
Quella almeno inizialmente difesa da Copernico, e che ridestò un vivace dibattito a livello europeo sul ruolo ricoperto dalla Terra rispetto al resto dell’universo, fu una rivoluzione. O almeno il suo inizio. È infatti il 1514 quando iniziano a circolare, in ristrette cerchie di ‘addetti ai lavori’ un primo scritto riassuntivo di sette postulati che mettevano in discussione il sistema tolemaico, a favore di uno nuovo, seppur non inedito, oggi noto quale copernicano. La Terra non era più l’ombelico del cosmo, con buona pace del Sommo, ma il Sole aveva appena iniziato a guadagnare posizioni. Una rivoluzione che impiegò comunque qualche secolo a raccogliere sostenitori e prove, scardinando millenarie credenze, ma qualcosa era già cambiato.
«Per quanto piccola anche la nostra iniziativa voleva essere l’inizio di qualcosa di nuovo, riscoprendo i valori che avevano contribuito in misura significativa a far grande l’industria della finanza, oltre che Lugano, nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Valori che erano però andati perduti, il Sole era diventato la Terra, e questa aveva rimpiazzato abilmente il suo astro. Fuor di metafora, negli anni il cliente aveva rapidamente perso d’importanza e centralità, almeno nei grandi istituti bancari», esordisce così Marco Boldrin, Ceo di Copernicus Wealth Management, giovane realtà del territorio che in poco tempo ha saputo ritagliarsi un certo ruolo.
Cosa ha portato però a questa radicale svolta, da parte di un professionista attivo nell’industria sin dal 1997, e in Svizzera, nella sua terza Piazza finanziaria, dal 2000? «È stata la logica conseguenza della fine di un’importante esperienza in Patrimony1873, unità specializzata in Wealth Management di Bsi. Supportati da alcuni importanti clienti che auspicavano un cambiamento, nel 2016 tre colleghi ed io abbiamo fondato Copernicus, passo importante ed ambizioso, che ha dato vita ad un nuovo capitolo e a nuove sfide», evidenzia il Ceo.
Al pari di molti altri casi virtuosi della Piazza ticinese, che si sono particolarmente distinti negli ultimi anni, alcuni lontano dalla luce dei riflettori, sembrerebbe che i vantaggi siano infine in grado di controbilanciare egregiamente le difficoltà. «Dai primi Duemila l’industria finanziaria svizzera ha cambiato passo, considerate le dimensioni di Lugano alle nostre latitudini questo è andato via via imponendosi di prepotenza, con effetti ben evidenti, ma il cambiamento non ha risparmiato né Zurigo né Ginevra. Si è aperta una fase nuova, con nuove regole del gioco: crescente pressione normativa, rispetto di limiti e prerogative, riconquistata centralità della clientela, e forte concorrenza internazionale. In questo quadro è inutile nascondere che partire con un foglio bianco abbia rappresentato un importante vantaggio competitivo per noi», prosegue Boldrin.
La forte crescita dell’impianto normativo ha del resto segnato una cesura con il passato, per una Piazza il cui successo era fondato anche su prassi controverse, di recente venute meno. Evidentemente però scrivere le norme non è sufficiente. «L’aspetto fondamentale che si tende spesso a dimenticare è la necessità in molti casi di cambiare culturalmente l’approccio a molte materie, ossia dismettere determinate pratiche, condividendo la logica del nuovo corso. Sin dalla prima ora Copernicus è andata in questa direzione, muovendosi entro i dettami normativi, focalizzandosi sulla clientela europea, preparandosi forse troppo presto al consolidamento della Piazza. Ad esempio a Zurigo il messaggio è già stato metabolizzato: unire le forze è meglio che scomparire facendosi la guerra», rileva il Ceo.
Calcio in avanti
Ad avere completamente sconvolto gli equilibri dell’industria negli ultimi anni, oltre che chiaramente anche della Piazza, è stato l’impianto normativo nato e prosperato sulla coda della Grande Crisi del 2008, seppur all’interno di un settore storicamente tra i più controllati e regolati. In prospettiva, però, i progressi fatti sono stati dei più sbalorditivi. «L’obiettivo che ci si era posto rimane indiscutibilmente meritorio, tutelare la parte debole della relazione, ossia il cliente, analogamente a quanto avvenuto in altri settori. Il secondo stadio è stato esaltare le norme quale soluzione a tutti i problemi; l’entità dei controlli rappresenta ormai un macigno per clienti e operatori. L’esplosione dei costi dovrebbe però stimolare l’industria a migliorarsi, efficientando e ottimizzando i processi, senza imboccare la scorciatoia dell’aumento della rischiosità degli investimenti proposti al cliente, cosa che invece sta avvenendo», riflette il Ceo.
