
Miglior ateneo europeo secondo il Times Higher Education World University Rankings 2024, che lo colloca all’undicesimo posto a livello mondiale, e settimo del prestigioso QS Quacquarelli Symonds, il Politecnico federale di Zurigo oltre a presidiare la vetta delle classifiche di formazione e ricerca vanta fra i tanti atout anche una collezione di arte grafica fra le più vaste e rinomate a livello internazionale: 160mila opere su carta che, dalle xilografie a foglio singolo alle tecniche basate sul computer, comprendono disegni, taccuini di schizzi, libri d’artista e fotografie. Accanto a nomi celebri come Dürer, Rembrandt, Goya, Munch, Picasso o Giacometti, comprende disegni e stampe di epoche passate, dai naturalisti ai vedutisti alle illustrazioni più popolari, arrivando fino ai massimi esponenti della contemporaneità come Louise Bourgeois, Andy Warhol o Miriam Cahn, e alle ultime sperimentazioni di giovani emergenti svizzeri.

Una realtà che si inscrive perfettamente nella concezione che ha portato l’ETH Zürich a distinguersi come eccellenza, ricordando sin dalle sue origini a studenti e ricercatori come prima ancora che ingegneri fossero uomini, per riprendere la celebre esortazione di Francesco De Sanctis nella sua prolusione nel 1856, tanto programmatica da essere stata incisa su una targa commemorativa, tuttora conservata nell’edificio principale. La vocazione a fornire una formazione armoniosa di mente e spirito, stimolando il pensiero critico e le abilità creative, si è tradotta da subito nell’offerta di corsi che esulassero dai tipici curricula di una scuola politecnica: lingue e letterature, diritto, economia politica, fino all’antichità classica. Spetta proprio all’ETH Zürich il merito di aver creato, fra le prime istituzioni universitarie in area germanofona, una cattedra di Storia dell’arte e architettura. Quasi subito si dotò di un Kupferstichkabinett con una sua collezione di disegni e stampe che, proprio come quelle di mineralogia o geologia, doveva fungere da risorsa didattica, per lo studio e l’insegnamento. Forse oggi, in un’epoca che ci sommerge di immagini digitali, si tende a dimenticare, ma dal Rinascimento al tardo Ottocento, prima della diffusione su larga scala della fotografia, le stampe hanno svolto un ruolo fondamentale nella condivisione della conoscenza, tanto in campo artistico, grazie alla cosiddetta “incisione di traduzione” usata per riprodurre dipinti e opere d’arte, quanto in quello scientifico per rappresentazioni naturalistiche e tecniche.

Se le primissime opere della Graphische Sammlung ETH Zürich provenivano dai depositi delle botteghe di oggetti di arte locale, ben presto la qualità è decollata grazie a importanti acquisizioni, a partire dalle 10mila opere dei principali esponenti della grafica del XVI-XVIII secolo raccolte dal vedutista Johann Rudolf Bühlmann, appassionato collezionista: il suo fondo fu comprato per 40mila franchi, grazie al lascito del sindaco zurighese Johann Jakob Hess e alle risorse messe a disposizione da Città, Cantone e dall’Associazione degli Zürcher Kunstfreunde. Il salto decisivo è arrivato con la donazione da parte del banchiere zurighese Heinrich Schulthess-von Meiss: oltre 12mila fogli, fra incisioni a bulino, acqueforti e xilografie. Una raccolta straordinaria che includeva i maggiori nomi della grafica, da Schongauer a Goya, tra cui 291 opere di mano del solo Rembrandt, costituita non unicamente grazie alla sua disponibilità finanziaria, ma anche ad approfondite conoscenze e non comuni abilità di negoziatore. Un lascito che ha proiettato la fama della Collezione ben al di fuori delle mura del Politecnico e anche dei confini nazionali, iniziando ad attirare appassionanti e curiosi.
Sono anche gli anni in cui il Kupferstichkabinett viene trasferito nell’edificio principale progettato da Gottfried Semper, dove oggi si trova nell’ala sudovest. Le mostre monografiche e tematiche una volta allestite direttamente nel deposito, dal 1969 passate alla sala d’angolo che, dopo il recupero degli arredi originali, è tornata a mostrare l’impronta dei suoi elementi caratteristici con le boiseries e i soffitti a cassettone.

