L’nclusione finanziaria è uno di quegli obiettivi Esg spesso dimenticati nella foga di rendere sostenibile quanto è improbabile possa diventarlo nei tempi che molti Paesi si stanno imponendo. Quella degli investimenti sostenibili è molto probabilmente una semplice moda, destinata a riassorbirsi in pochi anni, almeno rispetto agli eccessi raggiunti negli ultimi. Un mondo ambientalmente più sostenibile, e un’impronta carbonica più contenuta restano obiettivi meritori, le modalità con cui ci si propone di raggiungerli controproducenti. Eppure Esg non è solo una questione ambientale, dunque di E, ma anche di Governance e di sostenibilità Sociale, di cui quest’ultima è tra le più difficili da trovare nella vasta giungla delle certificazioni. A rimanere è però l’inclusione finanziaria, un motore di sviluppo e benessere, dunque S, ancora in tempi recenti per alcune aree dei Paesi occidentali, oltre che ovviamente per gli Emergenti.
«Ancora negli anni Novanta in sud Italia l’apertura di un conto corrente a un’impresa, o più in generale l’accesso al sistema bancario, non era scontato quanto si penserebbe, e a tutt’oggi qualche criticità sopravvive. Proporzionalmente è invece un problema meno grave negli Emergenti, il che è paradossale. Il micro credito, in molti casi, è una risposta a questi problemi che zavorrano lo sviluppo di vaste aree del mondo. Tant’è che la nostra società, specializzata nell’erogazione diretta di crediti a micro imprese, oltre che in Asia centrale ed Europa orientale, è attiva anche in alcuni Paesi avanzati, come l’Italia» esordisce così Vincenzo Trani, membro del Board e non-executive director di Mikro Kapital Management, Casa di fondi lussemburghesi specializzata nel micro credito.
Nonostante il focus guardi dunque a Oriente, le radici affondano nella finanza tradizionale europea, nel cuore del Vecchio Continente. «La nostra società ha sede in Lussemburgo, hub internazionale per la finanza e il fund management. Qui infatti è dove viene effettuato il consolidamento dei bilanci delle controllate attive in 14 Paesi, e dunque anche il relativo risk management. Divisi in due fondi, Mikro Fund e Alternative, Mikro Kapital ha un totale di aset di circa 1 miliardo di euro, e 3500 collaboratori attivi sul territorio nei 256 uffici locali da cui operiamo. Al fine di avere un portafoglio sano sono fondamentali le solide competenze della holding lussemburghese, ma anche le competenze finanziarie e manageriali delle controllate, e del capitale umano del luogo» prosegue il manager.
Al pari di qualunque altra impresa, le competenze del personale restano uno dei principali asset, con in questo caso alcuni vincoli ulteriori, tipici del business. «Siamo attivi lungo quella che fu la Via della Seta di Marco Polo, con sedi nelle principali città di allora e di oggi, come Samarcanda, oltre che nelle province. Tendenzialmente tutti i nostri collaboratori sono economisti o avvocati, formatisi in loco, e molto spesso al primo impiego. Il passaggio dalla teoria alla pratica, dunque un’altra formazione, è una delle principali incombenze in capo all’Home officer, il responsabile locale, la cui remunerazione è agganciata in misura importante ai risultati raggiunti dall’intero team che ha reclutato e formato. È un lavoro complesso il nostro, si tratta spesso di riuscire a leggere tra le righe di un bilancio, e dare fiducia, dunque credito, a micro imprese unipersonali, formando anche i clienti, ‘passando’ nozioni base di contabilità e gestione d’impresa, un ingrediente essenziale per mantenere un portafoglio sano» riflette Trani.
In poco più di 16 anni di attività i traguardi tagliati si confermano notevoli, oltre alle masse investite e al numero di Paesi e uffici, sono centinaia di migliaia i piccoli clienti soddisfatti, una minima percentuale della domanda, ma come è stato possibile? «A cavallo degli anni 2000 sono entrato nella Banca europea di ricostruzione e sviluppo, ero già stato attivo in molti dei mercati in cui opera oggi Mikro Kapital; ci siamo rivolti a personale esperto del luogo, già impegnato in progetti di microcredito, e che avevo formato allo scopo in molte repubbliche ex sovietiche. A facilitare molto è anche l’uniformità delle normative finanziarie di questi Paesi, scritte proprio dalla Banca europea e dalla Banca Mondiale, in collaborazione con le Banche Centrali locali. Allo stesso tempo i principi contabili, seppur non a livello locale (cosa che però non avviene nemmeno in Europa), sono gli Ifrs che abbiamo adottato anche noi internamente» rileva l’esperto.
Alla base di tutto, e del successo di un certo tipo di attività, possono esserci dei semplici pregiudizi? «Il micro credito continua a essere considerato da molti una forma alternativa di ‘Charity organization’, il che è quanto di più distante dalla realtà. Certo, crea sviluppo in territori che ne hanno estremo bisogno, ma offre anche margini a doppia cifra, per compensarne la complessità. Al pari del presunto stato di profonda arretratezza finanziaria di questi Paesi, che i dati smentiscono. In tempi sorprendentemente rapidi la digitalizzazione ha investito sistema finanziario e popolazione, fase che è coincisa con lo sviluppo del settore. Diversamente che l’Europa erano Paesi fino a pochi anni fa finanziariamente vergini, non devono dunque fare i conti con un passato tutto da digitalizzare, ma partono da zero, il che oltre a velocizzare comprime moltissimo i costi» sottolinea Trani.
