Il 2024 è stato un anno importante per gli asset rischiosi. L’Msci World e il Bloomberg Global High Yield hanno reso rispettivamente circa il 17% e l’11% in dollari. Meno brillante, nonostante il calo dell’inflazione, l’indice Bloomberg Global Aggregate, con copertura in dollari, che ha reso solo il 3,40%, ossia meno della semplice liquidità.
Guardando all’intero 2025, tali performance saranno difficilmente ripetibili. L’inflazione non è più in discesa, e anzi potrebbe ripartire, alcuni istituti potrebbero essere dunque costretti ad alzare i tassi, mettendo in discussione la narrativa dell’allentamento monetario che ha sostenuto i mercati finora. Le tensioni commerciali e geopolitiche se possibile stanno ulteriormente crescendo, andando a insistere su valutazioni pregresse ai minimi, il potenziale per un’inversione dei premi per il rischio è dunque rilevante.
In un contesto di mercati generalmente costosi, i titoli finanziari europei si distinguono per il livello di rendimento offerto dal credito subordinato e dalle azioni. Prima di gennaio il 40% dei rimborsi del l’intero 2025 era già stato pre-rifinanziato e il resto è generalmente ad alto reset. Il trend in forte miglioramento dei titoli obbligazionari, anche subordinati, è destinato a continuare, con molti emittenti in outlook positivo. Il quadro tecnico appare solido, poiché è probabile che gli afflussi nei fondi di credito superino un’offerta netta piatta o addirittura negativa.
Sul fronte delle azioni bancarie europee, un rendimento degli utili del 15%, rendimenti azionari stabili e la possibilità di incrementare ulteriormente le distribuzioni a lungo termine attraverso le operazioni di M&A e l’ottimizzazione del capitale posizionano il settore per un quinto anno di sovraperformance. Gli investitori dovrebbero concentrarsi non sul rumore, ma sui fondamentali:
Margini. I ricavi al netto degli interessi continueranno a beneficiare della duration raggiunta dai bilanci, delle curve più ripide e della crescita dei depositi. La sensibilità al livello dei tassi d’interesse è ancora positiva in aggregato, ma si è ridotta significativamente, in alcuni casi fino a 4 volte, limitando l’impatto dell’allentamento monetario sui margini, pur al netto di uno scenario macroeconomico profondamente evoluto in pochi mesi;
Commissioni. Sono il perfetto contrappeso al probabile andamento dei tassi di interesse. Se questi infatti dovessero scendere più del previsto, i prestiti, i flussi della clientela e i mercati dei capitali si espanderanno più del previsto. La continua volatilità macro fornirà un supporto;
Bilanci. La qualità degli attivi sarà sostenuta dal miglioramento del reddito reale dei consumatori in Europa, e dalla stabilizzazione del settore immobiliare;
Extra ricavi. Un allentamento delle pressioni normative sul settore, e la spinta alle cartolarizzazioni miglioreranno la generazione di nuove entrate, sostenendo un aumento dei pagamenti agli azionisti;
M&A. Le operazioni di fusione e acquisizione, sia bolt-on che su larga scala, contribuiranno a migliorare sia la qualità del mix di ricavi sia l’efficienza dei costi.
Il quadro di riferimento. Il consensus di mercato iniziale prevedeva un atterraggio dei tassi di Francoforte compreso tra l’1,75 e il 2,25%, in presenza di una crescita normalizzata dei depositi, una crescita debole del Pil, una ripresa delle commissioni grazie a un leggero miglioramento dei mercati e dell’attività creditizia, nonché su un ritorno alla media degli accantonamenti per perdite su crediti. Nel complesso, ciò si traduce in una variazione minima dell’attuale Roe del settore per il 2025 e il 2026.
Complessivamente i fondamentali sembrano ben isolati dalle oscillazioni macro. Il principale fattore di rischio è il ritorno a tassi molto bassi. Si stima che ogni spostamento di 100 bp della curva dei tassi comporti una riduzione degli utili del 10% circa per il settore. Ipotizzando tassi all’1%, il Roe del settore sarebbe comunque a due cifre, al netto dell’impatto migliorativo da commissioni.
I margini dell’industria bancaria. Quando si proiettano i ricavi al netto dei tassi d’interesse, il primo passo è capire il divario del profilo di repricing tra attività e passività. In genere le banche presentano un maturity gap positivo, il che significa che le attività impiegano più tempo a riprezzare rispetto alle passività. Questo divario varia in modo significativo a seconda del tipo di istituto e del Paese.
Questo spiega perché, in presenza di un calo dei tassi a breve termine, i margini aumenteranno per alcune banche e diminuiranno per altre. Nell’attuale contesto, le banche che gestiscono gap di scadenze più ampi e sono più sensibili all’inclinazione della curva dei rendimenti piuttosto che al livello dei tassi a breve termine offrono un profilo di ricavi più interessante.
È importante notare che nell’ultimo biennio le banche hanno ridotto la loro sensibilità ai tassi, in modo passivo grazie alla presenza di un maggior numero di depositi a termine e sensibili ai tassi sul lato delle passività, e in modo attivo grazie all’aumento delle dimensioni dei receiver swap. A contare è sì la sensibilità al livello dei tassi, ma anche la ripidità della curva.
Un altro fattore importante da seguire sarà il ‘beta inverso’, ossia la misura in cui le banche saranno in grado di trasferire i tagli dei tassi sulla remunerazione dei depositi. I primi segnali sono incoraggianti. I tassi sui depositi a termine sono già scesi significativamente dal picco raggiunto nel 2023, diminuendo a una velocità di circa 6-7 bp al mese. Inoltre, i clienti non stanno più spostando fondi dai conti correnti.
Sul fronte dei volumi, la crescita dei depositi dovrebbe stabilizzarsi sul 3-4%, con un mix stabile tra conti correnti, di risparmio e a termine. La crescita dei prestiti al settore privato dovrebbe essere invece ancora modesta, di circa l’1%, al di sotto della crescita del Pil nominale.
Il rischio principale, ma remoto, rimane il ritorno a tassi inferiori all’1% su tutta la curva. Il quadro decisionale della Bce è utile per capire perché potrebbe essere difficile abbassare troppo i tassi, pur in presenza di un quadro macro volatile:
– I dati sull’inflazione interna sono ancora al di sopra dell’obiettivo. Oltre l’80% del paniere dei servizi presenta un’inflazione annua superiore al 3%;
– Le proiezioni sull’inflazione indicano un deflatore del Pil al 2,1% nel 2026 e 2027 e incorporano ipotesi forse ottimistiche sul fronte della produttività;
– Le indagini sui prestiti bancari e l’aumento dei prezzi degli immobili indicano che la politica monetaria potrebbe non essere più restrittiva.
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