TM   Settembre 2023

Un dollaro per… domarli tutti

Nonostante l’attuale sistema monetario, ancorato al biglietto verde, e in precedenza alla sterlina, non sia perfetto, all’orizzonte non si profilano sostituti particolarmente brillanti. Si delinea dunque uno scenario di lenta decadenza, destinata a protrarsi per diversi anni.

di Giulio De Biase

Redattore di finanza

Marriner S. Eccles, sede degli uffici del Board dei Governatori
Marriner S. Eccles, sede degli uffici del Board dei Governatori della Federal Reserve americana a Washington.

Quella tratteggiata da un recente studio di Credit Suisse è l’eredità di un sistema finanziario nato ancora durante la II Guerra Mondiale, in una piccola località del New Hampshire, Bretton Woods, da cui i celebri accordi che sin dal 1944 hanno retto gli equilibri valutari tra Paesi occidentali. Cifra che contraddistingue tali accordi, è l’indiscussa centralità del dollaro (agganciato direttamente all’oro), quale benchmark di riferimento per tutte le altre valute, con i molti pro e contro che tale decisione ha recato in dote nei decenni successivi, anche per gli stessi Stati Uniti. Ma sino a che punto tale sistema è ancora sostenibile? Per quanto ancora reggerà, e con quali risultati?

Il primo scoglio

Mentre il Vecchio Continente si trovava ancora confrontato con i bombardamenti a tappeto su aree urbane e popolazione civile, negli Stati Uniti oltre a discuterne animatamente si preparava la staffetta tra sterlina e dollaro, anche a segnare il cambio di passo tra una Londra ormai al tramonto e una Washington nascente. Àncora degli accordi la convertibilità tra oro e dollaro (35 dollari l’oncia), dunque indirettamente anche rispetto a tutte le altre valute, sulle ali di quel Gold Standard ottocentesco che aveva sostenuto il ruolo della sterlina sino a prima della guerra. Un modo come un altro di porre un argine alle molte fantasie di Governi e istituti centrali, abolito poi definitivamente da Nixon nel 1971, in piena guerra del Vietnam.

Dalla Pax Britannica alla Pax Americana

Andamento del tasso di cambio tra sterlina inglese e dollaro americano

Andamento del tasso di cambio tra sterlina inglese e dollaro americano
Fonte: Credit Suisse

Il regno del dollaro

Andamento dei tassi di cambio del dollaro con le principali valute (’70: 100)

Andamento del tasso di cambio del dollaro con le principali valute
Fonte: Credit Suisse

Riserve in valuta estera

Andamento delle rispettive quote delle singole valute (in % del totale)

Andamento delle rispettive quote delle singole valute
Fonte: Credit Suisse

Un risultato certo di tale decisione, probabilmente obbligata, era stato il ritorno di fiamma dell’inflazione, con significativi picchi superiori al 15% negli Stati Uniti, domati dal polso dell’allora neo eletto presidente della Federal Reserve, Volcker, a suon di inediti rialzi dei tassi sino a un massimo del 20% nel 1980 (ricorda qualcosa?). Se nei precedenti quattro decenni le altre valute, occidentali ed emergenti, avevano tenuto il passo di un dollaro andato man mano indebolendosi, la stretta della Fed riportò d’attualità altri tipi di problemi andati dimenticati, ma ricchi di conseguenze non solo per il Sud America. Esperienza analoga a quanto ripetutosi poi nel 1994 con Greenspan, in questo caso invece in Asia con gli interventi del Fondo Monetario.

Scossoni certo, ma non tali da richiedere scelte radicali o l’aggiustamento degli strumenti di politica monetaria della Fed, così come invece avvenuto durante la Grande Crisi del 2008, che sotto molti aspetti è stato invece un evento finanziario dei più significativi, tale da giustificare scelte altrettanto coraggiose. Nasce così la politica monetaria straordinaria (Qe), sino a quel momento nemmeno contemplata tra gli strumenti a disposizione, poi diventata facilmente buona consuetudine per i successivi tre lustri, motivata dai timori di una crisi giapponese.