A un secolo e mezzo di distanza, rimane intatta la duplice vocazione che vede la Collezione rivolgersi tanto alla comunità di studenti e ricercatori dell’ETH Zürich, quanto al grande pubblico con una ricca programmazione di esposizioni (però di breve durata, considerata la fragilità del supporto cartaceo), incontri, visite alla sala studio e un catalogo online che conta ormai 50mila voci. Nel frattempo ha continuato a popolarsi per colmare le lacune e restare al passo con i tempi, integrando attraverso l’acquisizione mirata di opere d’arte contemporanea i più recenti sviluppi nel campo dell’arte su carta.
Accanto a capolavori di grandi artisti del passato e contemporanei, con la nicchia della grafica di autore, si trovano illustrazioni che descrivono il mondo in tutti i suoi aspetti, come le raffigurazioni di insetti del Suriname di Maria Sibylla Merian, imprenditrice e insegnante annoverata tra i maggiori entomologi del Settecento, le scenografie dei Bibiena che attestano la novità della prospettiva diagonale, a doppio punto di fuga, le vedute scientifiche delle Alpi di Hans Conrad Escher von der Linth (ben settecento nella Collezione) o i progetti architettonici di Peter Zumthor che nel 1997 si è affidato alle tecniche tradizionali dell’acquatinta e dell’acquaforte per i piani del museo d’arte da costruire sulle rovine della chiesa di Santa Colomba a Colonia. Non minor importanza per la loro rappresentatività storica e sociale viene riconosciuta alle stampe popolari, sebbene siano state realizzate in serie a basso costo e siano circolate per anni prima di essere acquistate dai collezionisti. Ampio spazio è riservato all’arte svizzera del Sette-Ottocento, con circa 30mila opere, ma anche ad excursus sulla scena emergente. Altro caposaldo sono i libri di artista, nutrito da donazioni di bibliofili e degli stessi artisti.
Proprio in questa varietà e nel suo respiro transdisciplinare risiede il fascino di una collezione di arte grafica. All’intersezione fra arte e scienza, materiale e immateriale, sollecita lo scambio di prospettive fra mondi altrimenti distanti.
Le crescenti collaborazioni fra la Graphische Sammlung ETH Zürich, i diversi Dipartimenti del Politecnico, la sua Biblioteca e anche istituzioni esterne ribadisce la convinzione dell’importanza delle sinergie fra insegnamento e ricerca così come con altre realtà, per contribuire a una formazione diversificata. Ricordando – come ha sottolineato il presidente dell’ETH Zürich Joël Mesot – che il progresso tecnologico merita questo nome soltanto quando si pone a servizio dell’uomo e garantirlo dipende dal continuo dialogo fra scienza e società. Oltre al suo valore artistico e storico, una collezione di arte grafica come questa, che spazia dai tempi del torchio di Gutenberg all’odierna smaterializzazione della riproducibilità tecnica all’infinito, può anche diventare un monito a non trascurare complessi interrogativi come quelli sollevati dalle mistificazioni dei deepfakes ma anche essere un invito a esplorare le nuove frontiere dell’imaging di cui il Politecnico federale di Zurigo, non a caso, è fra i protagonisti.

Di solito custodite con estrema cura negli armadi e nelle cassettiere di archivio della Graphische Sammlung ETH Zürich, solo per brevi periodi le sue opere di arte grafica vengono portate alla luce, e ancor più di rado abbandonano la loro sede per esposizioni esterne. Ragioni che rendono imperdibile la mostra proposta dal Museo d’arte della Svizzera italiana (Masi Lugano). Fino al prossimo 7 gennaio, presenta una selezione di trecento capolavori della Graphische Sammlung ETH Zürich, offrendo uno spaccato quantomai rappresentativo della sua ampiezza e rilevanza. Un viaggio lungo sei secoli, dal Cinquecento a oggi, che allinea in un percorso cronologico esponenti di spicco della storia dell’arte europea – da Albrecht Dürer a Rembrandt, da Goya a Maria Sibylla Merian, Pablo Picasso e Edvard Munch – accanto ai lavori di creativi viventi, come John M Armleder, Olivier Mosset, Candida Höfer, Susan Hefuna, Shirana Shahbazi o Christiane Baumgartner. Da questo raro ed eccezionale confronto tra gli antichi maestri e le creazioni più contemporanee emergono connessioni inaspettate e sorprendenti: temi come il processo di creazione dell’opera d’arte, il rapporto tra copia e originale, la trasmissione di motivi e iconografie, ma anche la collaborazione tra professionalità diverse in campo artistico attraversano la storia della grafica fin dalla sua nascita e toccano aspetti oggi ancora attuali.
Oltre a mettere in luce l’ampio spettro delle tecniche grafiche – dalla xilografia all’incisione a bulino fino all’acquaforte e alla serigrafia – la mostra del Masi presenta anche disegni, fotografie e multipli. Il progetto espositivo propone inoltre informazioni e curiosità su origini, funzioni e importanza delle opere attraverso i secoli.
Ad aprirlo la grande parete su cui, secondo lo ‘stile Pietroburgo’, sono appesi autoritratti o ritratti di artiste e artisti: Antoine Watteau, Angelika Kauffmann, Rembrandt e la moglie Saskia, Anton van Dyck, Maria Sibylla Merian, Max von Moos, Meret Oppenheim, Markus Raetz e tanti altri ancora sembrano invitare i visitatori a scoprire la Collezione del Politecnico di Zurigo che a Lugano trova una vetrina d’eccezione, per un Ticino che con questa esposizione si dimostra punto di incontro privilegiato fra Nord e Sud.
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