Quando l’anno scorso è stato annunciato che l’organizzazione della ormai storica fiera di arte contemporanea parigina Fiac sarebbe passata da Rx France al gruppo svizzero Mch, portando di fatto sotto l’egida di Art Basel, di cui è proprietario, la manifestazione che da 47 anni inaugurava l’autunno parigino, il mondo della cultura e dei media si è affrettato a gridare al terremoto, temendo che lo stradominio della multinazionale elvetica delle fiere finisse per fare tabula rasa della tradizione locale. Rispolverando gli archivi, si scopre però come la Fiac in origine sia stata ideata proprio a imitazione della fiera di Basilea che, lanciata cinque anni prima, nel 1969, da galleristi del calibro di Ernst Beyeler, Trudl Bruckner e Balz Hilt, sin dalla prima edizione aveva vantato un’envergure internazionale, richiamando oltre 16mila visitatori, 90 gallerie ed editori internazionali. Anche a Parigi fu un gruppo di galleristi e artisti a mobilitarsi: inizialmente ospitato dalla stazione ferroviaria dismessa della Bastiglia, il loro Salone approdò dal 1977 al Grand Palais. Filiale francese del gruppo anglo-olandese Relx, Rx France continuerà a organizzare Paris Photo, a dicembre, ma ha dovuto ridimensionare le proprie ambizioni dopo il colpo della pandemia, dal quale invece Art Basel è riemersa con rinnovato slancio, forte del sostegno dei suoi azionisti, dei Cantoni di Basilea e Zurigo e della nuova partecipazione di James Murdoch. Quanto basta per stanziare un cachet di 10,6 milioni di franchi per i prossimi sette anni di mandato a Parigi.
Multinazionale però non significa per forza omologazione. «È chiaro che Art Basel è un’organizzazione globale. Ma esserlo significa anche essere rispettosi dei contesti in cui lavoriamo e fare ogni sforzo per contribuire all’ecosistema locale. Ogni nostra fiera è unica e definita dalla città e dalla regione che la ospita, il che si riflette nelle gallerie partecipanti, nelle opere presentate e nella programmazione parallela. Comunque, l’arte è sempre globale e interculturale, in grado di parlare a tutti. Sosteniamo una diversità di offerte e punti di vista artistici attraverso il mondo, a maggior ragione necessario di fronte ai rapidi cambiamenti e alle crisi attuali – sanitaria, economica e geopolitica, … – che gli artisti ci aiutano a comprendere», afferma Vincenzo de Bellis, dall’anno scorso Direttore delle Fiere e delle Piattaforme internazionali di Art Basel, chiamato ad articolare una strategia globale, sovraintendendo le direzioni delle fiere di Basilea, Hong Kong, Miami Beach e Parigi, oltre a occuparsi dello sviluppo di nuovi eventi e iniziative espositive.
A dimostrazione della capacità di rispondere alle specificità dei diversi mercati per accrescere la propria influenza, si può portare l’esponenziale crescita della fiera di Honk Kong: quest’anno ha battuto per affluenza persino l’appuntamento renano, 86mila visitatori contro 82mila (+43% in dieci anni dall’inaugurazione) e se è vero che di mezzo c’è un’altra logistica, altri spazi e una pandemia che ancora condiziona gli spostamenti dall’Asia, sotto sta altrettanto l’abilità di interpretare una diversa cultura e la sua fame di arte.
«Art Basel è sempre stata associata all’arte di altissima qualità, a un servizio impeccabile sia per gli espositori sia per il pubblico, e a nuove opportunità d’incontro e di scoperta. A Parigi desideravamo sostenere una scena artistica nella quale siamo sempre stati coinvolti attivamente. L’attenzione a favorire le opportunità per i protagonisti degli ecosistemi culturali locali guida tutti i nostri sforzi, più di un terzo dei galleristi hanno spazi espositivi in Francia», sottolinea Vincenzo de Bellis.
