Quando il barone Pierre de Coubertin abbracciò il sogno di far rivivere nell’era moderna il grande ideale dei Giochi olimpici, non lo fece soltanto mosso dalla sua passione per l’eccellenza sportiva, ma aspirando a replicare lo spirito di una manifestazione che ogni quattro anni chiamava le città-stato elleniche non solo all’agone atletico ma anche alla celebrazione, al di sopra dei contrasti politici, della loro unità culturale.
A distanza di quattordici secoli da quando, dopo 293 edizioni, Teodosio I ne aveva decretato la soppressione, ritenendo inammissibile qualsivoglia retaggio pagano in un impero ormai cristiano, la spedizione tedesca diretta da Ernst Curtius che, tra il 1875 e il 1881, aveva riportato alla luce le vestigia di Olimpia, fu determinante per riaccendere l’interesse. Superate le iniziali resistenze, nel 1894 de Coubertin proclamò la fondazione del primo Comitato Internazionale Olimpico (Cio) alla presenza di 12 paesi, divenendone dapprima segretario e poi presidente. Dopo aver voluto organizzare l’edizione inaugurale ad Atene, nel 1896, con tanto di ricostruzione dell’antico stadio panellenico di Atene, per rispecchiare la visione che lo aveva mosso insistette che i paesi partecipanti si alternassero nel compito di organizzare i successivi appuntamenti.
E come nell’antichità le arti erano sistematicamente integrate nelle competizioni, così volle che i Giochi fossero affiancati da eventi culturali “ispirati all’idea di sport o direttamente collegati a questioni sportive”. Dal 1912 furono organizzate per sette edizioni delle competizioni artistiche di scultura, pittura, architettura, letteratura e musica, note come “Pentathlon delle Muse”, poi soppiantate dal nuovo concetto di “Olimpiade culturale”, un programma che, mettendo da parte la dimensione agonistica, consente al Paese ospitante di offrire una componente culturale legata all’evento sportivo sul proprio territorio. Parigi l’ha interpretata da par suo, per celebrare il terzo ritorno sul suo territorio dei Giochi Olimpici, che aveva già ospitato nel 1900 e cento esatti anni fa, nel 1924, mentre sarà la prima volta per le Paralimpiadi. Duemila progetti approvati, oltre 700 autorità locali coinvolte, più di 150 collaborazioni con istituzioni nazionali e internazionali,…
Fra le centinaia di eventi organizzati in tutta la Francia, anche l’Olimpiade culturale tocca in queste settimane la sua acme, come testimoniano le mostre organizzate nei musei della capitale, vuoi focalizzandosi sulla dimensione storica del connubio fra sport e cultura, vuoi guardando alle implicazioni architettoniche o alle interpretazioni artistiche. Con una qualità che si merita una medaglia.
Sulla storia della prima edizione dei Giochi olimpici dell’era moderna torna la mostra proposta dal Louvre, Olimpismo.Un’invenzione moderna, un’eredità antica (fino al 16 settembre). Si scopre fra l’altro come sia stato ricoperto da un disegnatore di origini elvetiche, Émile Gilliéron (1850-1924), il ruolo di artista ufficiale dei Giochi Olimpici di Atene del 1896 e della Mesolimpiade del 1906. Ispirandosi alle scoperte fatte durante i grandi scavi archeologici di cui si era occupato, disegnò i trofei per i vincitori. Inoltre, servendosi delle più moderne tecniche di riproduzione, illustrò le immagini identitarie utilizzate dal nascente Stato greco, in particolare per francobolli e manifesti.
Fra le chicche esposte, la prima coppa olimpica: disegnata dall’accademico Michel Bréal, fu creata da un orafo francese per premiare il vincitore della prima maratona, disciplina da lui stesso concepita proprio per nobilitare i primi Giochi, rifacendosi alla leggendaria corsa del messaggero Fidippide che doveva annunciare la vittoria ad Atene del suo esercito appunto nell’omonima battaglia di Maratona (490 a. C.) Una distanza simbolicamente fissata nei regolamenti a 42,195 km.
