Di fronte all’intrattenimento à la carte offerto dalle grandi piattaforme streaming e al caleidoscopico rifrangersi di un’informazione che si vuole di sempre più immediata fruizione, si potrebbe essere tentati dal tacciare di obsolescenza il modello del servizio pubblico radiotelevisivo – pur se munito delle sue propaggini digitali. L’impressione di avere ormai accesso a qualsiasi notizia in qualsiasi momento e luogo, con un’immensa disponibilità di contenuti personalizzati, porta a sottovalutare la garanzia di qualità, affidabilità, imparzialità, pluralismo e rispetto anche delle realtà minoritarie che soltanto la logica di un’azienda mediatica pubblica e indipendente, dunque non sottoposta a interferenze politiche né improntata a obiettivi di profitto come gli attori privati, può soddisfare. Un ruolo democratico, culturale e sociale cruciale, a maggior ragione in un paese federalista come la Svizzera che reca in dote la non indifferente sfida di una costellazione quadrilingue e multiculturale, con la necessità di garantire il giusto equilibrio fra peculiarità regionali e coesione nazionale, nonché di consentire la libera formazione delle opinioni in un sistema politico che ai suoi cittadini assegna tanta parte nelle scelte legislative.
Il fallimento dell’iniziativa No Billag, che nel 2018 aveva cercato di abolire il canone, principale fonte di finanziamento della Società svizzera di radiotelevisione (SSR), non ha sgombrato l’orizzonte da nuovi tentativi perlomeno di ridimensionarlo. Il popolo sarà chiamato a esprimersi verosimilmente nel 2026. Le dimissioni anticipate del direttore generale Gilles Marchand segnano una prima mossa strategica in una partita che si preannuncia complessa e delicata. Attualmente la SSR usufruisce di un budget di circa 1,55 miliardi di franchi annui, quasi interamente riconducibili al gettito del canone, salvo 300 milioni circa di introiti commerciali, per giunta minati dal calo pubblicitario sui media tradizionali (per legge – voluta e difesa dagli editori privati – la SSR non può raccogliere pubblicità online). Pur di diversa entità, sia l’iniziativa “200 franchi bastano!”, che porterebbe al dimezzamento dei proventi del canone a 650 milioni, sia la meno drastica versione del Consiglio federale richiederebbero una radicale ristrutturazione. «Oltre a mettere in discussione il valore del servizio radiotelevisivo pubblico, entrambe le varianti arriverebbero alla contraddizione di comportare una riduzione delle entrate tale da rendere impossibile assolvere al mandato di prestazioni sancito dalla Costituzione», sottolinea l’avvocata Giovanna Masoni Brenni, presidente della SSR.CORSI, cooperativa che rappresenta il pubblico della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RSI), e vicepresidente della SSR per il quadriennio 2024-2027, dove è a capo della Commissione Investimenti e membro della Commissione Controllo e Finanze.
Secondo l’art. 93 della Costituzione federale, infatti “La radio e la televisione contribuiscono all’istruzione e allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni e all’intrattenimento. Considerano le particolarità del Paese e i bisogni dei Cantoni. Presentano gli avvenimenti in modo corretto e riflettono adeguatamente la pluralità delle opinioni”. «Questo modello è ritagliato sulle caratteristiche della Svizzera, che nella sua concessione di servizio richiede esplicitamente alla SSR di diffondere almeno tre programmi radiofonici e due televisivi per ogni regione linguistica, nonché un’offerta radiotelevisiva in romancio. Un federalismo ‘culturale’ reso possibile anche dal meccanismo di perequazione finanziaria. Ne beneficia ampiamente la Svizzera italiana, che dalla ripartizione incassa 225 milioni di franchi dei 1,23 miliardi pur contribuendo per 45, mentre alla Svizzera tedesca, dove ha origine il 73% del gettito del canone, ne viene destinato il 43%», esemplifica Giovanna Masoni Brenni, già vicesindaco della Città di Lugano, dove tanta parte ha avuto nella nascita del polo culturale del Lac.
Organizzata sotto forma di associazione di diritto privato e, in quanto tale, indipendente dallo Stato, la SSR vanta un sistema unico al mondo. Dispone però giocoforza di mezzi finanziari inferiori rispetto a emittenti come Rai, France Télévisions, Ard o Zdf per allestire un’offerta nazionale in ben quattro lingue malgrado un mercato limitato e con costi fissi di personale e infrastruttura ripartiti fra un numero nettamente inferiore di economie domestiche, da cui uno fra i canoni più elevati d’Europa.
Vero è che la popolazione elvetica ha dimostrato la propria affezione e fiducia nel servizio pubblico radiotelevisivo, non solo sconfessando con un secco 71,6% la No Billag, ma lo conferma quotidianamente con uno share che nel prime time tocca il 36,5%, malgrado l’accanita concorrenza di piattaforme on-demand, di YouTube e delle più classiche emittenti private che, in particolare dai Paesi confinanti, penetrano per affinità linguistica l’audience.