Già la scelta del nome, Paris+ par Art Basel, che differisce da quello delle tre consorelle, rivela il tatto con cui ci si è profilati. Una quarta stagione a sole poche centinai di chilometri da Basilea potrebbe apparire una scelta poco strategica se non si tenesse in considerazione il prestigio della Ville Lumière, culla dell’arte moderna: fuori discussione dunque non rispettarlo. Art Basel ha saputo aspettare il giusto momento che, dopo decenni di stasi, ha visto il mercato parigino dell’arte risorgere per contendere a Londra lo scettro, complice la Brexit e con l’arrivo di tante gallerie internazionali e l’apertura di emergenti che hanno ribaltato la sudditanza rispetto alla capitale britannica.
Preparata in soli 9 mesi, l’edizione inaugurale dello scorso anno era già stata un successo, con 156 gallerie leader provenienti da 30 Paesi e territori, un totale di 40mila visitatori e importanti vendite in tutti i settori di mercato e in tutte le giornate. «Non abbiamo avuto difficoltà a integrarci: un team locale impegnato e il know-how e la visione di Art Basel hanno contribuito a convincere chi poteva dubitare che con Paris+ par Art Basel la sfera culturale parigina avrebbe guadagnato attrattiva senza dover rinunciare alla propria autonomia. Anche l’apertura mentale e l’entusiasmo dei nostri contatti a Parigi sono stati un fattore importante», commenta Clément Delépine, direttore di Paris+ per Art Basel.
Grande spazio alle gallerie emergenti, simbolicamente collocate nel cuore del Grand Palais Éphémère, che ospita queste prime edizioni in attesa che termino i lavori di restauro del Grand Palais l’anno prossimo. «La collocazione degli Emergenti al centro della fiera, con le loro proposte personali spesso radicali, riflette la nostra missione di offrire ai visitatori il meglio dell’arte moderna e contemporanea, non solo a favore del mercato, ma anche della nascita di nuovi discorsi e nuove relazioni. È la ricerca dell’eccellenza a guidare le scelte del comitato di selezione di Paris+ par Art Basel, composto da galleristi che sono nella posizione migliore per valutare i profili e le proposte dei loro colleghi», spiega il direttore.
In programma dal 20 al 22 ottobre, con anteprima Vip mercoledì e giovedì, la seconda edizione conferma impostazione e qualità, accogliendo anche 15 nuove gallerie. Ma il vero plus è dato dal potenziamento del programma pubblico, completamente gratuito, che rafforza ulteriormente l’ancoramento nella scena culturale parigina. Il coinvolgimento di tre nuove prestigiose istituzioni – il Palais d’Iéna, il piazzale dell’Institut de France e il Centre Pompidou, che si sono affiancati al Jardin des Tuileries, alla Chapelle des Petits-Augustins des Beaux-Arts de Paris e alla Place Vendôme – ha permesso di arricchire notevolmente la costellazione di appuntamenti proposti.
«Ogni progetto riflette la nostra ambizione di offrire al pubblico un momento di meraviglia e di riflessione, indipendentemente dalla visita al Grand Palais Éphémère. Il lavoro per mettere insieme questo programma è notevole ma sempre produttivo, e non è mai fatto da soli: siamo orgogliosi di poter collaborare con esperti di ingegneria culturale, siano essi enti pubblici come la Città di Parigi e il Conseil Économique, Social, et Environnemental, che ha sede al Palais d’Iéna, scuole d’arte prestigiose come le Beaux-Arts de Paris e l’Ecole du Louvre, o istituzioni culturali di fama mondiale come il Musée du Louvre e il Centre Pompidou», racconta il direttore di Paris +.