La crescente pressione normativa è del resto anche un modo rapido, seppur artificioso, di innescare un salutare processo di selezione naturale tra gli operatori del mercato, premiando i migliori, a patto che i controlli siano efficaci, oltre che concretamente applicati. Un processo che dovrebbe dare presto i suoi frutti. «All’interno della Piazza svizzera i primi segnali sono già stati colti, e qualcosa di ulteriore potrebbe scaturire entro la fine dell’anno. Un momento-chiave arriverà entro un biennio, quando man mano tutti gli operatori oggi autorizzati dovranno dimostrare in sede di revisione regolamentare quanto esposto alle autorità di sorveglianza in sede di autorizzazione. Già oggi sono mille le realtà che non hanno chiesto un’autorizzazione per continuare a operare, e che dunque dovranno adattare di conseguenza il proprio business model. La Piazza cambierà profondamente, ma soluzioni molto ingegnose potrebbero nascere a dipendenza delle sfide poste dalla congiuntura, ciononostante rimanere soli e indipendenti sarà sempre più impegnativo», chiarisce Boldrin.
Se in generale la sfida per la Piazza sarà sostanziale, al pari di molti altri Paesi, non si tratterà di limitarsi al classico ‘mal comune, mezzo gaudio’. E il Ticino, stando entro i confini elvetici, è ovviamente esposto a maggiori rischi. «Indipendentemente dai business model, che potrebbero in misura sostanziale modificare l’AuM minimo dei nuovi operatori necessario a rimanere sul mercato, il ripristino delle marginalità sarà indispensabile per remunerare le nuove figure chiave imposte dalla legge all’interno delle società. Quello che è certo è che il ‘one man show’ è definitivamente tramontato, e in un Cantone in cui è stato dominante qualche problema lo pone, anche nell’eventualità dell’affermarsi delle nascenti piattaforme aggregative», nota il Ceo.
Eppure, i matrimoni per definizione possono essere esperienze complesse, particolarmente costose, e dall’esito tutt’altro che scontato. Dunque, come orientarsi? «L’acquisizione di attori più piccoli per dimensione è sicuramente la più semplice delle alternative, a patto di avere sempre in mente l’obiettivo. Mi fondo per diversificare, generare sinergie, accrescere le masse… l’importante è che sia chiaro sin dal principio, e che culturalmente si sia pronti, oltre che umanamente compatibili. Il punto è spesso la determinazione del valore, con il rischio di perdere la clientela dell’acquisito; ma ancor più importante è però l’individuazione delle figure operativamente chiave della struttura, dunque non tanto il proprietario potenzialmente in uscita con la vendita, quanto chi la anima tutti i giorni. Se anche posso insistere ed elaborare piani articolati per trattenere la clientela, agendo sul consulente, molto più incerto è come convincere il capitale umano, e dunque le competenze, a non andarsene», mette in evidenza Boldrin.
Cedere l’attività ad altre realtà affermate di settore è di frequente la più semplice delle exit strategy per quello che spesso, anche solo per semplice anagrafica, ne è stato il fondatore. Tema che in ogni caso, anche a patto di voler andare avanti, è destinato a imporsi. «Le realtà più piccole sono anche quelle che molto spesso sono chiamate a confrontarsi precipitosamente con questa materia, nonostante la sua facile prevedibilità. In molti casi a mancare è la generazione successiva, l’assenza di giovani talenti cui passare il testimone, in altri è la clientela a venir meno al trapasso del patrimonio. Si tende a concentrarsi sugli Asset, perdendo di vista il cliente in qualità di persona, dunque con tutte le altre necessità che potrebbe molto probabilmente avere. Anche nell’eventualità di una sua assenza, le realtà più grandi hanno, per loro stessa natura, molta più facilità nell’allestire rapidamente un efficace piano di successione», nota il Ceo.