Anche se i canali esteri detengono il 60% del mercato televisivo svizzero, l’83% della popolazione (dai 15 anni) usufruisce con cadenza settimanale di un’offerta SSR, anche se sempre più online. Eventi critici come la pandemia o gli attuali conflitti comprovano come sia sui canali nazionali che si cerca un’informazione affidabile.Tuttavia il momento è doppiamente infelice, da una parte a causa del contesto economico che mette alla prova i consumatori, dall’altra per la tempesta perfetta che al calo strutturale degli introiti pubblicitari, dal 2025 rischia di veder sommarsi l’abrogazione della compensazione federale del rincaro che consentiva di mantenere invariati i proventi del canone.
Se è ipotizzabile che nella sua radicalità l’Halbierungsinitiative verrà rigettata, insidiosa potrebbe rivelarsi la controproposta del Consiglio federale. Entro il 2029 si passerebbe in due tappe a un canone di 300 Chf per le economie domestiche; le imprese con un fatturato annuo fino a 1,2 milioni ne sarebbero esentate (attualmente la soglia è a 500mila franchi). Ma davvero un miliardo all’anno non basta a sostentare la SSR? «Anche con questa soluzione più moderata, dal 2027 si generebbe un deficit di finanziamento fino a 240 milioni di franchi: 100 milioni in meno di proventi annuali del canone, da sommare alla riduzione di 70 milioni ipotizzata sul fronte pubblicitario e di altri 70 in caso di cancellazione del supplemento cumulato negli anni per il costo della vita. Un ammanco che non sarebbe più gestibile tramite circoscritte misure di risparmio. Si calcoli che dal 2018 il canone è già stato ridotto del 25% (era di 450 franchi). Oggi la SSR è efficiente, organizzata e strettamente sorvegliata nelle spese: non ci sono ulteriori margini di risparmio se non al prezzo di una netta centralizzazione a discapito dei servizi erogati, della qualità del giornalismo, del radicamento e della copertura delle realtà regionali, nonché del sostegno alle produzioni svizzere, comportando una soppressione di posti di lavoro stimabile in 900 effettivi entro il 2027», avverte la vicepresidente della SSR, che con 6.950 collaboratori, fra cui 2.100 giornalisti, è la maggiore azienda mediatica in Svizzera.
Certo, si potrebbe obiettare che sarebbe sufficiente concentrarsi sull’informazione, che nell’ottica della tutela della democrazia e della formazione della libera opinione è la voce più critica e rilevante, lasciando alla concorrenza il resto del palinsesto. Forse il mandato che prevede anche un’adeguata offerta di cultura, sport e intrattenimento, è ormai superato? «Attenzione a non dimenticarsi che per adempiere al proprio mandato di servizio pubblico, la SSR deve essere in grado di raggiungere il grande pubblico con un’offerta generalista. Se la cultura continua a rappresentare un fondamentale ascensore sociale, anche lo sport ha importanti implicazioni identitarie, e persino l’intrattenimento, che del servizio pubblico è la gamba più fragile, consente di mettere in luce i valori svizzeri in modo complementare, porta compagnia a persone sole o malate e, ancora oggi, aiuta ad apprendere la lingua e integrarsi. Chiaramente visto che produrlo ha un costo, deve essere un intrattenimento legato alla nostra realtà, intelligente, rispettoso del pluralismo e di criteri di qualità, come le società regionali della SSR si impegnano a sorvegliare sia fatto», sottolinea la presidente della SSR.CORSI. D’altro canto ridurre gli acquisti di serie e film esteri inciderebbe poco sul bilancio, avendo prezzi ridotti.
Si stima che ogni franco investito in aziende mediatiche di servizio pubblico ne generi 1,42 di valore aggiunto e ogni posto di lavoro ne produca uno nel settore privato. Una presenza virtuosa dunque – e non una torre d’avorio come si sentenziava in passato -, con un importante bagaglio di professionalità umanistiche e tecniche, da cui il dinamismo dell’intero panorama mediatico nazionale, anche con importanti collaborazioni dirette. Basti pensare al “Pacte de l’audiovisuel” lanciato nel 1996 per sostenere l’industria cinematografica indipendente svizzera, che vede la SSR realizzare una media di 140 coproduzioni all’anno, così come alla promozione dell’industria musicale svizzera, con una media del 37% nella diffusione di brani delle emittenti radiofoniche.
«Dobbiamo quindi chiederci se per risparmiare 10 o 36 centesimi di canone al giorno a seconda della proposta – perché di questo si tratta – siamo disposti a sacrificare così tanto a livello di offerta. Ricordando in particolare che le produzioni legate alla realtà nazionale e locale – quasi la metà dell’offerta SSR – se non le realizza l’ente pubblico, non saranno assorbite da altri, non essendo redditizie in un mercato così piccolo ma variegato», osserva Giovanna Masoni Brenni. Avvertimento che suona ancor più critico nell’odierna realtà dove il rischio della manipolazione dell’informazione – vuoi a fini commerciali vuoi a fini politici – è sempre più pervasivo e sofisticato nei suoi mezzi. Ma ancor prima, la minaccia è quella di un’opinione pubblica che si atomizza in comunità autoreferenziali: l’opposto del dibattito condiviso che richiede una democrazia diretta. «È chiaro che siamo di fronte a una rivoluzione delle abitudini dei consumi mediatici. Ormai a usufruire di radio e televisione in modo esclusivamente lineare in Svizzera rimane circa il 10% della popolazione, mentre il restante 90% ha già una fruizione mista che include l’online. Un altro dato impressionante riguarda la soglia di attenzione scesa attorno a 8 secondi, un’immensa sproporzione rispetto alla mole di contenuti disponibili. È richiesto quindi un ripensamento che integri nuovi linguaggi e paradigmi, preservando però la qualità e la capacità di avvicinare il grande pubblico alle tematiche rilevanti e alla complessità dell’attualità. Senza demonizzare la tecnologia che, se usata in maniera intelligente, sarà motore di sviluppo», afferma la vicepresidente della SSR.
