
Il mondo dell’Asset Management negli ultimi anni ha assistito a un progressivo complicarsi del panorama svizzero, anche a fronte di una fase congiunturale non semplicissima, e ricca di incognite. Se l’emergenza pandemica aveva colto tutti impreparati, e il conflitto in Europa orientale non ha aiutato, è anche vero che ad aver fatto spesso la differenza sono state le soluzioni proposte e poi adottate per farvi fronte, i cui effetti a distanza di mesi e anni vanno puntualmente protraendosi.
«La Piazza elvetica è un mercato particolarmente ambito, ma sotto molto aspetti anche ormai saturo. Negli anni gli operatori attivi si sono moltiplicati, nuove realtà sono nate, molte Case estere si sono profilate e stanno cercando di ritagliarsi una posizione, tra queste anche Eurizon. Il fatto che ci si stia infine lasciando alle spalle un 2022 eufemisticamente molto complicato contribuisce nell’accrescere le pressioni al raggiungimento almeno nel 2023 di performance positive, fondamentali per mantenere la fiducia della clientela. Si tratta di un anno di transizione, in cui la parola d’ordine è ‘difendere’, le posizioni acquisite e le ottime performance realizzate negli ultimi mesi», esordisce così Manuel Dalla Corte, responsabile Svizzera di Eurizon Capital.
Difficoltà congiunturali che vanno a insistere su un settore a sua volta molto cambiato in un arco temporale tutto sommato molto ridotto. «Ho inaugurato io il mercato svizzero per conto di Eurizon cinque anni fa, ma se consideriamo la lunga stasi dovuta al Covid, ci troviamo ancora agli inizi di una sfida molto importante. Da che sono attivo nel settore, dunque dal 2004, l’attenzione si è spostata sui numeri, oggi disponibili in qualunque momento e al centro delle decisioni d’investimento. Qualche anno fa a fare la differenza era spesso la persona, il rapporto di fiducia e la conoscenza reciproca avevano un peso, oggi è il rendimento ad aprire la conversazione, e la reputazione della Casa a chiuderla. Il brand ha un ruolo chiave di garanzia nei confronti del cliente finale, al pari delle masse amministrate», prosegue il manager.
Rimangono le peculiarità della Piazza, de facto barriere all’ingresso significative, per un mercato che comunque rimane particolarmente ambito, seppur storicamente già ben presidiato. Eppure, il gioco deve valere la candela, anche considerato il trend di mercato degli ultimi anni. «Masse intorno ai 400 miliardi di euro, un Gruppo importante alle spalle, e la vicinanza all’Italia, sicuramente ci facilitano il compito nelle regioni più meridionali della Svizzera, dove il brand è già affermato, nel parlare con banche e indipendenti. Il principale ostacolo si conferma il franco, e l’expertise necessaria per gestire prodotti in valuta, i più richiesti dagli istituzionali, oltre alla presenza già molto forte di competenze di Asset Management da parte di operatori domestici, inevitabilmente meglio inseriti. Nonostante le molte difficoltà stiamo comunque crescendo bene, e il Ticino si conferma un mercato chiave, dalla nostra abbiamo infatti una insolitamente facile accessibilità al gestore da parte della clientela anche più piccola, impensabile nel caso di istituti di anche analoghe dimensioni ma esteri», sottolinea Dalla Corte.
Si tratta pur sempre di un peso massimo del mercato italiano, intorno a cui nel corso degli anni si è modellato, ma a cui ha anche aggiunto presidi nel resto del continente, e oltre. «Siamo attivi ormai da tempo in tutti i principali Paesi europei, dunque in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. La maggior parte del personale resta concentrato su Milano, con team specializzati in altre sedi come Londra, che opera sul mercato cinese, o il Lussemburgo che copre strategie a tracking error limitato. Il fatto che Eurizon sia nato in Italia ha profonde implicazioni non solo culturali, ma anche di know how, siamo storicamente molto forti sul reddito fisso che è sempre stato il pilastro portante dei portafogli italiani, il che ad esempio torna utile ora, mentre sono anni che stiamo potenziando i team di azionario. L’industria dell’Asset Management sta attraversando una fase complessa, l’aumento del numero degli operatori deve essere controbilanciato da competenze e prodotti attrattivi, al tempo stesso bisogna difendere la posizione, trattenendo masse e clienti in un momento in cui la tentazione per gli investimenti diretti sta crescendo», rileva il manager.
Contrastare l’aumento della concorrenza con una crescente differenziazione della proposta solleva però non pochi problemi, in primis a livello di risorse da investire, tra cui chiaramente spicca il capitale umano in un continente che presenta dinamiche demografiche già deteriorate. Quindi come fare? «Un elemento chiave è il tempo, specie nella nostra industria in cui a essere decisivo è il track record. A pagare sono gli investimenti, effettuati però anni prima, ad esempio in sostenibilità o in mercati lontani. Siamo stati tra i primi operatori esteri attivi nel mercato cinese, è dal 2007 che abbiamo una partecipazione del 49% in Penghua Fund Management, tra i più importanti operatori locali, le cui masse in sedici anni sono cresciute da 20 a oltre 146 miliardi di euro a fine giugno 2023, ma siamo anche stati tra i primi in Italia a interessarci di Esg e sostenibilità, già negli anni Novanta, trend che è poi esploso. In tutto questo tempo abbiamo potuto collezionare e raccogliere una mole importante di dati affidabili, all’epoca non mainstream, oltre a sviluppare conoscenza e tatto per questa tematica oggi sotto i riflettori», nota Dalla Corte.

