TM   Dicembre 2024

Oltre la tazzina

Seconda al solo Brasile per valore commerciale delle sue esportazioni di caffè, la Svizzera nel volgere di un ventennio si è trasformata in hub internazionale del settore, forte della triade trading – torrefattori – macchine automatiche professionali. Per mantenere la leadership, fondamentale intercettare i nuovi trend di consumo. Un caffè corretto ‘sostenibilità’? Interviene Karine Szegedi, Managing Partner, Consumer Industry Lead di Deloitte.

di Andrea Petrucci

Chicchi caffè

Non soltanto ghiotti di cioccolato, primi per consumo pro capite con una media che sfiora gli 11 kg l’anno, gli svizzeri sono anche notevoli bevitori di caffè, con 7,23 kg l’anno. Benché non abbiano mai posseduto domini coloniali, i prodotti più esclusivi provenienti da oltreoceano hanno saputo conquistare i confederati. Ma ancor più del consumo diretto, che con 9 milioni di abitanti ha i suoi limiti, la Svizzera si è guadagnata un ruolo centrale nel settore del caffè come suo hub commerciale internazionale e, grazie alla sua meccanica di precisione, ha saputo portare ai più alti livelli la tecnologia e l’innovazione a servizio di una perfetta degustazione. Nonostante il ritardo sulla lunga tradizione nazionale nel cioccolato, negli ultimi decenni l’ecosistema rossocrociato del caffè è cresciuto rapidamente ed è ora composto da importanti attori internazionali, tra cui rinomati torrefattori, alcune delle principali compagnie di trading a livello mondiale e i principali produttori di macchine.

Una leadership ben fotografata dal recente studio dedicato da Deloitte al settore. «Mentre negli anni ’90 la Svizzera non trattava quantità rilevanti, le esportazioni di caffè sono decollate a metà anni Duemila aumentando di oltre venti volte, da 0,16 miliardi di franchi nel 2005 a 3,27 miliardi nel 2023. Un valore che la colloca al secondo posto fra gli esportatori di caffè a livello mondiale, dietro al solo Brasile. Un risultato notevole se si considera che non si tratta di una nazione produttrice di caffè come il Brasile o la Colombia, né dispone di un grande mercato interno come gli Stati Uniti o la Francia. È poco noto, ma il caffè è il prodotto agricolo più esportato dalla Confederazione, con un valore annuale di gran lunga superiore ad altri prodotti svizzeri più tradizionali, come il cioccolato e il formaggio», evidenzia Karine Szegedi, Managing Partner, Consumer Industry Lead di Deloitte.

Molto più rapida di quella delle importazioni, pure aumentate, la crescita delle esportazioni può essere associata in particolare al successo di Nespresso come brand globale, che continua a produrre esclusivamente nei suoi tre siti in Svizzera le capsule che poi esporta in oltre 60 Paesi. Attraverso la torrefazione e l’ulteriore lavorazione del caffè verde, gli operatori svizzeri aggiungono un enorme valore al prodotto, rispecchiato dai prezzi: mentre le importazioni costano circa 5 Chf al chilo, le esportazioni raggiungono un valore sei volte superiore, a 30 Chf/kg.

Cruciale è anche il ruolo svolto nel trading: «L’area metropolitana del Lago di Ginevra e di Zurigo ospita una mezza dozzina dei principali trader di caffè del mondo, che si stima rappresentino circa il 70% del commercio globale di caffè grezzo. Le ragioni di questa forte concentrazione sono molteplici, a partire dalla possibilità di inserirsi in un ecosistema con banche, assicurazioni, società di spedizione e trasporto che ne supportano e facilitano le attività, alla posizione geografica che consente di operare agevolmente su diversi fusi orari: l’Asia al mattino, le Americhe nel pomeriggio e l’Africa tutto il giorno», osserva Karine Szegedi.

Il 70% del mercato mondiale la Svizzera lo domina anche per numero di macchine da caffè totalmente automatiche. Schaerer, Franke, Thermoplan, Jura, Cafina, Rex Royal, Egro, … un cluster di produttori di macchine per uso domestico e, soprattutto, per uso professionale (dalla ristorazione all’hôtellerie alle catene di caffetterie), segmento quest’ultimo passato dai 100 milioni di Chf circa di export di trent’anni fa a 820 milioni nel 2023.