A ripercorrere i 130 anni della saga olimpica moderna, ci pensa il Palais de la Porte Dorée. Fino all’8 settembre, l’esposizione Olympisme: une histoire du monde conduce i visitatori dietro le quinte di ciascuna delle 33 Olimpiadi, comprese quelle annullate (1916, 1940, 1944). Con quasi 600 opere, documenti, filmati d’archivio e fotografie, la mostra testimonia una storia segnata anche da grandi conflitti internazionali e lotte politiche, fra cui quelle per l’uguaglianza, contro il razzismo e la discriminazione, per la graduale apertura dei Giochi a tutte le nazioni e i popoli del mondo, per l’inclusione, la parità e i diritti delle donne, quelli civili e contro l’apartheid, nonché per le sfide ecologiche.
Al centro delle Olimpiadi anche geograficamente, si trova la Cité de l’architecture et du patrimoine, ubicata al Palais de Chaillot, accanto a cui si terrà la maestosa cerimonia ufficiale sulla Senna e dove verrà ubicato il Champions Park per i festeggiamenti serali degli atleti vincitori delle medaglie. Caposaldo della sua programmazione, una mostra dedicata all’impianto sportivo più iconico, lo stadio, di cui rivisita l’evoluzione storica, dal prato comunale alle colossali strutture multiuso degli ultimi decenni, ricordando come questa architettura sia stata originariamente progettata con lo scopo di portarvi il maggior numero di persone possibile e di ispirarle a praticare lo sport per la loro salute. Tantissimi i materiali raccolti fra foto, disegni, modelli, autentici cimeli e supporti multimediali (C’erano una volta gli stadi, fino al 16 settembre).
Anche il Musée Marmottan Monet, – tra il Roland Garros e il Trocadero, lo Stadio Torre Eiffel e il Parc des Princes – si trova in pole position per partecipare all’Olimpiade culturale. Fulcro dell’Impressionismo, attinge alle sue collezioni per dipingere con la mostra En jeu! Les artistes et le sport (1870-1930), fino a 1 settembre, un ritratto della società che nella seconda metà dell’Ottocento inizia ad approfittare del tempo libero per dedicarsi ad attività sportive su terra o acqua. Pittori, scultori e fotografi vi colgono un’espressione della modernità che stavano esplorando. Ippica, regate, tennis sull’erba, scherma, … uniscono le figure dello sportivo e del gentiluomo, da cui gli impressionisti (Édouard Manet, Claude Monet, Alfred Sisley, Edgard Degas e Gustave Caillebotte) traggono i loro soggetti. A tele e quaderni di schizzi di Monet conservati al Marmottan, si uniscono oltre 160 opere e documenti da collezioni private e pubbliche europee e statunitensi.
Inaugurato proprio nell’anno in cui Parigi ospitava la sua seconda edizione delle Olimpiadi e l’Esposizione universale, il Petit Palais ha progressivamente arricchito le sue collezioni basate su commissioni o acquisti effettuati dalla città di Parigi ai Salon o direttamente agli artisti, grazie alle opere donate da collezionisti appassionati ed eclettici. Cinquanta fra esse sono state selezionate per la loro attenzione al corpo, all’anatomia e allo sport creando con la mostra Il corpo in movimento (fino al 17 novembre) un percorso in otto sezioni, che prende le mosse dalla galleria delle antichità alla contemporaneità. La particolarità: dodici video danno la parola ad altrettanti atleti che raccontano il loro rapporto con lo sport attraverso un’opera, diventando per l’occasione ‘arthlètes’.
Diversi sono i musei che raccontano il rapporto fra donne e sport. Per quanto illuminato, de Coubertin osteggiò apertamente la presenza femminile ai suoi Giochi. Escluse dalla prima edizione, contro la sua volontà furono ammesse 22 atlete alla successiva pur circoscritte a tennis, golf, equitazione, vela e croquet. A Parigi 2024 per la prima volta saranno l’esatta metà: 5.250 sui 10.500 partecipanti. Un’avanzata illustrata sia dal Musée National du Sport, con Elles des Jeux (fino al 22 novembre), che dalla Bibliothèque nationale de France (A noi gli stadi. Una storia dello sport al femminile, fino al 13 ottobre).
