Svizzera si è vista ‘regalare’ i dazi americani fra i più alti proprio il primo agosto. E perfino subito dopo che Karin Keller-Sutter, con una telefonata diretta, avesse compiuto un ultimo tentativo di convincere Donald Trump a moderarsi»
Tesi che sembrava confermata dagli incontri avuti a Washington dalla Presidente, nonché responsabile delle finanze, con Guy Parmelin all’economia, e da alcuni rappresentanti dei maggiori settori economici.
Non si è invece tenuto conto dell’imprevedibilità del presidente americano e delle sue simpatie o antipatie, anche solo temporanee. Mentre l’economia si sta preparando al peggio, la Politica non ha perso tutte le speranze e sta preparando nuove proposte da sottoporre a Trump. Sottomettendosi al gioco del “io ti do se tu mi dai”, insito nella mentalità e nella pratica di Trump. Con quali risultati? È sempre più difficile dirlo. Un fatto forse più certo, fra tante incertezze, è l’imprevedibilità a livello mondiale tanto economica quanto politica.
Per la Svizzera, il Segretariato di Stato all’economia (Seco) valuta che alcuni rami e alcune aziende verranno colpiti duramente dalle decisioni americane, per cui si possono prevedere riduzioni dei tempi di lavoro e un leggero aumento della disoccupazione. Questi effetti non dovrebbero estendersi subito all’intera economia. Per il resto dell’anno l’evoluzione del Pil dovrebbe solo leggermente rallentare. Con due trimestri in calo, il rischio di una recessione tecnica è in agguato.
Più forti potrebbero invece essere le ripercussioni nei prossimi anni. Ma, grazie a un’economia solida, nel 2026 il Seco calcola una crescita del Pil dello 0,8%, ben inferiore alle previsioni precedenti dell’1,2. In sostanza, dopo due trimestri già deboli, nel 2026 si dovrà contare su un’evoluzione ancora debole, ma non con una pesante recessione, con un forte aumento della disoccupazione. Il tutto però avvolto in un manto di grosse incertezze.
Se nuove trattative con Trump potessero avvicinare i dazi a quelli europei (15%) le cose migliorerebbero e il Pil potrebbe galleggiare sopra l’1%. Molto dipenderà dall’esito delle discussioni sul Pharma. Nel frattempo, comunque, il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Svizzera si è già ridotto. Se poi si tiene conto del commercio dell’oro, già nel secondo trimestre 2025 potrebbe essere scomparso! I dazi al 39% non sarebbero così più giustificabili, nemmeno per Trump.
© Riproduzione riservata