È poco noto, ma il caffè è il prodotto agricolo più esportato dalla Svizzera, con un valore annuale di gran lunga superiore a cioccolato e formaggio: 3,27 miliardi di franchi, venti volte il valore del 2005, il che colloca la Confederazione al secondo posto fra gli esportatori di caffè a livello mondiale, dietro al solo Brasile.

Karine Szegedi

Karine Szegedi

Managing Partner, Consumer Industry Lead di Deloitte

Il sondaggio condotto da Deloitte nel marzo di quest’anno – che oltre al focus sulla Svizzera ha toccato altri 12 Paesi per un totale di 7mila bevitori di caffè, unitamente alle interviste personali con esperti del settore – consente una significativa panoramica sulle tendenze destinate a plasmare il futuro del mercato. «Come per molti altri prodotti di consumo, la sostenibilità è diventata centrale, sia dal punto di vista ambientale che sociale. Il cambiamento climatico potrebbe sottrarre alla produzione oltre metà delle attuali aree di coltivazione entro il 2050. Inoltre, la deforestazione e le malattie delle piante stanno mettendo a rischio la sopravvivenza della maggior parte delle specie di caffè selvatico. Con ripercussioni anche sulla sostenibilità sociale, dal momento che 125 milioni di agricoltori in tutto il mondo ne dipendono per il loro reddito», avverte l’esperta di Deloitte Svizzera.

La sensibilità si sta quindi diffondendo nel settore, come confermano le iniziative di singoli e, soprattutto, collettive. È il caso di Coffee&Climate che vede commercianti, tostatori, agronomi e formatori unire le forze per sviluppare e condividere soluzioni e risorse pratiche per proteggere i raccolti dall’impatto del cambiamento climatico, come tecniche agricole rigenerative e metodi di irrigazione più efficienti che siano di facile applicazione anche per i piccoli coltivatori. Complementarmente, fondamentali i paletti posti dalle nuove normative, quali il recente regolamento dell’Ue sulla deforestazione.

Export svizzero di caffè

Per tipologia, mld Chf

Export svizzero di caffè
Fonte: Ufficio federale dogana e sicurezza confini (UDSC).

Principali mercati destinazione export svizzero di caffè

In mld Chf

Principali mercati destinazione export svizzero di caffè
Fonte: Ufficio federale dogana e sicurezza confini (UDSC).

A rendere ardua la missione è però la complessità di una catena frammentata dal gran numero di attori, spesso poco trasparente. «Una tendenza attuale del settore è tuttavia il commercio diretto tra coltivatori e torrefattori, senza intermediari. L’obiettivo è sviluppare una partnership a lungo termine al posto di una relazione commerciale in cui il torrefattore effettua un numero limitato di acquisti una tantum. I coltivatori beneficiano così dell’impegno di acquisto dei torrefattori, che fornisce loro stabilità finanziaria e la fiducia necessaria per effettuare investimenti, ad esempio, in macchinari e attrezzature. Inoltre, nel commercio diretto i produttori ricevono solitamente compensi più alti. I torrefattori, dal canto loro, possono comunicare i profili di gusto preferiti dai loro clienti e collaborare al miglioramento dei prodotti. E ai consumatori possono fornire informazioni precise sulla regione di coltivazione, la varietà di caffè e il metodo di lavorazione», sottolinea Szegedi. Di nuovo, Nespresso su tutte, ha fatto scuola.

Luoghi di preparazione e consumo del caffè: la casa è regina

“Quanto spesso...” (n = 7.053)

Luoghi di preparazione e consumo del caffè: la casa è regina
Fonte: Deloitte Coffee Study 2024.

L’istantaneo sorprende in vetta

Top 5 metodi usati per la preparazione del proprio caffè (n = 7.053)

Top 5 metodi usati per la preparazione del proprio caffè
Fonte: Deloitte Coffee Study 2024.

Ostacoli alla sostenibilità

“Cosa le impedisce di bere regolarmente caffè sostenibile?” (1833 partecipanti*)

Ostacoli alla sostenibilità
Fonte: Deloitte Coffee Study 2024.