Secondo allestimento nell’ambito del suo progetto espositivo dedicato alla Moda in movimento per il Palais Galliera. Con oltre 250 nuove opere, ripercorre la storia della moda, dal XVIII secolo a oggi, attraverso le proprie collezioni, analizzando il ruolo dell’abbigliamento nelle attività fisiche e sportive e le conseguenze sociali della sua evoluzione. In particolare si focalizza sull’abbigliamento da mare e la trasformazione del rapporto con il corpo svelato anche pubblicamente e dei canoni di bellezza (fino al 7 gennaio 2025).
Anche le grandi Maison della moda non hanno potuto non guardare allo sport attraverso la programmazione artistica delle loro Fondazioni. Cartier ha invitato il performer americano Matthew Barney, ex giocatore di football, con cui collabora da trent’anni, per presentare in anteprima europea Secondary, la sua ultima videoinstallazione: il racconto trasfigurato attraverso 11 danzatori e performer di un tragico incidente durante una partita di football del 1978, quando il difensore degli Oakland Raiders Jack Tatum, scontratosi violentemente con il ricevitore della squadra avversaria, rimase paralizzato a vita. Un’opera che mostra la sovrapposizione tra la violenza reale e la sua rappresentazione, nonché la sua celebrazione nell’industria dell’entertainment sportivo (fino all’8 settembre).
Appuntamento con lo sport anche per Lvmh, che alla Fondation Louis Vuitton ‘convoca’ le opere di cinque importanti artisti francesi e internazionali nella sua collezione: la spettacolare camminata fra le nubi di Abraham Poincheval, la potenza delle montagne engadinesi di Andreas Gursky, lo scultoreo kayak sospeso di Roman Signer, la diaspora di Omar Victor Diop e i pugili di Jean-Michel Basquiat, insieme alla sua rivisitazione a quattro mani con Warhol dei cerchi olimpici (La Collection. Rendez-vous avec le sport, fino al 9 settembre).
Da sempre, il design gioca un ruolo decisivo nella storia dello sport e migliora le capacità atletiche. Materiali, ergonomia ed estetica sono gli elementi a disposizione dei creativi per supportare gli atleti nella ricerca di prestazioni sempre più strabilianti. Ma il ruolo del design va ben oltre la forma, l’aspetto e la sensazione di una scarpa da corsa o di una racchetta. I giochi, fisici o digitali, sono progettati in base a regole e norme; ad esempio, il peso di una palla o la reattività di una tastiera determinano la velocità dello stesso gioco. Con circa 150 pezzi fra oggetti storici, prodotti commerciali, prototipi, modelli, disegni, incisioni, proiezioni, film e applicazioni interattive, la mostra Match: Design & Sport del Musée du Luxembourg (fino all’11 agosto) vuole essere un trampolino di lancio per riflettere sul futuro dello sport.
Spunto conclusivo, un’esposizione che allo sport guarda dall’alto. Una prospettiva inconsueta quella di Le sport vu du ciel come la sua sede, il Bercy Village, centro commerciale del 12ème arrondissement, di fronte alla Biblioteca François Mitterrand, che fino al 15 settembre offre una panoramica sulle imprendibili – è il caso di dirlo – fotografie realizzate da Édouard Salmon, telepilota di droni: 32 scatti di performance sportive o di luoghi legati allo sport, visti dal cielo. Stadi, piste di atletica, campi da tennis, basket, calcio o baseball, sessioni di surf, piste da sci che, dall’alto, si staccano dalla dimensione della prestazione sportiva e sono sublimati nella loro estetica: linee rette e curve, giochi d’ombre, colori, forme e superfici diventano opere d’arte a tutti gli effetti, capolavori di simmetria, isole staccate dal resto del mondo, lontane dal clamore del tifo e dalla fatica degli atleti che lottano per la vittoria.
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