Operare in una piazza piccola ha le sue peculiarità, che emergono decise quando si ragiona su possibili moti di consolidamento: «Il Ticino è piccolo, ci si conosce più o meno tutti, si entra in relazione molto più facilmente, si condivide molto spesso la stessa cultura: tutti elementi che sicuramente facilitano l’entrata in materia per possibili fusioni o acquisizioni. D’altro canto, opportunità su altre piazze, penso ad esempio a Zurigo oppure Ginevra, sono forse meno immediate ma presentano un set di opportunità considerevole proprio per motivi di complementarietà. Una realtà ticinese che guardi a tali Piazze deve mettere in conto la necessità di approfondire l’analisi sulla compatibilità culturale, sulla scelta di una lingua franca per la relazioni intra-aziendali, sull’alchimia tra le persone nonché sui compromessi necessari per il raggiungimento degli obiettivi aziendali», prosegue Boldrin.
Si è dunque aperta una fase complessa, che se mal gestita potrebbe da un lato portare alla scomparsa di parte della tradizionale vivacità dell’industria svizzera, ma dall’altro anche a una perdita significativa di clientela. L’inizio di una spirale perversa? «Se siamo certo sensibili al tema, è anche vero che abbiamo iniziato ad affrontare la questione del passaggio generazionale al nostro interno, con ampio anticipo. Tutti i partner hanno ancora diversi anni di attività davanti, ma ci siamo attivati per formare i manager di domani, e di pari passo la clientela, spesso nella medesima situazione, con il percorso già avviato, e con la generazione successiva già introdotta. Le due componenti non possono prescindere, la relazione cliente/gestore vive di reciproca comprensione, che è la sostanziale differenza tra cultura e dialogo intra e inter-generazionale: non potrò mai avere lo stesso tipo di rapporto che avevo con il nonno, con il di lui nipote», riflette il Ceo.
Il ricambio della clientela, seppur ancora soltanto timido, diversamente che altrove, potrebbe avere rilevanti implicazioni anche in altri ambiti, almeno in apparenza distanti. O forse no? «Da un punto di vista tecnologico abbiamo seguito un’evoluzione accorta, senza investimenti straordinari importanti, poiché non confrontati con un reale bisogno. Ciononostante, allo scoppiare della pandemia, abbiamo garantito la piena operatività all’intera struttura entro pochi giorni, esperienza che ci è tornata due volte utile all’atto di aprire l’ufficio di Zurigo», sintetizza Boldrin. Questo ha permesso a Copernicus di investire altrove, ad esempio in formazione del capitale umano e cybersecurity.

Per allevare in casa la generazione successiva, cui passare le consegne a giochi fatti, deve esserci però un fondamentale prerequisito: avere le persone giuste. Tutt’altro che scontato in questa fase storica, di profondo cambiamento. «Stiamo completando la squadra, un’operazione impegnativa a fronte dell’ampia paletta di servizi che offriamo. È da poco cambiato il Cio, e si è introdotto un Coo. Abbiamo sostanzialmente conservato il nucleo duro di capitale umano iniziale, ma partecipiamo alla guerra dei talenti. È spesso complicato attrarne, e pur sempre possibile perderli una volta formati, nonostante offriamo opportunità significative di crescita personale e professionale, all’interno di una struttura organizzativa flessibile e orizzontale. A livello di board prosegue il tentativo di allargare le competenze, coinvolgendo anche professionisti affermati in altri settori, che portino nuovi punti di vista», chiosa il Ceo.
All’interno di un’industria che sta cambiando velocemente e in misura importante, il mondo degli indipendenti sarà nei prossimi anni il ‘place to be’ rispetto a un comparto, quello bancario, sempre più obbligato a standardizzarsi. Non per questo sarà però semplice, o mancheranno le sfide. «La chiave di tutto è sempre la squadra, il mio ruolo più importante è capire e gestire le persone, stimolandole il giusto, mantenendo la barra dritta. Così come il cliente, le cui esigenze vanno comprese nella loro interezza, che esula spesso dalla mera Gestione, anche il capitale umano deve essere seguito e capito. Rispetto alle mie precedenti esperienze, ho scoperto una dimensione imprenditoriale che non pensavo di avere, e che regala giornalmente immense soddisfazioni. Sono artefice di quello che faccio, ho la libertà di farlo, con un perfetto allineamento d’interessi», conclude Marco Boldrin.
La sfida dei talenti è probabilmente il capitolo più sottovalutato ma più fondamentale che segnerà l’evolversi degli equilibri della Piazza nei prossimi pochi anni, ossia dopo il suo consolidamento, o quanto meno dopo i primi sostanziali passi in avanti in questa direzione. Dopo decenni di immobilismo finalmente si intravede una leggera brezza all’orizzonte che lascia ben sperare per il futuro dell’industria della Gestione.
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