TM   Dicembre 2023

Le molte vite di un’esistenza unica

È scomparso questo 3 dicembre Léonard Gianadda. Mecenate, filantropo e collezionista, ma anche fotoreporter, ingegnere, imprenditore, … Tante sono state le vite che ha intrecciato in 88 anni. Capace di sognare in grande, ha portato Martigny e la Svizzera fra le destinazioni d’arte di riferimento in Europa con il progetto della Fondazione in memoria del fratello Pierre.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

© Héloise Maret. Léonard Gianadda nel Parco delle sculture della Fondazione, suo orgoglio.

Prima ancora della sua stessa nascita, il 23 agosto 1935, la vita di Léonard Gianadda è iniziata nel 1889 con quella del nonno Battista, che tredicenne raggiunge la Svizzera a piedi dal Piemonte in cerca di lavoro, senza sapere una parola di francese. Lo impara presto alle scuole serali, come il disegno, tanto bene da aprire poi un’impresa di costruzioni a Martigny. Da lui, insieme alla professione il nipote erediterà la vocazione al perfezionismo.

Poi è stato il quindicenne che, nell’anno del Giubileo, per la prima volta esce dalla Svizzera per raggiungere Roma dove la madre, cattolica molto credente, lo porta insieme ai fratelli. È da poco finita la guerra, l’occasione anche per visitare Firenze, Napoli, Pompei, Capri, Ischia: per Léonard è una folgorazione, il primo dei tanti viaggi che da allora lo condurranno per il mondo – Stati Uniti, Grecia, Egitto, Mosca, Spagna e Marocco fino a Birmania, Tailandia, Indonesia, Hong Kong, Giappone, … La macchina fotografica con cui si accompagna inizialmente per piacere personale gli dà lo spunto per proporsi come reporter alla stampa locale, diventando poi il primo corrispondente della Tsr in Vallese nel 1957.  In parallelo prosegue la vita dello studente: dopo una brillante maturità classica si lancia nell’ingegneria civile.

Anche la vita del Léonard marito nasce dalla fotografia: galeotto Georges Simenon, che ha l’occasione di ritrarre. Gli scatti realizzati fanno la gioia dello scrittore che li fa acquistare dal suo editore parigino, staccando un assegno da cinquemila franchi, un’enormità quando lo stipendio mensile di un ingegnere era di 700 franchi circa. Léonard prova anche a proporle al locale ufficio del turismo. Alla reception lo accoglie la giovane segretaria Annette, che rimane molto colpita dalle foto… e dal fotografo. Lo affiancherà per oltre sessant’anni, illuminandolo con la sua sensibilità per l’arte e la musica classica, divenuta sua grande altra passione.

Ma prima dell’uomo d’arte, Monsieur Gianadda è stato l’imprenditore: dopo la laurea all’Epfl avvia il suo studio di ingegneria. È il 1960, seguono anni di intenso lavoro e di grandi affari, nella regione realizza circa 1500 appartamenti guadagnando una fortuna. Niente sembra fermarlo, nemmeno le vestigia di un tempio gallo-romano rinvenute durante gli scavi per un edificio di 16 piani (un grattacielo a quelle latitudini) in periferia di Martigny: dopo gli accertamenti del caso riceve luce verde, ma è comunque contrariato dalla coincidenza – lui che di archeologia era appassionato. Proprio allora irrompe la notizia della tragica scomparsa dell’amatissimo fratello minore Pierre, suo complice in tanti viaggi avventurosi, vittima di un incidente aereo. È l’estate del 1976. Léonard decide di rendergli omaggio intestandogli una fondazione e di costruirne la sede proprio su quel terreno, preservando i resti del tempio. Due anni dopo, il 19 novembre 1978, nel giorno in cui avrebbe compiuto 40 anni, viene inaugurata la Fondation Pierre Gianadda.

© Michel Darbellay
La Fondation Pierre Gianadda immersa nella natura, a Martigny.