Proprio in collaborazione con il Centre Pompidou è organizzato il programma di Conversation, sezione che assume particolare rilevanza quando l’ambizione è quella di presentarsi non solo come vetrina dell’arte ma come spazio di riflessione. «Questa collaborazione con uno dei centri più importanti al mondo per la creazione e l’apprendimento contemporaneo è di per sé un invito alla riflessione. Per quest’edizione abbiamo scelto di esplorare diversi aspetti del discorso culturale contemporaneo, nonché i recenti sviluppi del mercato. Negli ultimi anni si è assistito a una necessaria revisione del canone per includere figure e pratiche fino a poco tempo fa considerate marginali, in particolare artisti queer e razziali. Fortunatamente, ci stiamo anche allontanando sempre più dalla separazione spesso artificiale tra le diverse discipline artistiche e dal disprezzo per le arti cosiddette ‘popolari’. I curatori del programma hanno scelto, ad esempio, di esplorare la storia di Walt Disney e l’influenza del drag sulla cultura contemporanea», descrive Clément Delépine.
Un autunno da capitale
Ma è tutta Parigi ad approfittare del momento topico, proponendo una programmazione espositiva di altissima qualità e attrattiva, che ne conferma il ruolo di leader nella scena europea e la rende una destinazione da non mancare. Dall’imperdibile retrospettiva di Marc Rothko alla Fondation Louis Vuitton, che ne ripercorre la strada dalla figurazione all’astrazione, a quella che il Musée d’Art Moderne dedica a una figura chiave della scena artistica francese del dopoguerra, Nicolas de Staël. Molti i nomi popolari come Amedeo Modigliani al Musée de L’Orangerie (ma se ne racconta il rapporto, meno noto, con il mecenate Paul Guillaume), van Gogh con le opere degli ultimi anni al Musée d’Orsay, Berthe Morisot al Musée Marmottan Monet, mentre il Centre Pompidou si unisce alle celebrazioni per i 50 anni dalla morte Picasso facendo luce sulla parte più prolifica della sua produzione creativa: il disegno, luogo di invenzione dai primi studi alle opere finali. Quasi mille opere – taccuini, disegni e incisioni – sono state riunite in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris, che ospita a sua volta la personale di Sophie Calle, artista concettuale, scrittrice, fotografa, videoartista a cui ha dato carta bianca per dispiegare il suo universo in relazione al maestro spagnolo.
Altro dialogo fra maestri è quello che vede le sculture di Antony Gormley popolare gli spazi interni ed esterni del Musée Rodin, mentre il Louvre ospita 31 dipinti di una fra le più straordinarie collezioni di pittura italiana, quella del Museo Capodimonte.
In concomitanza con Paris + par Art Basel viene inaugurata anche l’attesissima Ghost and Spirit, che la Collezione Pinault, nella sede della Bourse de Commerce, consacra a Mike Kelley (1954-2012), un visionario, particolarmente interessato al modo in cui la soggettività è plasmata dalle strutture di potere familiari e istituzionali all’interno della società americana capitalista postmoderna, dai rapporti fra memoria collettiva e individuale, relazioni di genere e di classe sociale.
Il centenario dalla morte di Gustave Eiffel offre alla Cité de l’architecture et du patrimoine l’occasione per mettere in luce l’eredità lasciata dall’illustre ingegnere e imprenditore sul paesaggio di Parigi.
Tante anche le mostre di moda, su tutte quella che il Palais Galliera consacra a Azzedine Alaïa, esplorando la sua passione per il collezionismo dei grandi couturier del passato, di cui ha acquistato oltre 20mila pezzi da fine XIX secolo ai suoi contemporanei. A fine novembre arriverà invece al Musée des Arts Décoratifs l’innovativa stilista olandese Iris Van Herpen. Gli stessi musei propongono anche due esposizioni che indagano il rapporto fra moda e sport in attesa delle Olimpiadi che Parigi tornerà a ospitare nel 2024 dopo un secolo.
