Le principali economie continuano la loro tendenza al rallentamento, nonostante i recenti segnali di miglioramento. Si è trattato di un ciclo insolito, esacerbato dalla crisi pandemica e dalle sue conseguenze, nonché dalle politiche monetarie e fiscali iper-aggressive che ne sono seguite. Il surplus di risparmio accumulato ha aiutato le famiglie, e ora la forza del mercato del lavoro, la decelerazione dell’inflazione e l’aumento dei salari sembrano nuovamente sostenere i consumi.
Si potrebbe quindi assistere a un mini-rimbalzo ciclico nei prossimi trimestri. Inoltre, l’ingente liquidità ancora nel sistema funge da cuscinetto contro il ciclo rialzista dei tassi di interesse, che potrebbe dover essere esteso per risultare veramente efficace. I fattori sfavorevoli sono ancora presenti, ma lenti a emergere: standard di prestito più rigidi e tassi di insolvenza più elevati, oltre a politiche fiscali meno generose. Finora non si intravede una vera e propria recessione, ma è probabile che si verifichi una fase di contrazione, necessaria per riequilibrare i fondamentali della domanda e dell’offerta. Il peggio non è alle spalle, ma si è guadagnato tempo, aspettando un ‘errore politico’ che finirà con l’uccidere il ciclo.

La maggior parte degli economisti continua a non prevedere una recessione globale, e un atterraggio morbido rimane lo scenario più gettonato. Per di più, l’Eurozona è già in recessione tecnica, con due trimestri di crescita del Pil negativi (4° trimestre 22 e 1° trimestre 23), pari a -0,1% ciascuno. L’inflazione continua a scendere, ma la rigidità delle misure core e i loro livelli assoluti restano una sfida.
La forza (e gli squilibri) del mercato del lavoro sostengono la crescita dei salari, che si attesta su livelli ben superiori alla media storica. L’inflazione salariale rimane solida (5,6% negli Stati Uniti e 4,3% in Europa). Questo, a sua volta, sostiene i consumi delle famiglie, con un aumento dei salari in termini reali. Fattori positivi, che spingerebbero a un atterraggio morbido, ma è improbabile possano brillare senza scatenare nuove pressioni inflazionistiche, a meno di un ingente aumento della disoccupazione, oggi non nei radar.
La fiducia dei consumatori è di nuovo in crescita e la propensione al consumo sembra intatta. Questo dovrebbe riflettersi nei dati reali delle vendite al dettaglio, che potrebbero rilanciare la produzione manifatturiera e industriale, settori che sono stati deboli rispetto al settore dei servizi. Anche gli indicatori anticipatori, come il rapporto Ism Pmi manifatturiero tra i nuovi ordini e le scorte, sono incoraggianti. Infatti, in presenza di un indice Ism che indica un livello di scorte troppo basso Un livello di scorte troppo basso, potrebbe esserci una spinta alla produzione futura, che potrebbe ridare forza al mercato del lavoro. Nonostante la continua riduzione della liquidità delle Banche Centrali, questa è stata minore rispetto a quella del 2022. La liquidità rimane chiaramente abbondante, con livelli nei bilanci combinati delle tre principali banche centrali ancora superiori del 60% rispetto ai quelli pre-Covid. Senza un prelievo più aggressivo della liquidità, gli asset rischiosi dovrebbero rimanere ben sostenuti dall’abbondanza di denaro
È plausibile uno scenario Goldilocks? Probabilmente no, la piena occupazione è incompatibile con una riduzione sostenuta dell’inflazione. Solo un aumento della disoccupazione combatterebbe l’inflazione salariale, mentre c’è il rischio di un riaccendersi dei prezzi delle materie prime e dell’energia, che ridarebbero fiato proprio all’inflazione.
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