Non esita a dire che scegliendo la microchirurgia della mano, abbia vinto alla lotteria. Non tanto perché della sua specializzazione, Marco Lanzetta Bertani è diventato un luminare, il primo al mondo ad avere eseguito con successo un trapianto di mano, il 24 settembre 1998. Ma perché, attraverso la sua professione, una mano ha avuto l’occasione di imparare a darla in maniera tanto fisica quanto metaforica: mettendo le sue competenze e il suo spirito di iniziativa non solo a servizio dell’avanzamento della medicina ma anche dei più svantaggiati. Coloro che altrimenti nemmeno entrano nei radar delle liste operatorie, in paesi fra i più poveri o dilaniati da conflitti civili. Dove le abilità manuali sono ancor più vitali: per soddisfare i bisogni primari, per mantenersi e avere la speranza di un’istruzione.
Anche questa un’avventura partita in quel cruciale 1998: «Ero rientrato da circa due anni e mezzo in Italia per creare un reparto di chirurgia della mano all’Ospedale di Monza, dopo oltre un ventennio in Australia. Fondando Gicam, il Gruppo Internazionale Chirurghi Amici della Mano, ho voluto dar ascolto al desiderio di far qualcosa per i meno fortunati, sopito in me sin da quando, come volontario e poi studente di medicina, avevo fatto esperienze in Burundi, Togo, Rwanda e Benin. Proprio da alcune missioni sperimentali in Africa occidentale è partita l’attività di Gicam, destinata a prendersi cura dei più fragili, donne e bambini in particolare», racconta il Dr. Lanzetta.


A 25 anni di distanza, Gicam conta oltre 86 missioni svolte, presente anche in Asia e America latina, 10.500 interventi chirurgici eseguiti, 75mila visite ambulatoriali: numeri eloquenti. «La grande fortuna dell’associazione è stata spostare la sede in Ticino, nel 2012, dove abbiamo trovato una Svizzera molto solidale, guidata nella sua vocazione all’aiuto umanitario dal cuore ma anche dalla testa, in linea con la nostra visione di una filantropia che risponde a criteri imprenditoriali per misurare il suo impatto positivo. Siamo sempre rimasti fedeli ai nostri principi: i fondi ricevuti vengono interamente investiti nelle attività mediche, senza usarli per coprire spese di gestione e struttura», sottolinea il presidente di Gicam. Con la massima trasparenza, ogni sostenitore può tracciare la destinazione della sua donazione. Anche un piccolo importo ha un grande valore: basti pensare che un intervento come la ricostruzione cutanea da autotrapianto in India non costa che una trentina di dollari e un centinaio permettono di comprare uno strumento come una pinza.
Tutti i volontari del team – eccellenze del loro campo, provenienti da tutta Europa, Australia e Nord America, insieme a professionisti di grande qualità e dedizione incontrati sul posto – sottoscrivono un documento etico, impegnandosi a un comportamento rispettoso del paziente e della realtà in cui vive. Con “passione e compassione”, come vuole il motto di Gicam: «Perché se non percepisci la storia dietro una mano ustionata, lesionata o deforme, non puoi fare bene il tuo lavoro», ammonisce il Dr. Lanzetta.
Dall’anno scorso diventato una Fondazione, dotata di un Consiglio direttivo di grande spessore, Gicam affronta ora la sfida di professionalizzarsi ulteriormente per garantire, secondo il desiderio del suo iniziatore, la continuità dell’operato anche nel giorno in cui non ci sarà più, indipendentemente da una personalità carismatica e aggregatrice come la sua. Una maturità espressa anche dal nuovo piano quinquennale che prevede la transizione dal modello delle cosiddette “sale operatorie volanti” delle missioni chirurgiche – con una durata fra una e due settimane e un’équipe di una decina di volontari – alla presenza permanente costruendo veri e propri centri chirurgici della mano in collaborazione con partner locali a cui lasciarne poi la gestione.
«In particolare abbiamo identificato due aree ideali in India, paese in cui possiamo ragionare sul lungo periodo a differenza dell’instabilità politica che purtroppo in Africa rischia di rendere episodica la nostra presenza lasciando un vuoto nelle comunità che vi fanno affidamento. La prima è una zona rurale del Maharashtra: inaugureremo un reparto specializzato in chirurgia della mano, un centro di riabilitazione e un’accademia d’eccellenza presso il Julia Hospital di Jamkhed, dove da una decina di anni supportiamo il Comprehensive Rural Health Project. Proprio di fronte si estende una bidonville abitata da decine di migliaia di Dalit, la casta più bassa, al centro della nostra attenzione. L’altro centro sarà a Goa, dove ci inseriamo in un ospedale di altissimo livello, il Goa Medical College and Hospital, senza però rinunciare ai nostri criteri d’ingaggio. E un terzo progetto in cui crediamo molto sta partendo in Pakistan», anticipa il presidente di Gicam.
Operare in questi contesti significa confrontarsi con casi molto diversi da quelli nei paesi occidentali: in India spesso grandi ustioni dovute a incidenti domestici, ma anche a violenze, o i frequenti traumi da amputazione sul lavoro; in Africa soprattutto deformità post-traumatiche conseguenza dei moltissimi incidenti stradali, così come paralisi dovute alle febbri malariche. «Ci sono anche patologie, come le paralisi ostetriche, che non trattiamo perché richiederebbero un post-operatorio talmente complesso che finiremmo per aggravare la situazione invece di migliorarla. È estremamente difficile, ma è essenziale anche sapere dire ‘no’. Dobbiamo guadagnarci la stima e la collaborazione delle popolazioni locali dimostrandoci affidabili», osserva il Dr. Lanzetta.
Obiettivo a cui risponde anche un altro dei principi ispiratori di Gicam: «Fare solo chirurgia di serie A, selezionando i migliori professionisti e dotandoli di una strumentazione allo stato dell’arte. Solo il meglio, la stessa chirurgia che facciamo a Locarno, Roma, Praga, Miami, Sydney, … Posso portare l’esempio dell’ospedale di uno dei nostri primi progetti, che abbiamo costruito da zero a inizio anni Duemila in Sierra Leone grazie a un importante sovvenzione del Governo italiano, mobilitatosi per censire e aiutare la popolazione, in particolare le decine di migliaia di bambini cui i guerriglieri che si contendevano le miniere di diamanti nel Nord hanno amputato mani, piedi, orecchie, nasi per seminare il terrore. Abbiamo adottato procedure di sterilizzazione che non si seguono nemmeno alle nostre latitudini, tanto che nei tre anni in cui abbiamo gestito la struttura non stop non si è registrata nemmeno un’infezione», sottolinea Marco Lanzetta che, dopo aver guidato oltre 50 campi chirurgici in 12 paesi, auspica addirittura di intensificare il suo impegno.
Al contempo, per moltiplicare il numero di missioni, mediamente una dozzina l’anno, Gicam ha nominato dei capomissione fra chirurghi con un’esperienza pluriennale sul campo, ai quali verrà affidata la responsabilità di organizzare in modo indipendente i loro team. Magari non sono che una o due ore, in cui in sala operatoria le loro traiettorie di vita incrociano quella di un paziente prima di divergere nuovamente, a migliaia di chilometri. «Però quel momento ha cambiato per sempre non solo l’esistenza del paziente ma anche la nostra: questi incontri sono arricchimenti umani irripetibili. È il privilegio di questo lavoro, che ci permette di fare del bene semplicemente attraverso la nostra professione», conclude il Dr. Marco Lanzetta.
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