TM   Ottobre 2024

Opposti, complici e complementari

La simmetria assiale di due percorsi che, nella loro complementarità, sono unitaria espressione di totalità: nel vuoto di Yves Klein e nel pieno di Arman si fronteggiano la smaterializzazione spirituale dell’essere e l’accumulazione seriale dell’avere. Ponendoli vis-à-vis grazie all’ispirato allestimento di Mario Botta, la mostra della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati ne evoca la vertigine concettuale.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

Fra i dualismi che attraversano la storia dell’arte – e con essa l’umano intuire di cui è espressione e l’equilibrio cosmico in cui si inscrive – quello fra pieno e vuoto si pone alle origini stesse dell’atto creativo con pari forza della dicotomia fra luce e oscurità. Se, come tale, è insito nella tensione generativa di ogni opera, unica rimane l’interpretazione congiunta che ne hanno dato due protagonisti del Nouveau Réalisme come Yves Klein (1928-1962) e Arman (1928-2005): il ‘guardiano del vuoto’ e il ‘magnificatore del quantitativismo’, secondo la calzante definizione proposta dallo stesso Arman. Si erano conosciuti a scuola di judo, disciplina che per Klein rappresentò la prima esperienza della dimensione spirituale che avrebbe cercato di comunicare con la sua opera. Di lì a breve, su una spiaggia della loro Nizza, insieme al poeta Claude Pascal, i due coetanei e conterranei si sarebbero spartiti simbolicamente il mondo: ad Arman la terra e le sue ricchezze, a Yves il cielo e il suo infinito. Non una boutade: i loro percorsi sono sempre proceduti paralleli e complementari, anzi si potrebbe dire che così sia stato anche dopo la prematura scomparsa di Klein, nel 1962, che con sua irreversibile assenza ha avverato in misura ancor più radicale il concetto di vuoto eletto a suo principio poetico. 

Maquette delle absidi pentagonali ideate da Mario Botta
Maquette delle absidi pentagonali ideate da Mario Botta per sottolineare con l’allestimento della mostra le consonanze e le antinomie dei linguaggi espressivi dei due artisti. © Mario Botta Architetti.

Una corrispondenza esplicitata dalla nuova mostra della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Yves Klein e Arman. Le Vide et Le Plein, in programma fino al prossimo 12 gennaio. Impostazione concettuale e allestimento espositivo procedono all’unisono: Mario Botta ha magistralmente reinterpretato lo Spazio -1 rievocando una dimensione sacrale entro cui consentire il puntuale confronto fra linguaggi e poetiche dei due artisti proposto dal curatore Bruno Corà. Cinque absidi poligonali simmetriche – a sinistra Klein, a destra Arman – racchiudono nuclei fondanti della loro produzione, rivelando sottili rimandi, reciproche influenze, personali inclinazioni e progressivi avanzamenti. Un vis-à-vis serrato, quasi fossero stanze di un comune poema, se come voleva Lao-Tze – punto di riferimento della visione di Klein – “è solo dal non-essere che si realizza l’essere”.

Una mostra che concretizza un progetto realizzato in vita solo in maniera imperfetta, differita, dai due artisti: immediatamente a seguire l’esposizione presso la Galerie Iris Clert di Parigi con cui il 28 aprile 1958 Klein, che compiva quel giorno trent’anni, portava all’apoteosi la sua interpretazione dell’immaterialità introducendo gli invitati in uno spazio vuoto, le pareti intonacate di bianco – intitolata Le Vide -,  Arman avrebbe voluto proporre, a mo’ di dittico, la sua Le Plein, che dovette però attendere altri due anni per vincere le perplessità della galleria, che questa volta, era il 25 ottobre del 1960, saturata da oggetti, mobili e rifiuti accatastati, impediva l’accesso ai visitatori, costringendoli a sbirciare dall’esterno.