A facilitare il processo indubbiamente anche l’età della popolazione, molto diversa da quella dei Paesi avanzati, con evidenti buoni risultati. «L’Uzbekistan è un ottimo esempio. Per ragioni politiche sino a due anni solo una minima parte della popolazione aveva accesso agli Atm, oggi è già stato perfettamente implementato. L’Armenia è invece il Paese finanziariamente più solido dell’area, gli istituti di credito devono rispettare stringenti vincoli normativi, e un Tier 1 del 35%, la Banca Centrale si è guadagnata una solida reputazione, con un tasso d’inflazione che negli ultimi 25 anni non ha mai superato il 12%, o in Romania, dove il Governatore centrale è in sella da 23 anni e non si registra un fallimento bancario da decenni. Ovviamente l’indipendenza politica dell’istituto centrale è un elemento chiave, non sempre rispettato, in Tajikistan il 12% delle banche è fallito in meno di un decennio. Ma i software bancari disponibili sul mercato sono pochi, e tra loro compatibili, il che garantisce flessibilità e facilità anche nel caso di M&A tra istituti» evidenzia il manager.
Le differenze con l’Europa non si fermano qui, e fanno quanto meno sorridere, anche considerando la stretta attualità degli ultimi mesi. «Nonostante qualche anno fa abbiamo iniziato i corsi di formazione distribuendo penne e quaderni, oggi il nostro cliente tiene regolarmente la contabilità in excel, movimenta online il conto, da cui transitano quasi tutte le operazioni in valuta. La firma elettronica è pienamente riconosciuta già da diversi anni, i privati sono bankable e dotati di conto, seppur le carte di credito siano molto rare. Solitamente anche le imprese hanno regolari conti corrente, ma altrettanto raramente viene concesso credito. I micro imprenditori sono giovani, svegli, e imparano in fretta, il che è anche un problema, capiscono i trucchi per ‘imbellettare’ i bilanci» nota Trani.
Quello che instaura con la clientela, se anche non un vero e proprio rapporto di fiducia, è sicuramente una relazione duratura, all’insegna dell’interesse reciproco, non solo di natura finanziaria. «Reportistica e analisi di bilancio sono elementi chiave per la stabilità del business, prim’ancora di arrivare al consolidamento in Lussemburgo, e la digitalizzazione spinta sta ovviamente aiutando molto. Dovendole comunque fare, forniamo al cliente una consulenza gratuita periodica analizzando i numeri, evidenziandone debolezze e problematiche. Socialmente è la componente più importante, ed è a beneficio dell’intera comunità, il cui pilastro portante è individuare il confine tra imprenditore e impresa, un messaggio molto ostico da recepire nella maggior parte dei casi. Per quanto apprezzino il servizio, e molti siano sinceramente interessati, quando il business volge al negativo perdono facilmente d’interesse. La nostra clientela si impegna però a migliorare costantemente il business, e a recepire almeno una parte delle note» sintetizza l’esperto.
Cosa dire invece del microcredito sotto un profilo di semplice investimento? «Siamo considerati un alternative e sostenibile, particolare essendo una S pura, con un tocco di E. Il fatto che il 48% dei beneficiari del nostro credito siano donne, tipico del settore, contribuisce molto in termini di S. Il settore sta vivendo una fase complessa, a causa del rialzo dei tassi d’interesse, ciononostante remuneriamo il 10% sui 24 mesi, che non è poco, per quanto è chiaro la differenza con il tasso di sconto si sia molto ridotta. In termini di raccolta dialoghiamo molto con istituzionali e Family Office europei, con il 45% del totale concentrato in Svizzera. La relativa clientela è però europea, dunque sì svizzera, ma anche inglese, tedesca, italiana e spagnola, e molto spesso di matrice imprenditoriale» prosegue Trani.
I motivi alla base dell’investimento sono dunque molteplici, sia direttamente che indirettamente. «L’imprenditore investe spesso nei nostri fondi con un obiettivo ideale, aiutare altri imprenditori a crescere in Paesi molto complessi, l’investitore vede invece una forte decorrelazione dalle altre asset class, bassa volatilità e buon rendimento, e pur nella sua illiquidità è un bond (buy and hold), con 11-24 mesi di orizzonte temporale, e una durata del portafoglio molto veloce, inferiore a 8 mesi. Come obiettivo a due anni ci siamo dati di portare Alternative fund da 300 milioni a 1 miliardo di asset, investendo al contempo molto nel business: digitalizzare quasi completamente l’acquisizione di nuova clientela, senza tagliar fuori una quota troppo importante di mercato potenziale» rileva il manager.
Quello del microcredito è senza dubbio un segmento molto particolare, all’interno di un’industria, quella finanziaria, ben variegata. Cosa c’è stato alla base della singolare scelta? «Alla radice del 2008 si trova la finanza sintetica; scoppiata la crisi ho deciso fosse il momento perfetto per un back to basic, tornare dunque a quello che mi piaceva fare, ancora nel 1997. È stata l’occasione perfetta per tornare a far credito agli imprenditori, guadagnando sul margine d’intermediazione come accadeva in Europa quattro generazioni fa presso ogni istituto. In fin dei conti era anche il motivo per cui avevo deciso di entrare nell’industria anni prima, e non per vendere prodotti di discutibile utilità» conclude Vincenzo Trani.
Ritornare alle origini, specie in un’industria andata sofisticandosi come quella finanziaria, si conferma essere dunque una possibile via. Non per tutti.
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