Va detto che la Radiotelevisione svizzera ha un’offerta online in costante sviluppo, che comprende ad esempio la piattaforma streaming Play Suisse, che ha raggiunto già 1 milione di iscritti, e il portale in dieci lingue swissinfo.ch, anche per gli 800mila svizzeri all’estero.
Il digitale consente anche di condividere un patrimonio storico di immenso valore come quello degli Archivi SSR: 4 milioni di trasmissioni radiofoniche e televisive dagli anni Trenta a oggi, disponibili gratuitamente sul portale memobase.ch, che registra 8 milioni di consultazioni mensili.
Una memoria audiovisiva completamente digitalizzata che documenta quasi un secolo di storia svizzera, mettendola anche a disposizione di ricerca e insegnamento. «Nel presente ‘usa e getta’ in cui viviamo, dove tutto nasce e scompare molto in fretta, continuare a pensare e produrre contenuti che abbiano la qualità per resistere alla prova del tempo e diventare patrimonio delle prossime generazioni è una grande sfida, ma anche un insostituibile stimolo», conclude Giovanna Masoni Brenni. Un’aspirazione che passa anche dalla garanzia delle condizioni finanziarie per poterla materialmente sostenere.
A sorvegliare che effettivamente il servizio pubblico adempia al suo mandato costituzionale, nella Svizzera italiana è la cooperativa della SSR.CORSI, fra le quattro società regionali che, sotto il mantello dell’Associazione SSR, assolvono all’incarico di radicare l’azienda nella società e contribuire al suo sviluppo. «Vigiliamo affinché la produzione di programmi, come pure le ulteriori offerte editoriali fornite dalla Radiotelevisione svizzera di lingua italiana (RSI), siano complete e di pari valore rispetto alle altre regioni linguistiche svizzere, in applicazione del principio sancito dall’art. 24 della Lrtv. Una competenza molto importante è quella di esaminare i cosiddetti ‘concetti di programma’, il documento strategico biennale elaborato dalla Direzione della RSI, esprimendoci già in fase consultiva in merito agli indirizzi dell’offerta e all’allocazione delle risorse finanziarie. Il Consiglio del pubblico rappresenta invece più da vicino gli utenti della RSI, riunendosi mensilmente per analizzare i prodotti diffusi e i reclami sottoposti al Mediatore. Fra i diversi compiti, siamo inoltre chiamati a proporre o preavvisare nomine importanti», spiega Giovanna Masoni Brenni. Il prossimo 8 giugno si terrà la prima assemblea SSR.CORSI sotto la sua presidenza, dove interverranno anche Jean-Michel Cina, Gilles Marchand e Mario Timbal.
Seppur la qualità generalmente percepita sia buona e molti sforzi siano già stati fatti, l’attenzione va mantenuta alta per potersi costantemente migliorare. «È questa una visione ulteriormente rafforzatasi alla RSI sotto la guida di Mario Timbal: ogni segnalazione viene presa in considerazione. Abbiamo stabilito eccellenti modalità di dialogo con la Direzione per esercitare costruttivamente la nostra funzione critica e stiamo cercando, anche tramite un’apposita campagna, di incrementare ulteriormente i nostri 3.000 affiliati, sui 23.500 delle società regionali, così da poter garantire in modo ancor più efficace e condiviso il dibattito sui principi e lo sviluppo del servizio pubblico audiovisivo e l’ancoramento regionale che sono nella nostra missione», commenta la presidente.
Tra le tante note positive, qualche possibile miglioramento? «Sicuramente si dovrà lavorare sulle trasmissioni di economia, sia tematiche macro sia di realtà cantonale. Come pure l’intrattenimento deve sforzarsi di essere sempre intelligente e la cultura di spessore. Ma a volte non è evidente distinguere fra cosa ha un valore destinato a restare nel tempo e l’effimero. Per questo, specialmente dove le competenze interne sono scarse, è necessario interpellare esperti che possano aiutare a orientarsi con cognizione di causa», auspica la presidente della SSR.CORSI. Oltre a quanto internamente discusso, almeno due volte l’anno i presidenti delle quattro società regionali si incontrano insieme al presidente del CdA della SSR e al direttore generale: anche questo uno scambio prezioso per confrontarsi sulle problematiche comuni e condividere le rispettive esperienze.
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