Giochi da farsi
Moda (e cinema) sono settori con i quali, lanciandosi su Parigi, Art Basel ha chiaramente dichiarato di puntare a dialogare e l’anno olimpico potrebbe esser la partenza. «È troppo presto per dire cosa abbiamo in serbo per il 2024. Tuttavia, il trasferimento al Grand Palais sarà certamente un’opportunità per svelare nuove proposte in tutti i settori. Vogliamo continuare a costruire ponti tra l’arte e altre industrie culturali, come la moda e il cinema, vere e proprie icone culturali francesi», anticipa il direttore di Paris+. Attualmente, le gallerie che espongono sono circa un terzo in meno di quelle di Basilea, ma già vicine a quelle presenti alla Fiac delle ultime stagioni. Se al di là della quantità è la qualità a contare, comunque le aspirazioni sono chiare. «In qualità di leader nel mondo dell’arte, è importante lavorare costantemente per ampliare lo spettro delle piattaforme espositive, per creare ulteriori opportunità di scambio tra tutte le industrie creative. A Parigi, stiamo già collaborando con una casa di moda leggendaria, e a Miami Beach con il Tribeca Film Festival», precisa Vincenzo de Bellis.
«Guardando al futuro, ci impegniamo a trovare metodi per aumentare il valore delle nostre gallerie, dei collezionisti, dei partner e del pubblico di tutto il mondo, attraverso nuove opportunità all’interno e all’esterno dell’ecosistema dell’arte. Ciò include il coinvolgimento di comunità di collezionisti emergenti in tutto il mondo e il collegamento di queste comunità con le nostre gallerie», conclude il Direttore delle fiere di Art Basel.
Almeno fino al 2028, contratto assicurato, ma è indubbio che la regina delle fiere non si lascerà spodestare facilmente. Ogni sua mossa sullo scacchiere è sempre stata attentamente meditata per consolidare la sua leadership del mercato mondiale dell’arte moderna e contemporanea. Quattro stagioni in tre continenti non sono semplicemente frutto di disponibilità finanziaria.
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Il Marais e Saint-Germain-des-Prés rimangono l’epicentro in cui sono insediate alcune delle più prestigiose gallerie francesi da decenni (Templon, Chantal Crousel, Templon, frank elbaz, Michel Rein, Polaris, …), ma anche la geografia artistica di questi quartieri è stata ridisegnata nel giro di cinque anni, con una serie di spostamenti e nuove spettacolari installazioni (fra i nuovi arrivati, lo svedese Andréhn-Schiptjenko, new-yorkais David Zwirner, la giovane sans titre, il brasiliano Mendes Wood Dm, Dvir Gallery da Tel Aviv, lo zurighese Peter Kilchmann, …). Anche Saint-Germain-des-Prés, altro quartier generale storico delle gallerie, rimane un’arteria essenziale dell’ecosistema parigino con il suo mix unico di moderno e contemporaneo, arti primitive e design (Kamel Mennour, Hervé Loevenbruck, Le Minotaure, Zlotowski, …). Ma la vera novità è Parigi Ovest, che ha visto ripopolarsi l’VIII Arrondissement di nomi interessanti, da Place Vendôme a L’Alma. Partenza lenta, una ventina di anni fa, con l’arrivo di Christie’s, poi seguita da Sotheby’s di fronte all’Eliseo. Nel 2010 l’insediamento di Gagosian (che poi ha inaugurato una gigantesca sede a Le Bourget nel 2012 e una più piccola in rue de Castiglione nel 2021), affiancatasi a Tornabuoni Art, bastione dell’arte moderna italiana. A seguire sono stati tanti i nomi – di rilevo ed emergenti – a scegliere la zona. Lo ha appena fatto anche un’autorità in materia come la zurighese Hauser & Wirth, che il 14 ottobre ha inaugurato la sua splendida sede nell’hôtel particulier neoclassico del XIX secolo al 26 bis di rue François 1er (in foto, con la sua prima mostra, dedicata all’artista di Los Angeles Henry Taylor), non lontano dagli Champs-Élysées e dall’Avenue Montaigne, installandosi in una città che tanta ispirazione ha dato ai suoi artisti, da Louise Bourgeois e Pierre Huyghe che vi sono nati, a quelli che vi sono arrivati, come Takesada Matsutani, Alina Szapocznikow e Ed Clark. E già ha dichiarato di voler stabilire importanti partnership locali per creare un programma educativo inclusivo. Disposto su quattro piani, lo spazio di 800 mq è stato ridisegnato dallo studio di architettura parigino Laplace, confermando l’impegno di Hauser & Wirth per gli edifici storici.