TM   Dicembre 2024

Umanesimo pubblicitario

Perfetto interprete dell’illuminata visione imprenditoriale di Adriano Olivetti, sviluppandone l’innovativo stile comunicativo Giovanni Pintori ha saputo raggiungere quella sintesi iconica fra concetto del prodotto e immagine che eleva la pubblicità ad arte. Un maestro della grafica da riscoprire grazie al progetto integrato fra il m.a.x museo di Chiasso e il MAN di Nuoro.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

Che Adriano Olivetti sia stato un imprenditore illuminato lo confermano tanto la sua capacità di leggere il mercato e l’evoluzione tecnologica – “Parola o numero, ogni dato è informazione che alimenta il circolo vitale, il respiro della gestione moderna: dal centro alla periferia, dalla periferia al centro. Esatta, veloce, sicura, l’informazione viaggia verso il futuro dell’impresa – su macchine, su sistemi Olivetti” campeggiava su uno dei suoi manifesti – quanto la ricerca di un equilibrio tra profitto, democrazia e giustizia sociale che ne fece un precursore del moderno welfare – “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”, dichiarava.

Altrettanto efficacemente aveva compreso l’importanza della comunicazione di impresa per veicolare una produzione che, per quanto innovativa, non sarebbe altrimenti stata conosciuta e diffusa. Già nel 1928, fresco di laurea in ingegneria, attivava il Servizio pubblicità all’interno dell’azienda di famiglia ampliando, alla luce di quanto osservato nel suo primo soggiorno negli Stati Uniti, la visione del padre Camillo che già aveva chiamato artisti e grafici di primo peso a realizzare le campagne della Olivetti. Di capitale importanza per lo sviluppo e l’affermazione del suo innovativo stile comunicativo sarebbe stato l’incontro fra Adriano e Giovanni Pintori (1912-1999): un talento approdato dalla Sardegna all’Istituto Superiore per l’Industria Artistica (Isia) di Monza, grazie a un borsa di studio voluta dal Consiglio di economia corporativa di Nuoro per permettere ai suoi giovani di formarsi a quella che allora era una sorta di Bauhaus italiano, votato a mettere in dialogo le arti, nella loro pluralità, e l’industria: proprio le due dimensioni che Olivetti chiedeva ai suoi creativi di coniugare per una fabbrica che voleva producesse libertà e bellezza.

Giovanni Pintori in uno scatto del 1954
Giovanni Pintori in uno scatto del 1954, autore ignoto, stampa fotografica, 15 x 20 cm, Archivio privato Paolo Pintori / © Matteo Zarbo, Milano

Arruolato dal giovane imprenditore insieme ai due conterranei compagni di studi, Salvatore Fancello, che morirà al fronte, e Costantino Nivola che proseguirà poi la carriera oltreoceano, Giovanni trascorrerà in Olivetti trent’anni (1937-1967), curandone a tutto tondo la brand identity: dalla creazione del noto logo con una particolare O squadrata (1947), ai celebri calendari aziendali (dal 1951 al 1968, in anticipo su Pirelli) senza dimenticare gli allestimenti degli showroom.

In particolare dal secondo dopoguerra, a capo dell’Ufficio Tecnico Pubblicità, realizza i memorabili manifesti che accompagnano il successo mondiale delle macchine per scrivere e dei calcolatori della Olivetti, definendo una fisionomia sempre riconoscibile e, allo stesso tempo, sorprendente e innovativa.