Ed è una nuova vita che ha inizio. L’esordio non sembrerebbe dei migliori: Léonard viene truffato da un curatore che allestisce una pomposa mostra intitolata Cinque secoli di pittura: le opere però si rivelano “croste buone per il mercato delle pulci”, come le definisce un articolo su 24 heures, a firma dell’illustre critico André Kunzi. Léonard depone però l’iniziale risentimento per la sua penna impietosa – per di più l’articolo era apparso proprio il giorno del suo compleanno – e accetta di incontrare Kunzi come gli ha suggerito un comune amico. Lo sfiderà a organizzare una mostra migliore di quella recensita con tanta avversione. Ne nascono le prime esposizioni di successo della Fondazione: Picasso e Klee. Grazie alla sua facilità nel tessere relazioni, alla capacità di conquistare con la sua semplicità franca e diretta gli interlocutori – siano i più blasonati curatori e direttori museali, grandi collezionisti o artisti – Léonard supera ogni aspettativa. Poter esporre un giorno un Monet? No, ben cento ne arriveranno a Martigny, fra cui anche il seminale Impression, soleil levant e decine di Cézanne, Goya, Rodin, Giacometti, Schiele, Lautrec, Chagall, Degas, Manet,  …

Nel 2000 la mostra su van Gogh ha segnato il record di 500mila visitatori; in totale sono quasi 11 milioni ad aver raggiunto la Fondazione in questi 45 anni, che nel frattempo ha sviluppato la sua offerta culturale: il Museo archeologico gallo-romano, quello dell’Automobile che possiede la collezione più importante di vetture svizzere, una stagione musicale di prima qualità e il Parco delle sculture, che era il suo maggior orgoglio (classificato quinto più bello d’Europa) dove tanto amava passeggiare con Annette: una panoramica di 50 opere sulla scultura internazionale del XX secolo, che spazia da Henri Moore a De Kooning. Una visione che si è estesa anche alla città: le 19 rotonde che hanno rimpiazzato tutti i semafori di Martigny, unica in Svizzera ad averli aboliti, sono tutte dotate di una scultura di un artista svizzero offerta da Léonard. Di donazioni è stato generoso con la sua città, il mondo dell’arte e non solo, anche con tante iniziative a sostegno dei più svantaggiati.

© Michel Darbellay
In primo piano una delle cinquanta eccezionali sculture del parco della Fondazione, Large reclining figure di Henry Moore, 1982.

Non sono mancate le onorificenze, pur mai sollecitate, fra cui quella di unico membro svizzero dell’Accademia di Belle Arti di Francia. Nel 2009, ha creato la Fondazione Annette e Léonard Gianadda e, nel 2019, la Fondation Léonard Gianadda – Mécénat per dare continuità alle attività filantropiche in futuro.

Nei mesi che hanno preceduto la sua scomparsa, avvenuta questo 3 dicembre, aveva parlato con franchezza. Rallegrandosi finalmente per il successo avuto, vissuto sempre con scaramanzia da italiano nel cuore – origini da cui sempre ha riconosciuto che venisse la sua sensibilità per l’arte. Sapendo che proseguiranno i concerti, le attività culturali e anche le mostre, ma senza farsi illusioni che i fasti dei suoi anni, le mostre da record di ingressi, i prestiti roboanti, possano ripetersi, riconoscendo quanto questa avventura sia stata un unicum, legata alla sua personalità di “leone ascendente leone”, come amava definirsi. L’empatia che questo gigante dal metro e 93 di altezza sapeva creare con i suoi interlocutori non è replicabile. Stupiva regolarmente, ottenendo prestiti impensabili per chi non aveva dalla sua una collezione altrettanto importante con cui contraccambiare e proiettando Martigny e la Svizzera fra le destinazioni incontournables dell’arte europea. Se la possibilità di finanziare ampiamente le sue ambizioni è stata fondamentale, non basta il portafoglio a fare un Léonard Gianadda. Ci vogliono impegno, anima, visione, intuito e anche fortuna.

Nell’estate del 1947, il canonico Amédée Allimann, insegnante al Collège de Saint-Maurice, scrisse entusiasta ai genitori di Léonard annunciando che era diventato il primo della classe: “Della sua vita deve fare qualcosa di grande e di bello”, esortava. All’epoca non aveva che 12 anni. Una profezia. Solo di recente Léonard ha scoperto la lettera che mamma e papà avevano celato affinché non si montasse la testa. Nella sua vita, anzi nelle tante vite che in questi 88 anni si sono intrecciate e hanno tenuta viva quella di Pierre, molto di grande e di bello ha fatto quel promettente Léonard.

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