Una meteora dell’arte moderna. Eppure, figura di spicco del cubismo, Roger de La Fresnaye (1885-1925) era stato al centro della scena, esponendo al Salon d’Automne, al Salon des Indépendants, addirittura selezionato per la mostra-evento all’Armory Show di New York del 1913 che portava oltreoceano la pittura moderna europea. Ma nel volgere di poco più di una generazione dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1925 a soli 40 anni, tempo le prime importanti retrospettive nel dopoguerra e la pubblicazione del suo catalogo ragionato, il suo nome è scivolato fra le note di pagina dei manuali e le sue opere sono state relegate nei magazzini dai musei che invece se le erano inizialmente contese.
Per quanto rivoluzionarie, anche le avanguardie dimostrano di avere un loro canone: non riconducibile al radicalismo di Braque e Picasso se si esce dalla manciata di anni in cui in effetti si cimenta con il loro cubismo analitico, l’opera di Roger de La Fresnaye risulta difficilmente classificabile. Di un movimento in realtà già di per sé composito come il cubismo, sperimenta le diverse evoluzioni, dai prodromi della lezione geometrizzante di Cézanne, al cubismo sintetico di Juan Gris, all’orfismo di Delaunay con la sua felice apertura cromatica. Ma nemmeno basta parlare di cubismi al plurale nel caso di questo artista inafferrabile. L’iniziale formazione accademica tradizionalista all’École des Beaux-Arts di Parigi, poi l’introduzione a forme e colori della modernità mediata dai nabis, sono altrettanti linguaggi che entrano in conto.
Nell’attuale momento storico in cui il dibattito culturale torna a riaccendersi, ecco che fondamentale quanto l’attenzione tributata alla provenienza delle opere o alle questioni di inclusione, resta la capacità di portare uno sguardo critico anche su classificazioni troppo spesso passivamente acquisite e tramandate. Un impegno che si è assunto il Museo d’arte di Mendrisio che, nell’alternanza di mostre dedicate alla valorizzazione del patrimonio locale e di riscoperta di esponenti europei dell’arte del Novecento, ha svolto un importante lavoro di ricerca su Roger de La Fresnaye, coronato dalla mostra attualmente in corso, fino al prossimo 4 febbraio, la prima in Svizzera e in ambito culturale italiano.
Non è stata unicamente la versatilità espressiva a penalizzare Roger de La Fresnaye, ma contro hanno giocato anche i suoi nobili natali: se come rampollo di una famiglia aristocratica ha il privilegio di potersi dedicare senza troppe preoccupazioni all’arte (benché l’ardire di farne più che un passatempo non fosse consueto), elegante, colto, con il suo fisico atletico, modi e guardaroba raffinati, non si integra mai completamente negli ambienti bohémien, pur prendendo parte attiva alle discussioni che animano la rivoluzione artistica dell’epoca, staccando anche incarichi organizzativi ai Salon. Altrettanto scomodo è risultato, ex post, il nazionalismo di alcune sue importanti opere in cui glorifica icone patriottiche come Giovanna D’Arco o imprese tecnologiche come La conquista dell’aria (1913), uno dei suoi dipinti più noti, monumentale tela verticale che celebra i primi successi dell’aeronautica francese in modo però del tutto originale e anacronistico: nessun aereo, ma due uomini che giocano a carte, seduti su sedie invisibili, e in cielo un puntino giallo che rappresenta una mongolfiera, invenzione appunto francese, ma di fine Settecento.
In mostra a Mendrisio ne sono presenti uno studio preparatorio e una xilografia, mentre l’originale resta confinato, ormai dal 1996, nei depositi del MoMa che l’aveva acquistato nel 1947. Dal Centre Pompidou proviene un’altra opera celebrativa, Le Quatorze Juillet (1914), emblematica perché rimasta incompiuta a causa dello scoppio del primo conflitto mondiale che segna uno spartiacque nella vita dell’artista, allontanandolo bruscamente dalla pittura: figlio di un militare, seppur riformato per problemi polmonari, non può moralmente sottrarsi al fronte, dove non resta che la carta a raccogliere disegni e acquerelli dedicati ai commilitoni. L’esposizione ai gas peggiora le sue condizioni, lasciandogli in eredità una grave forma di tubercolosi. La convalescenza nei paesaggi bucolici di Grasse si trasforma in una lenta agonia, lontano dalla vivacità della scena parigina, alleviata solo da rari momenti di miglioramento in cui realizza lavori ambivalenti, muovendosi sul doppio registro fra avanguardia e ritorno al neoclassicismo, frutto di una necessità tanto estetica quando simbolica per ripartire dopo il disordine della guerra, che lo preserva dal puro astrattismo.
Quasi tutte queste opere sono su carta, impossibilitato a reggersi al cavalletto: nature morte dal cubismo raffinato, disegni in cui la rappresentazione della sofferenza fisica viene elevata a elemento artistico e introspettivo, o ancora una serie enigmatica come quella dei Palafrenieri, in cui riecheggia la metafisica di De Chirico, a incarnare la prospettiva arcaica e intima di un uomo che sta morendo, con il solo sollievo del suo compagno Jean-Louis Gampert.
Certo, si potrebbe insinuare che dimenticato Roger de La Fresnaye lo sia stato perché nella sua produzione manca l’iconicità del capolavoro facilmente memorabile. In realtà, la forza e il significato della sua opera risiedono proprio nello sviluppo complessivo, dal quale emerge una traiettoria singolare.
Senza cadere nella tentazione di una compartimentazione scolastica, ma seguendo un andamento essenzialmente cronologico che ripercorre le stagioni della folgorante carriera dell’artista approfondendone i diversi nuclei tematici, l’allestimento proposto dal Museo d’arte di Mendrisio sa garantire il necessario sguardo, sia di insieme sia di dettaglio. Lungo il percorso viene inoltre dato spazio alla produzione plastica, anche se ristretta, e all’attività di illustratore, di carattere non secondario, in sintonia con la natura di raffinato intellettuale di questo artista. Una mostra che apre a nuovi orizzonti critici, grazie al lavoro di ricerca che la precede e al catalogo che riunisce contributi dei suoi massimi studiosi. Un’iniziativa applaudita anche dalle istituzioni francesi, offrendo l’occasione di colmare un’ormai ingiustificata lacuna, tanto che sulle cento opere esposte, ben dieci provengono dal Centre Pompidou, cui si uniscono altri importanti prestiti dai più prestigiosi musei francesi e svizzeri tra dipinti, sculture, disegni e importanti pubblicazioni originali e documenti.
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Museo d’arte di Mendrisio