Numeri e lettere, linee, trattini, punti esclamativi, cerchi, frecce: un linguaggio segnico dinamico e giocoso, come l’uso dei colori, prevalentemente primari, a servizio di una comunicazione di estrema efficacia e chiarezza, che sposa invenzione e analiticità, riuscendo a essere poetica senza tradire l’elementarità dei propri mezzi. Un’apparente leggerezza dietro la quale sta la profondità della ricerca che permette al designer di suggellare concetto e funzione in metafore iconiche. Si pensi alla genialità del “manifesto del pallottoliere” del 1946, per la Elettrosumma 14, da cui proprio ha inizio la sua produzione più originale: la scelta di uno strumento infantile di calcolo, richiamando un oggetto ben familiare all’epoca, suggerisce l’idea che la macchina Olivetti possa risolvere con altrettanta semplicità le operazioni più complesse. Come Pintori stesso affermava in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Print nel 1961: “Il messaggio grafico, quando riesce a diventare una forma d’arte, è il solo che raggiunga la totalità del suo pubblico potenziale”. Un salto che gli riuscì e il suo valore venne riconosciuto a livello internazionale: se nella mostra Olivetti. Design in Industry dedicata nel 1952 dal MoMA poté esporre a New York il meglio di tutta la comunicazione d’impresa e, nel marzo successivo, firmava una copertina di Fortune, venne chiamato a far parte del neocostituito consiglio dell’Agi (Alliance Graphique Internationale) di cui diventerà poi presidente. Nel 1984, la prestigiosa rivista giapponese Idea lo annovera  tra i trenta designer più significativi del XX secolo.

A offrire l’occasione di apprezzare tutta la modernità progettuale e la forza innovativa del suo linguaggio è la mostra in corso, fino al prossimo 16 febbraio, al m.a.x. museo di Chiasso. Una sorta di ‘racconto grafico’ che restituisce l’iter creativo e professionale di Giovanni Pintori facendo parlare oltre trecento materiali fra schizzi, bozzetti, disegni acquerellati, carte intestate, bellissimi manifesti originali, le affascinanti costruzioni lignee di moto perpetuo, pubblicazioni varie e documenti.

Una mostra che si inserisce nel filone dedicato ai grandi maestri del graphic design dal m.a.x. museo (peraltro Pintori ebbe occasione di collaborare, fra i tanti creativi che passarono dalla Olivetti, proprio con Max Huber), frutto di un progetto integrato con il MAN_Museo d’Arte Provincia di Nuoro, depositario di parte del suo archivio, che con questo gemellaggio – suggellato anche dal patrocinio dell’Ambasciata italiana in Svizzera – torna a proiettare in una dimensione internazionale la valorizzazione dell’artista sardo. Al contempo si conferma la grande capacità ideativa e realizzativa del Centro Culturale di Chiasso che, attraverso queste sinergie con istituzioni internazionali, interpreta al meglio la sua geografia di confine, favorendo la condivisone di competenze e rendendo sostenibili progetti di ampio respiro. Dal 21 marzo al 25 giugno 2025 sarà il MAN di Nuoro a ospitare la mostra, che è curata dalle direttrici dei due musei, Nicoletta Ossanna Cavadini e Chiara Gatti.

I materiali includono prestiti dall’Associazione Archivio Storico Olivetti, dalla Fondazione Adriano Olivetti di Ivrea, dai Musei Civici di Monza, dalla Biblioteca dell’Accademia di architettura di Mendrisio e da alcune collezioni private, ricordando anche gli anni giovanili e quelli successivi all’esperienza in Olivetti dove, dopo l’improvvisa morte di Adriano nel 1960 (mentre attraversava la Svizzera in treno), per Pintori era impossibile rinnovare la felicità di quella comunione creativa. Proseguì dunque come libero professionista, lavorando negli anni ’70 per alcune altri importanti aziende, fra cui Merzario, Pirelli, Gabbianella, Ambrosetti e Parchi Liguria.

Per la prima volta viene resa visibile al pubblico anche la Collezione privata del figlio Paolo che, lui architetto, ha seguito con grande competenza il padre nel riordino dei suoi archivi, aiutandolo nella selezione dei materiali per i quali riteneva importante essere analizzato, studiato e ricordato. Un compito che l’ha anche costretto ad assecondarne la ferrea volontà di distruggere la produzione pittorica che lo ha accompagnato dopo gli anni Ottanta, riprendendo temi cari e studiati in gioventù. Un ultimo capitolo che lo spirito critico di chi per tutta la vita ha sorvegliato l’equilibrio delle sue composizioni ha preferito stralciare. Protagonista assoluta deve restare l’opera grafica, in cui ha raggiunto quella sintesi fra prodotto e immagine, tecnica e arte che, come il suo complice Adriano Olivetti, poneva a ideale di perfezione e dalla quale tuttora emana immutata una travolgente forza comunicativa.

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