Resiste e sopravvive

Nonostante le critiche non siano mai venute meno, il dollaro dopo oltre settant’anni è ancora qui, gode tutto sommato di buona salute, e nell’immediatezza non sembra temere particolari concorrenti, vuoi per un motivo e vuoi per un altro. Per quanto gli Stati Uniti continuino a essere economicamente un attore fondamentale del mercato globale, le distanze con altre regioni geografiche si sono decisamente accorciate, eppure non è il caso del dollaro, che anzi proporzionalmente ha guadagnato ulteriori posizioni. È dunque così che pur contando su un Pil pari a poco più del 20% del totale globale, o un risicato 15% del commercio, può vantare un considerevole 60% delle riserve monetarie degli istituti centrali, o un 90% di volume nel forex. Numeri che parlano ampiamente da soli.

Le dimensioni del dollaro

Rapporto con il resto del mondo (in %)

Le dimensioni del dollaro
Fonte: Credit Suisse

Disciplina fiscale

Debito pubblico nel 2021 (in % del Pil)

Debito pubblico nel 2021
Fonte: Credit Suisse

Non va però trascurato che il dollaro in larga misura resta anche una valuta nazionale, il cui istituto centrale ha quale mandato la stabilizzazione economica e finanziaria del mercato domestico, e non di quello mondiale, sempre meno preso in considerazione, diversamente dal passato. Quanto ai risultati ottenuti dagli istituti centrali dei Paesi sviluppati, rispetto a quelli emergenti, si potrebbe poi ampiamente dibattere, indipendentemente da quali ne siano le cause, un dato però non insignificante. Al pari di quali siano realisticamente i risultati ottenibili da misure squisitamente monetarie chiamate a confrontarsi con spinte inflative di tutt’altra natura. Controbilanciando al tempo stesso la sostenibilità, non così scontata, dei conti pubblici di più d’un Paese. 

Il concetto stesso di valuta di riserva si basa però su un dilemma, per essere riserva di qualcuno, dunque un credito, qualcun altro e nella sua valuta deve aver contratto un debito, ma senza quel pericoloso eccesso che potrebbe minare la credibilità in lui riposta. Tecnicamente viene definito ‘dilemma di Triffin’. Il presupposto affinché il dollaro sia valuta di riserva e àncora del sistema è sempre stato che gli Stati Uniti abbiano un deficit nella bilancia delle partite correnti, il che dimostra anche perché l’euro (o le valute europee prima) non lo sia mai stato. Più ambigua è la seconda parte del ragionamento di Triffin: nonostante tensioni macroeconomiche, finanziarie, politiche e geopolitiche insite in Washington, il dollaro continua a rimanere indiscutibilmente un bene rifugio, che per giunta sono anni che continua a rafforzarsi, in fasi di mercato tra loro molto diverse. Qualcosa vorrà pur dire?

Il Pivot

Quale sia però il ruolo che, specie in prospettiva, potrebbe giocare la geopolitica è tutta un’altra storia. Il crescente politicizzarsi di tutte, o comunque una parte, delle decisioni dietro al dollaro, che di valutario ben poco avrebbero, è un’arma a doppio taglio, come la Russia aveva ben inteso da tempo, da qui la dedollarizzazione delle sue riserve, dimostratasi poi comunque inutile. Il dollaro inevitabilmente risponde alla Fed, la quale risponde a sua volta al Governo americano, da qui il rischio per tutti i soggetti non troppo allineati di essere sanzionati per suo tramite, ammettendo di stare entro i limiti normativi di un moderno stato di diritto. Il che quindi esclude molte pratiche promosse nel corso dell’ultimo anno ai danni di Banca di Russia, un confronto che si inserisce nell’alveo del botta e risposta a suon di dazi tra Pechino e Washington, che va protraendosi dal 2016.

Equilibrismi cinesi di vendita e acquisto di dollari

Variazione riserve cinesi in dollari e tasso di cambio del renminbi

Variazione riserve cinesi in dollari e tasso di cambio del renminbi
Fonte: Credit Suisse

La performance dei Treasury

Total return dei titoli governativi decennali in dollari (indici, 2004: 100)

Performance Treausury
Fonte: Credit Suisse

Il principale rischio latente in tali circostanze è il contesto però profondamente mutato contesto in cui va a inserirsi. Diversamente da un mondo ‘a cambi fissi’, dunque in cui il cambio tra marco e sterlina, o tra lira e franco contro dollaro, doveva essere obbligatoriamente difeso dai rispettivi istituti centrali ricorrendo anche a operazioni di mercato aperto, e dunque utilizzando le riserve valutarie, in un sistema a cambi ampiamente flessibili quale l’attuale, seppur doverosamente compatibili con le necessità di un Paese, il ruolo delle stesse è andato un po’ perdendosi. In questo senso sia la Banca Nazionale Svizzera nei confronti dell’euro, sia la Banca Popolare cinese rispetto al dollaro, hanno accumulato ingenti riserve valutarie ‘involontarie’. 

