TM   Marzo 2025

Caravaggio, ritratto dal vero

Grazie a uno dei più ambiziosi progetti espositivi mai dedicati all’opera del Merisi, in occasione del Giubileo 2025 tornano per la prima volta a Roma, nelle splendide sale di Palazzo Barberini, capolavori un tempo parte della sua collezione, insieme a prestiti eccezionali che ritraggono a tutto tondo un radicale innovatore. Più che mai vivo fra i contrasti delle sue luci e delle sue ombre.

di Mirta Francesconi

Palazzo Barberini / © Alberto Novelli & Alessio Panunzi
Palazzo Barberini, centro irradiante a Roma della cultura seicentesca e luogo simbolo della connessione tra Caravaggio e i suoi mecenati, è il fulcro dell’ambizioso progetto espositivo “Caravaggio 2025”, in corso fino al prossimo 7 luglio / © Alberto Novelli & Alessio Panunzi.

Ventiquattro capolavori di Caravaggio: raro poterne ammirare una simile concentrazione – e non sono le solite affermazioni iperboliche che, alla prova dei fatti, si rivelano di poca sostanza. Alcuni, vero, già appartengono alla collezione permanente delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, ma non si è giocato in casa, quanto semmai voluto fare proprio di Palazzo Barberini, centro irradiante a Roma della cultura seicentesca e luogo simbolo della connessione tra l’artista lombardo e i suoi mecenati, il fulcro di un ambizioso progetto espositivo nell’anno di Giubileo – e in materia qualcosa ne sapeva bene il padrone di casa, quel Maffeo Barberini che, al di là del singolo che nel suo pontificato come Urbano VIII gli sarebbe stato di spettanza, fra il 1623 e il 1640, ne indisse ben altri otto straordinari.

Ecco allora. accanto al San Francesco in meditazione, al San Giovanni Battista, alla Giuditta e Oloferne e al Narciso, tornare nelle splendide sale della reggia barocca opere quali I Musici del Metropolitan, I Bari oggi in Texas e la Santa Caterina entrata nelle collezioni Thyssen-Bornemisza negli anni Trenta del Novecento: tre opere che Antonio Barberini aveva acquistato nel 1628 dalla collezione del cardinal Francesco Maria del Monte. E poi ci sono tre presenze eccezionali, da collezioni private, normalmente inaccessibili: l’Ecce Homo, comparso nel catalogo di una casa d’aste a Madrid nel 2021 e, vincolato a restare entro i confini spagnoli, acquisito da un collezionista britannico con residenza in Andalusia; la Conversione di Saulo della cappella Cerasi, qui nella prima redazione che si differenzia dalla finale per il supporto utilizzato, una tavola di legno cipresso di grandi dimensioni, molto più preziosa della tela; infine, anche questo mai mostrato in pubblico fino allo scorso autunno quando proprio qui Gallerie Nazionali di Arte Antica è stato svelato, il Ritratto di Maffeo Barberini, fra i rarissimi ritratti dipinti dal Merisi a esser giunto, seppur sotto traccia, fino a noi.

Gli elenchi corrono il rischio di tediare, ma cotanta qualità merita di essere almeno in parte menzionata e lascia anche intuire il grande lavoro di diplomazia culturale dietro un evento come questo, dal titolo semplice e puntuale: Caravaggio 2025. Che pone però in realtà una domanda: come si può ancora presentare in maniera originale, oggi, un artista tanto studiato e su cui ogni genere di esposizione è stata organizzata, comprese le molte immersive che tentano di supplire all’assenza di opere e budget con un profluvio di pixel? Ecco che il parterre di eccellenze qui schierato diventa occasione per una rilettura davvero immersiva dell’opera di Caravaggio, ripercorrendone l’intera parabola artistica, dal “Debutto romano” intorno al 1595 al “Finale di partita” nel 1610, con gli ultimi rocamboleschi giorni avvolti dal mistero. Sono questi due i temi-guida delle sezioni che, rispettivamente, aprono e chiudono il percorso, che al suo interno contempla due affondi, l’uno – non poteva che essere così – dedicato alla grande stagione del “Dramma sacro tra Roma e Napoli”, inaugurata dal ciclo della cappella Contarelli nel 1599, spartiacque per la produzione caravaggesca che si confronta per la prima volta con quadri di historia e da questo momento si dedicherà quasi esclusivamente a temi sacri, dando avvio al suo distintivo stile tragico.

Meno evidente, la terza sezione sulla sua ritrattistica, a fronte delle poche testimonianze che ne sono giunte, ma che, come avvallano le fonti archivistiche e le stampe, dovette essere molto vasta e stimata. Dimostrativo proprio il Ritratto di Maffeo Barberini, pubblicato per la prima volta da Longhi nel 1963, che conferma la profondità della pittura del Merisi, capace di immortalare la complessità dell’animo umano: qui, il futuro Urbano VIII, ancora prelato, stringe in mano una pergamena, probabilmente quella che decreta la sua nomina a Chierico di Camera Apostolica, nel 1598, mentre con il braccio destro indica qualcosa fuori dalla tela, invadendo lo spazio dello spettatore: Caravaggio riesce così, insieme alla prospettiva creata dalla sedia di sghembo e alla regia di luci e ombre, sua cifra stilistica, a creare in una postura di per sé statica l’azione, a suggerire l’ambizione che ne farà un pontefice e un’implicita tensione drammatica.
Come ben si sa, l’artista spesso però si serviva, anche per i dipinti a soggetto religioso, di persone dei ceti sociali più umili, che qui ritroviamo nella bellissima modella – forse la celebre cortigiana Fillide Melandroni – che presta la sua immagine per, esposte, Marta e Maria Maddalena, Giuditta che decapita Oloferne e Santa Caterina d’Alessandria, opera quest’ultima che una svolta capitale nella produzione artistica del pittore: secondo un suo antico biografo, Giovan Pietro Bellori, infatti, è qui che comincia a “ingagliardire gli oscuri”, avviando un processo che giungerà a piena maturazione nelle tele della cappella Contarelli.

Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, Ritratto di Maffeo Barberini
Caravaggio, “Ritratto di Maffeo Barberini”, 1598 ca, olio su tela, 124 x 90 cm. Collezione privata, è fra i rarissimi ritratti dipinti dal Merisi a esser giunto, seppur sotto traccia, fino a noi.

Promossa dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica con la Galleria Borghese e il supporto della Direzione Generale Musei – Ministero della Cultura, appena inaugurata e in programma fino al 6 luglio a Palazzo Barberini (che già di per sé vale la visita e permette anche di ricordare il genio architettonico dei ticinesi Maderno e Borromini), Caravaggio 2025 mette in luce gli snodi più significativi della breve (39 anni) ma prolifica vita del pittore, fra Milano, Roma, Napoli, Malta e Sicilia, arricchendone la conoscenza con nuovi tasselli importantissimi e così ribadendone il ruolo seminale nella cultura figurativa europea, per una volta puntando meno sul mito di una figura dall’esistenza che si tinge degli stessi contrasti delle sue tele e più sulla consistenza di un lavoro di approfondimento e sinergie perfettamente orchestrato, grazie anche all’eccellente lavoro dei curatori – l’esperta del Caravaggio Maria Cristina Terzaghi, la Direttrice Galleria Borghese Francesca Cappelletti, e il Direttore Gallerie Nazionali di Arte Antica Thomas Clement Salomon.

Ventiquattro capolavori, anzi venticinque perché extra moenia ma eccezionalmente visitabile in occasione della mostra, è il Giove, Nettuno e Plutone, l’unico dipinto murale eseguito da Caravaggio (1597 circa) all’interno del Casino dell’Aurora, a Villa Ludovisi (Porta Pinciana) su commissione del cardinale del Monte per il soffitto del camerino in cui quest’ultimo si dilettava d’alchimia. Una chicca poco nota del primo periodo nella Città Eterna del pittore, testimone del suo rapporto con il suo primo facoltoso mecenate romano, al servizio del quale era entrato nel 1597, realizzando capolavori di quella “pittura comica” che caratterizza la sua fase giovanile come I Musici, la Buona Ventura e i Bari, ancora contraddistinti da un uso della luce lontano dai possenti chiaroscuri della maturità per cui è universalmente noto, ma certo non meno interessante per apprezzarne l’evoluzione così fulminea e comprendere le radici della sua capacità di raccontare l’animo umano nelle sue sfaccettature più profonde, dall’innocenza alla violenza, dalla speranza alla disperazione, a tutto tondo, nella sua verità.

Solitamente esposto a Napoli presso le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, parte delle sue collezioni, il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio è uno dei 24 capolavori che impreziosiscono la mostra a Palazzo Barberini, di cui la Banca è Main sponsor.

L’opera è di fatto l’ultima del Merisi, realizzata poco più di un mese prima della sua morte. Commissionata dal principe Marcantonio Doria (la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant’Orsola), fu eseguita con molta rapidità, probabilmente perché si accingeva a partire per Porto Ercole per essere graziato dal bando capitale – viaggio in cui però trovò la morte. Uscita dallo studio del pittore ancora fresca di vernice e incautamente esposta al sole, la tela è andata incontro a una sofferta conservazione. Ai travagli patiti nei secoli – guasti, ampliamenti, ridipinture, che ne avevano profondamente alterato la leggibilità e la chiarezza iconografica – ha posto rimedio l’importante restauro promosso dalla Banca, sua acquirente, tra il 2003 e il 2004. L’anno scorso, in vista di questa nuova esposizione, dopo essere rientrato in estate dalla National Gallery di Londra cui era stato prestato per una mostra in occasione dei 200 anni del museo, il quadro è stato oggetto di un importante lavoro di pulitura che ha portato alla luce tre nuove figure attorno alla santa scomparse nel tempo. Inoltre è stato dotato di una nuova cornice secentesca, adattata al climaframe realizzato per garantire una conservazione ottimale.

“La responsabilità di avere in collezione l’ultimo dipinto di Caravaggio impone il coinvolgimento dei migliori studiosi, dei massimi esperti e delle imprese private con le maggiori competenze tecniche, nella consapevolezza di prendersi cura di un pezzo di patrimonio universale. Ogni decisione è discussa insieme a Sovrintendenza e Ministero. Il restauro conservativo, la cura attenta, la nuova cornice e una migliore protezione permettono al pubblico di conoscere sempre meglio il valore delle collezioni di Intesa Sanpaolo”, ha commentato Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia. Con il suo piano pluriennale “Progetto Cultura”, la Banca esprime il suo impegno per la promozione dell’arte e della cultura italiana al fianco delle istituzioni pubbliche e dei principali musei nazionali, oltre che con la cura delle sue raccolte d’arte.

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