Nell’immaginario collettivo gennaio viene spesso associato a un mese un po’ malinconico, a causa ad esempio del cattivo tempo o delle festività appena terminate. Nonostante ciò, i mercati azionari tendono a rimanere immuni da questo umore. Infatti, storicamente le azioni tendono a riportare ottimi guadagni nel mese di gennaio, grazie al c.d. January Effect. Quest’ultima è una delle più note anomalie di mercato, dove gli operatori di Wall Street hanno coniato il famoso detto: as goes January, so goes the year.
Numeri alla mano, questo fenomeno ‘emotivo’ ha effettivamente prodotto risultati interessanti. Dagli anni Trenta, l’indice S&P 500 ha registrato un +1,2% a gennaio, mentre il Nasdaq 100 il +2,5% circa dagli anni Settanta. Guardando, invece, all’Italia, secondo uno studio condotto dalla Luiss, i guadagni generati dalle azioni quotate in Borsa Italiana dal 1975 alla metà del 1989 supportano la tesi del January Effect, confermando che anche i titoli azionari del Bel Paese non sono immuni dall’emotività degli investitori.
Nonostante gli accademici abbiano prodotto varie ricerche in merito a questa anomalia, attualmente non esiste un’unica risposta. Una possibile spiegazione è la compensazione fiscale degli strumenti finanziari, ovvero a dicembre si vendono le posizioni in perdita per compensare i guadagni registrati da inizio anno al fine di ridurre l’onere fiscale. Assumendo sia vero, gli investitori a gennaio riiniziano a costruire la loro esposizione azionaria, spingendo gli indici al rialzo. Un’altra potrebbe essere legata al fatto che i risparmiatori incassato il bonus di fine anno, decidono di investire tale liquidità.
È opportuno sottolineare che, nonostante la teoria sia stata confermata nell’85% dei casi dal 1950 al 2021, alcuni critici affermano che la correlazione tra l’inizio dell’anno e la performance degli strumenti è del tutto casuale. Infatti, prendendo in esame l’arco temporale precedentemente indicato, le azioni hanno registrato guadagni nel 75% casi.
Volgendo lo sguardo all’attuale condizione dei mercati, il principale indice azionario globale, Msci World in euro, ha chiuso gennaio in territorio positivo (+2,91%). A prescindere dalle ragioni meramente comportamentali, le motivazioni che hanno guidato gli indici azionari sono le stesse osservate a novembre e a dicembre, ovvero l’interesse per le società legate all’intelligenza artificiale, aspettativa (o meglio speranza) degli investitori che le Banche Centrali inizino a tagliare i tassi.
A prescindere dal dibattito che si sussegue da anni sull’impatto della componente emotiva nel mondo degli investimenti, è opportuno sottolineare che il risparmiatore, desideroso di preservare e accrescere il proprio patrimonio nel lungo periodo, deve assolutamente rimanere investito.
Nonostante si presenteranno occasioni per acquistare o vendere nel breve termine, l’investitore verrà ripagato in futuro. Per avvalorare la tesi precedente, secondo uno studio condotto da Visual Capitalist, i rendimenti totali ottenuti investendo 10mila dollari nell’indice S&P 500 dal 2003 e il 2022 sarebbero pari al 9,8%, ovvero 65mila dollari circa. Tuttavia, nel caso in cui, in preda al panico, l’investitore avesse deciso di disinvestire, perdendo i dieci migliori giorni di Borsa nel periodo preso in analisi, il capitale finale sarebbe stato circa la metà, ovvero 30mila. Questo è dovuto al fatto che le migliori sedute borsistiche avvengono proprio durante le fasi di ribasso dei mercati e, per tale ragione, mantenere la propria strategia di investimento può aiutare a raggiungere gli obiettivi finanziari di lungo periodo.
© Riproduzione riservata