TM   Maggio 2024

Patrimoniale controversa

Dopo l’aliquota minima sugli utili delle multinazionali, una tassa globale sui miliardari? La proposta del G20 potrebbe fruttare 260 miliardi di dollari l’anno, ma non è esente da difetti di fondo. Un’analisi di Ignazio Bonoli, economista.

di Ignazio Bonoli

Economista

Il World Inequality Report 2022, basato sui dati del 2021, pubblicato dall’Alta scuola di economia di Parigi, constata ancora una volta che il 10% della popolazione possiede i tre quarti della sostanza privata mondiale e realizza globalmente la metà dei redditi privati prodotti nel mondo. Secondo gli economisti di questo istituto – che conta nomi come Gabriel Zucman, Thomas Piketty, Emmanuel Saez – la popolazione più ricca dovrebbe contribuire in misura maggiore al finanziamento delle spese dello Stato, per esempio applicando aliquote di imposta sul reddito tra il 70 e l’80%, nonché imposte sulla sostanza tra il 6 e l’8%.

Si sa però che i più ricchi sono anche abili nel trovare sistemi per evitare balzelli di questo tipo, per cui meglio sarebbero accordi fra paesi, del tipo di quello concluso fra 140 paesi per introdurre un’imposta minima del 15% sugli utili dei grandi gruppi internazionali. All’accordo si sono però sottratti gli Stati Uniti, pur essendo tra i promotori dell’operazione. Questo non ha però impedito al “Gruppo dei 20”, che riunisce le maggiori economie mondiali, di discutere di un altro tipo di imposta globale internazionale, quella che colpirebbe i ricchi con il 2 per cento della loro sostanza.

Presentata lo scorso febbraio, questa proposta dovrebbe essere oggetto di un progetto dettagliato entro la prossima riunione dei ministri delle finanze del G-20, a novembre, presieduto per l’occasione dal Brasile.

Il rapporto citato all’inizio dice che nel mondo vi sono 2.750 miliardari in dollari che posseggono globalmente 13mila miliardi di dollari. Un’imposta sulla sostanza (in Italia una patrimoniale), in teoria, comporterebbe un gettito di circa 260 miliardi di dollari ogni anno, il che corrisponderebbe a circa lo 0,3% del Pil annuale. In Svizzera si tratterebbe di circa 2 miliardi di franchi all’anno. Attualmente la Confederazione non percepisce un’imposta sulla sostanza. Lo fanno, però, i cantoni che, nel 2021, hanno incassato quasi 9 miliardi di franchi complessivamente.

Tuttavia, anche sul piano teorico, un’imposta sulla sostanza incontra sempre qualche difficoltà. Essa contraddice, infatti, il principio secondo cui un’imposta non dovrebbe mai colpire la fonte del reddito che poi viene tassato. Per questo la Confederazione non la applica, e anche i cantoni svizzeri applicano tariffe molto modeste, tra lo 0,2 e l’1%.

Infatti si tratta di un’imposta che punisce il risparmio e gli investimenti, viene applicata anche in caso di perdite e può ostacolare la crescita delle imprese. Molti paesi l’hanno abolita anche perché poco redditizia, mentre altri la giustificano quale complemento al principio di tassare in base alla forza economica del contribuente, oppure quale moderatore delle disuguaglianze. Inoltre supplirebbe in parte al limite massimo delle aliquote sul reddito e potrebbe essere un parziale sostituto a un’imposta sui guadagni in capitale, che alcuni paesi non applicano. Comunque solo tre dei 38 paesi dell’Ocse praticano ancora la tassazione della sostanza:  Svizzera, Spagna e Norvegia.

Molti paesi tassano, invece, parti della sostanza: ad esempio gli immobili, oppure tassano in modo pesante le eredità e applicano anche l’imposta sui guadagni in capitale. Tenendo conto di tutti questi tipi di tasse e rapportandone il gettito al prodotto interno lordo, troviamo in testa la Francia, con il 3,8%, seguita dall’Italia con il 2,5% e dalla Svizzera con il 2,3%.Questa tassazione terrebbe conto del fatto che i grandi patrimoni sono particolarmente mobili e scelgono i paesi meno esigenti. Per fronteggiare queste situazioni è stata già prevista la tassa minima sugli utili dei grandi gruppi internazionali. Ora, agli economisti citati all’inizio è venuta l’idea di estendere il metodo anche ai patrimoni privati. Dapprima si è pensato di tassare con il 2% quei miliardari che non pagano già imposte adeguate. L’applicazione del concetto non è, però, ancora stata chiarita, ma si vedono già migliori possibilità di sottrarsi al pagamento.

Non solo, ma manca anche il consenso generale. Gli Stati Uniti si sono già detti contrari a una nuova imposta, tenuto conto del carattere progressivo di quelle già in vigore, mentre altri esperti esprimono già il loro scetticismo. In Svizzera l’idea non è tanto contestata, ma un tasso del 2% non solleva troppi entusiasmi e il governo non si è ancora pronunciato. Tutto sommato nemmeno il momento sembra propizio a nuove imposte. In genere i gettiti delle imposte nei singoli Stati crescono in parallelo con il relativo Pil, o perfino in misura leggermente superiore. Nella media dei paesi Ocse il fisco preleva il 34% del Pil annuale, in aumento del 3,5% rispetto al 1990. Tuttavia, in tutti gli Stati membri, la domanda di prestazioni statali sta crescendo in misura superiore e spesso chiede nuove imposte, soprattutto con carattere distributivo. Come già accennato, bisognerebbe, però, stare attenti a non uccidere la classica “gallina dalle uova d’oro”, mentre molti paesi la stanno allevando con particolari cure.

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