Si allungano le ombre sui prossimi dati congiunturali europei, su impulso dei malumori da Oltreoceano dove alle tante promesse della campagna elettorale potrebbero infine seguire anche dei fatti. Rispetto a non sapere, per quanto certo una nuova guerra dei dazi potrebbe avere risultati tremendi, potrebbe essere considerato un passo in avanti, per quanto molto costoso.
Nel corso del mese di febbraio l’indice Pmi delle Pmi svizzere è però finalmente rimbalzato, segnalando una forte accelerazione positiva, dopo un nuovo triste primato raggiungo in gennaio, quando l’indice era precipitato a un minimo di 44,6 allungando una pericolosa tendenza iniziata sul finire del 2024. Il punteggio di 49,9 tagliato in febbraio, dunque a un passo dalla fatidica soglia dei 50 punti, riporta l’indice svizzero sui valori di novembre (50,1) prima che il calo iniziasse, per quanto non va scordato che già in settembre 2024 si veleggiasse in area 47,2 dunque in leggera contrazione.
Ad avere consentito questa ‘ripartenza’, nella pia speranza che non sia l’ennesimo rimbalzo di un gatto morto sempre più morto, hanno contribuito tutte le sottocomponenti dell’indice, pur mantenendosi sia ‘scorte’ che ‘occupazione’ in territorio negativo e molto negativo.
Segnali incoraggianti arrivano in maniera molto più marcata dalle aziende concentrate quasi esclusivamente sul mercato interno, e con livelli di export bassissimi, che almeno per il momento sono tornate anche ad assumere, come dimostrano i livelli occupazionali del Pharma (+4,1%) e della costruzione di veicoli (+6,4%), male invece l’industria MeM che prosegue con un ulteriore calo.
Considerando la deludente congiuntura europea ormai in atto da un biennio, con la Germania a gravare sugli aggregati, il possibile chiudersi della domanda americana solleva più di una preoccupazione nelle aziende di ogni ordine e grado, anche se almeno in questo primo round di nuovi dazi, promessi alla Cina, minacciati a Canada, Messico, e Unione Europea, la Svizzera dovrebbe risultare incolume.
Il rischio di un dazio universale non è ancora stato scongiurato, ma appaiono al momento più probabili decisioni mirate, e volte a colpire industrie d’esportazione precise. Entro i primi di aprile dovrebbe essere comunque fatta (forse) luce.
La minaccia di imporre dazi da parte dell’Amministrazione Trump è vissuta con molta preoccupazione da parte delle imprese svizzere, che stimano nel 25% dei casi un calo dell’export verso gli Stati Uniti del 20%, in presenza di un dazio del 10%, mentre il 30% del campione statistico stima cali ancora più marcati.
Da non trascurare gli effetti indiretti di tali politiche, a partire dai riflessi che il calo dell’export europeo avrebbe sulla congiuntura dell’Unione, e dunque anche sull’andamento degli affari delle aziende elvetiche attive in Svizzera ed Europa.
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