Se circa un quarto dei partecipanti al sondaggio indica di aver provato caffè sostenibile e uno su sei lo beve almeno una volta alla settimana, la volontà di sostenere salari equi e buone condizioni di lavoro e di contribuire a un’economia del caffè sostenibile è messa alla prova soprattutto dal fattore costo. In media, risulta una disponibilità a pagare un extra di un quarto circa del prezzo del prodotto per acquistare caffè da coltivazione biologica, ma con forti variazioni a seconda del mercato di destinazione. Va però considerato come negli ultimi anni già il caffè convenzionale stia subendo il rally dei prezzi. Sommandosi all’impennata dell’inflazione tra il 2021 e il 2023, il crescente costo della tazzina ha portato sempre più persone a optare per il consumo domestico, scelta rafforzata dalle abitudini maturate negli anni della pandemia. «Contestualmente è decollato l’e-commerce che, sebbene ancora nettamente distaccato dall’acquisto al supermercato (74% contro 27% degli intervistati), da oltre 9 miliardi di dollari nel 2023 si prevede che sia destinato a raddoppiare entro il 2029, superando i 17 miliardi. Prezzi più bassi, maggiore praticità e un assortimento più ampio sono le principali ragioni del successo», spiega la Consumer Industry Lead di Deloitte.

A incidere su comportamenti e abitudini di consumo è anche l’anagrafe. Le generazioni più giovani tendono a bere meno caffè, quando lo fanno spesso è fuori casa, preferiscono le specialità (millenial) e indulgono con latte e zucchero (Gen Z): una sorta di ciclo di vita dei bevitori di caffè che si conclude con l’espresso liscio e amaro per i più attempati.

Tendenze che si innestano su quella che viene comunemente identificata come la terza ‘ondata’ dell’evoluzione dell’industria e della cultura del caffè, guidata dai piccoli torrefattori artigianali che, da metà anni Duemila, hanno iniziato a privilegiare le colture monorigine, lavorando quantità inferiori rispetto alle produzioni commerciali per garantire un prodotto pregiato, qualitativamente superiore e sostenibile. Sembra così proseguire l’inversione di rotta rispetto alla prima ondata che nel secolo scorso aveva reso il caffè, da bene di élite, accessibile alle masse, per poi, a metà anni Novanta, lasciar spazio alla fase che ne ha fatto un vero e proprio stile di vita con la grande fioritura di catene di culto come Starbucks e Costa Coffee. Resta da vedere se i nuovi sviluppi sapranno garantire un consenso di mercato altrettanto unanime o se si andrà in direzione di una polarizzazione fra una nicchia virtuosa e il largo consumo. Quello che è certo è che tutti coloro che sono intenzionati a rimanere o diventare leader del settore, Svizzera in primis, sono ben consapevoli di come sia ‘espresso’ dovere tenersi al passo con i tempi.

Già storicamente volatili, i prezzi del caffè stanno subendo l’ulteriore contrazione della produzione, complice la siccità che ha colpito negli scorsi mesi il Brasile, roccaforte del 40% circa della produzione mondiale e, in particolare, della varietà Arabica che del mercato costituisce tre quarti, mentre in Vietnam le coltivazioni di Robusta, la varietà più economica usata ad esempio per il caffè istantaneo, sono state decimate dal tifone Yagi. Nel solo terzo trimestre, i prezzi sono aumentati quasi del 20% (60% da inizio anno) e le preoccupazioni sul potenziale dei prossimi raccolti, che le precipitazioni finalmente copiose sul Brasile non bastano a dissolvere, hanno visto schizzare i futures: una libbra di Arabica sul mercato di New York ha toccato il prezzo più alto dal 1997, a 3,1 dollari, mentre il Robusta a metà settembre veniva scambiato a Londra a 5.829 dollari la tonnellata, record dall’apertura dell’attuale contratto di riferimento nel 2008.

Ai timori sui raccolti, si sommano le ricadute delle interruzioni del trasporto nel Mar Rosso, insieme ad altri fattori geopolitici come la minaccia di dazi statunitensi e il Regolamento Ue sulla deforestazione, che entrerà in vigore il 30 dicembre 2025 per grandi operatori e commercianti e un anno più tardi per le piccole imprese, costringendole a un’onerosa due diligence. Al contempo, anche la crescente domanda da parte di immensi mercati emergenti come l’Asia, moltiplica la pressione.

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