Specie in ambito Esg, e più in generale in tutto ciò che concerne l’ormai mantra ‘sostenibilità’, muoversi quando le acque ancora erano calme può sicuramente aver fatto la differenza, anche soltanto nell’affinare il processo d’investimento e lo sviluppo di relazioni meno inquinate con le imprese investite. Oggi certamente è più difficile. «Attualmente quasi il 70% delle nostre masse in fondi, sono connotate da caratteristiche Esg con prodotti classificati art. 8 e 9 della normativa europea Sfdr, un chiaro segnale di quanto vi crediamo. Ci siamo mossi prima di qualunque sospetto, e offriamo strumenti e veicoli dedicati particolarmente puri e trasparenti, tanto che solo due dei nostri fondi sono classificati secondo l’articolo 9 Sfdr. Dialoghiamo in maniera molto aperta con le imprese in cui investiamo, concentrandoci su impatto ambientale e Governance, rispettando le peculiarità di ogni regione geografica. Non si possono pretendere gli stessi risultati e requisiti da un’azienda europea, rispetto a una americana o asiatica, ogni regione ha sensibilità diverse, ma tutte possono dare il loro contributo», precisa il manager.
Negli anni in cui tutto è Green, dai pomodori agli abiti ai fondi d’investimento, qualche problema e qualche sospetto è però inevitabile che sorga, soprattutto guardando alla velocità con cui tutto si è ‘inverdito’. Come discriminare quindi gli uni dagli altri? «Mancando una definizione univoca di cosa sia la sostenibilità gli operatori possono contare su un certo margine di discrezionalità, a danno dei clienti. Un operatore serio, diversamente da molti altri, può offrire trasparenza totale sui titoli in portafoglio, classificati per rating di società indipendenti, oltre a molta reportistica e documentazione, e laddove necessario prendendo decisioni anche difficili. Diversi anni fa il rating di sostenibilità di un titolo cinese presente in portafoglio fu declassato inaspettatamente, per serietà la posizione fu smobilitata così modificando la struttura del portafoglio in maniera considerevole. In linea di principio è una tematica in cui comunicare con un eccesso di prudenza dovrebbe essere la prassi onde evitare danni reputazionali potenzialmente molto importanti. Prassi che evidentemente non c’è», prosegue Dalla Corte.
Se una forte expertise nell’obbligazionario fa parte di un retaggio culturale di lunga data, le peculiarità dell’essere un importante operatore italiano sul mercato globale non sono finite, evidentemente in entrambi i sensi. «La solidità della nostra società si riflette positivamente anche sul team di gestione. I nostri gestori sono molto esperti, una buona parte di loro vanta oltre 20 anni di esperienza, spesso gestendo lo stesso fondo, e hanno vissuto fasi di mercato diverse. Il basso turnover garantisce stabilità alla Casa oltre che al cliente, offre il tempo di pianificare progetti di ampio respiro, la possibilità di trasmettere il know-how alla generazione successiva, e dunque anche di affidare ai singoli operatori masse importanti da amministrare, una di quelle peculiarità che ci rendono attrattivi. Il costo di appartenere a un grande Gruppo con una struttura articolata, può essere un limite almeno in parte della capacità innovativa a vantaggio di una maggiore solidità e qualità dei processi», chiarisce il manager.

Un ruolo, quello dell’innovazione, destinato a crescere nel corso dei prossimi anni, al pari delle sfide cui saranno chiamati a confrontarsi tutti gli operatori, indipendentemente da origine e dimensione. «Dalla nostra abbiamo masse importanti che sono un prerequisito fondamentale per continuare a crescere, al pari di un vantaggio competitivo su molti concorrenti rispetto ai mercati asiatici, che sicuramente faranno bene nell’immediato futuro, e al binomio sostenibilità – circolarità in cui abbiamo investito molto. Seppur indispensabili, si tratta però di semplici strumenti per poter competere sul mercato, e dunque fare il mio lavoro, trovare la sintesi tra quello che un cliente domanda, le sue vere esigenze, e quanto Eurizon ha invece da offrire. Continuerà a trattarsi di creare relazioni di fiducia, della durata potenziale di decine di anni, e soprattutto ascoltare i bisogni delle persone, parlandoci. In questo di innovazione c’è ben poco, ma rimane l’essenza del nostro lavoro», conclude Manuel Dalla Corte.
Nella patria della Gestione e del far banca le Case estere continueranno sempre a trovare forti resistenze e attriti con quelle che nel corso del tempo sono divenute prassi e abitudini; solo perseverando si può sperare di far breccia in quella che rimane una delle Piazze più ambite a livello mondiale. Ma se sono gli anni dell’Esg, per semplice prudenza, è forse già tempo di adoperarsi per scovare la prossima appassionante e rivoluzionaria moda. Giusto per portarsi avanti.
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