Nel caso della Cina, in coordinamento con quelli definitisi Brics, i tentativi di dar vita a forme di cooperazione rafforzata non sono mancate, anche in ambito valutario, com’è il caso del Contingent Reserve Arrangement, o della New Development Bank e della Belt and Road Iniziative, iniziative che hanno assorbito almeno una parte delle ampie riserve in dollari accumulate in precedenza. Un anticipo di quella fuga verso asset reali, oro e infrastrutture, che a distanza di pochi anni anche molti altri istituti, sull’onda di tensioni monetarie di ben altra natura, stanno percorrendo. Che questo possa tradursi in una minaccia immediato per il dollaro? Improbabile, i principali acquirenti e detentori di Treasury, nonostante tutto, restano gli investitori americani. Diverso invece il rischio per il ruolo ricoperto finanziariamente dal biglietto verde. 

Bilancia commerciale americana

Andamento partite correnti (in % Pil)

Andamento partite correnti (in % Pil)
Fonte: Credit Suisse

Rimane il bene rifugio

Andamento dell’indice Dxy

Andamento dell’indice Dxy
Fonte: Credit Suisse

Scenari opposti, e improbabili

Un’ipotesi sul tavolo nel 1944, seppur più accademica che realistica, e sostenuta a viva voce dal re degli economisti moderni, John Maynard Keynes, sposava l’idea di creare una nuova valuta sopranazionale globale in grado di regolare gli scambi tra Paesi, e soprattutto di evitare le molte storture che il dollaro reca in dote, ampiamente passate in rassegna. Se era improbabile che a Bretton Woods potesse maturare una decisione del genere, a oggi risulta ridicolo anche solo prenderlo in considerazione. Del resto la nascita dell’euro, epica saga unica nel suo genere, è un evento straordinario della storia, destinato probabilmente a non ripetersi almeno per lungo tempo

Tiene il mercato domestico

Detentori di Treasury e titoli americani (in trl usd)

Detentori di Treasury e titoli americani (in trl usd)
Fonte: Credit Suisse

Corrono le transazioni in valute emergenti

Quota del totale degli scambi in valuta estera (in %)

Quota del totale degli scambi in valuta estera (in %)
Fonte: Credit Suisse

Parimenti che una delle attuali valute, almeno per dimensioni economicamente paragonabili, dunque l’euro o il renminbi, possa subentrare al dollaro è altrettanto improbabile. Nel caso dell’euro, pur essendo scambiato liberamente, pur rappresentando già oggi oltre il 20% delle riserve valutarie globali, i Paesi europei e la stessa Bce non sono interessati al ruolo, con l’Eurozona che al momento rimane ancora un’area monetaria tutt’altro che ottimale ed efficiente, in assenza anche di unione bancaria e di un unico mercato dei capitali. Se invece il renminbi assolve a parte di queste caratteristiche, molto più dell’euro, è a sua volta ben lungi dall’essere liberamente scambiabile sul mercato, ed è altrettanto improbabile Pechino possa rinunciarne al controllo. 

Le operazioni della Bns

Asset allocation per classe e valuta

Asset allocation per classe e valuta
Fonte: Credit Suisse

Aumentano le linee di credito

N. di swap line tra Banche Centrali

N. di swap line tra Banche Centrali
Fonte: Credit Suisse

Lo scenario più probabile resta dunque un lento declino del ruolo del dollaro, e il progressivo affermarsi di suoi potenziali concorrenti, a patto che rispettino tutti i requisiti necessari, in primis l’estrema liquidità. Un assist significativo in tale direzione potrebbe venire dalle materie prime, in primis l’energia, di cui la Cina è il primo importatore mondiale, a patto che accetti di liberalizzare maggiormente il renminbi. Parimenti il moltiplicarsi delle linee swap in valuta tra i principali istituti centrali occidentali de facto ridurrà fortemente la necessità di accumulare riserve, confinandole a ‘involontarie’, almeno tra quelli ‘che contano’. La minaccia più credibile, per quanto improbabile, considerate le estreme divergenze di vedute e culturali interne al gruppo che ne fanno un semplice acronimo, potrebbe venire dai Brics, capitanati però proprio dalla Cina. E dunque…

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