La sintesi, oggi finalmente attuata, presenta sessanta opere fra le più emblematiche dei rispettivi percorsi: sul versante sinistro, dedicato a Klein, si succedono nove splendidi Monochromes, le impronte di cinque Anthropométries, una selezione di iconiche Éponges e di Reliefs, ma anche un particolare lavoro a quattro mani con Jean Tinguely come l’Excavatrice de l’espace, (S19), che introducendo la variabile del moto porta alla smaterializzazione ottica del disco blu di Klein; le Cosmogonies con i loro echi rosacrociani – dottrina che segna la formazione del giovane Klein come più tardi la filosofia zen – fino alle Peintures de Feu, elemento primigenio in cui trova “l’essenza dell’immediato”. In questa sala finale, si incontrano simbolicamente i due itinerari paralleli, laddove Arman del fuoco si serve come strumento del suo istinto distruttore, generatore al contempo di nuove forme, come il violino bruciato e poi conservato sotto resina del 1969. Conclusione preceduta da un excursus che, dai Cachets e le Allures d’objets in apertura, con cui Arman cominciava a catturare le impronte degli oggetti, passa alle Poubelles e alle Accumulations, con cui da fine anni ’50 la società dei consumi diventa protagonista delle sue opere: rifiuti, rasoi elettrici, tubetti di pittura, mani di bambole, ingranaggi di orologi, … compressi all’interno di plexiglass e teche di legno, diventano l’iperbolico memento della produzione seriale. Sezionando anatomicamente l’oggetto, Colères et Coupes ne svelano invece i meccanismi e le strutture interne. Infine giunge il confronto con l’oggetto della produzione industriale per eccellenza, l’automobile, con Arman a cogliere l’invito di Renault a utilizzare parti costruttive dei suoi modelli. Ne nascono 106 opere in due anni: accumulazioni iconiche e ironiche come Les ailes jaunes (1967)e Spaghetti-Sauce Renault (1968), entrambi presenti nell’ultima abside.

Non bisogna cadere nell’errore di pensare che la prosaicità dell’arte per addizione di Arman esca sconfitta dal lirismo per sottrazione di Klein. Il percorso dialogico ne dimostra semmai la pari dignità. Perché se immenso è il salto gnoseologico che Klein ha fatto compiere all’arte introducendo la dimensione dell’immaterialità, Arman ha dal canto suo avuto il coraggio di assumere su di sé la quantità come aspetto poetico, intuendo come fosse lo Zeitgeist del contemporaneo. Stabilendo un rapporto viscerale con l’oggetto – e difatti non solo accatasta, ma seziona, maltratta, rompe, brucia i materiali raccolti, … – un approccio molto diverso, malgrado una comune matrice, da quello dissacrante ma eminentemente concettuale di un Duchamp, che con i suoi ready-made elevava la merce ad arte ‘semplicemente’ ricontestualizzandola. La rarefazione in cui l’allestimento di Botta distilla anche gli accumuli di Arman – ulteriormente sottolineata dal gioco di estroflessioni e nicchie che scandisce ogni singola abside – ne rivela tutta la potenza e l’attualità.

Due artisti sodali ma molto diversi fra loro, entrambi decisivi nella formazione della sensibilità artistica e dell’identità di collezionista di Giancarlo Olgiati. Fresco di laurea in Economia e Diritto, inviato a Düsseldorf per un praticantato alla Commerzbank, è entrando per pura curiosità nella Galerie Schmela che ‘incontra’ i Nouveaux Réalistes e, soprattutto, Yves Klein. In quella piccola prestigiosa galleria d’Avanguardia che, insieme a Richter, Polke e opere del Gruppo Zero, esponeva una selezione di lavori del nizzardo, rimane folgorato dalla potenza rivoluzionaria di quella visione concettuale e spirituale. Non farà in tempo a conoscerlo di persona – Klein scompare due mesi dopo – mentre con Arman, che anche scopre in quell’occasione, stringerà una profonda amicizia e complicità artistica, e sarà proprio Arman, suggerendogli di visitare la galleria Fonte d’Abisso Arte a Milano di Danna nel 1985, l’artefice del felice incontro (come nel 1957 lo era stato di quello fra Klein e Rotraut Uecker, ragazza alla pari presso la sua famiglia, con cui l’amico visse un’intensa relazione nei restanti anni, come ha ricordato la stessa vedova presente all’inaugurazione di questa mostra).

Nella nostra epoca in cui l’horror vacui trova un ‘economico’ antidoto in una produzione di massa che moltiplica non più soltanto le distrazioni materiali, ma altrettanto, se non più generosamente, quelle digitali – di fatto sancendo con il virtuale la scissione fra immaterialità e spiritualità – ogni margine per la ricerca dell’assoluto sembra essere occluso, soffocato. Perché spazio e tempo rimangono le due condizioni ineludibili dell’esistere e di ogni atto creativo. Con l’universale linguaggio dell’arte, questa mostra e le opere dei suoi due grandi protagonisti, grazie alla sensibilità di chi l’ha voluta e curata, sanno ricordarlo. 

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Yves Klein e Arman
Le Vide et Le Plein
Collezione Giancarlo e Danna Olgiati
Riva Caccia 1, 6900 Lugano
Fino al 12 gennaio 2025