Il rapido e ripido aumento dei tassi d’interesse nelle economie avanzate ha sorpreso molti. Guardando alle curve dei rendimenti degli Stati Uniti dal 2010, quello che si nota è un sorprendente profilo di ‘onda anomala’ dei tassi d’interesse su tutte le scadenze, da quelli di breve termine al decennale, a partire dal 2022. Le curve degli altri Paesi del G10 seguono schemi simili, con l’eccezione del Giappone. Molte forze hanno spinto i tassi dal 2022, ma quale peso bisogna attribuirgli?
Nel 2023, il tasso di riferimento della Fed ha raggiunto il 5,5%, dopo una media di appena lo 0,5% dal 2010 al 2021, nonostante il consensus di mercato fosse nettamente contrario, era prevedibile accadesse. La Fed avrebbe dovuto aumentare i tassi fino al 6%, dovendo agire in modo aggressivo per far scendere l’inflazione e compensare i propri errori di politica, previsione e comunicazione. Al pari, si prevedeva che il tasso di riferimento della Bce avrebbe raggiunto il 4% entro la fine del 2023. Ora si prevede che il ciclo di rialzi sia terminato, a eccezione della BoE.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, tutti gli indicatori suggeriscono che il livello medio dei tassi a breve termine per il prossimo decennio rimarrà quasi certamente ben al di sopra della media dell’ultimo decennio. L’ipotesi migliore è che quelli a breve termine oscilleranno tra il 3 e il 5%. L’era del denaro facile è finita, il che contribuirà a mantenere alta ‘l’onda anomala’ dei tassi più a lungo. È utile considerare i rendimenti a lungo termine come una combinazione di tassi reali attesi a breve, inflazione attesa e premio a termine. In sostanza, i rendimenti obbligazionari a lungo termine possono essere scomposti in due parti: il livello atteso dei tassi di interesse e il premio richiesto. Entrambe le componenti variano nel tempo e non sono osservabili, per cui c’è poco accordo sulle dimensioni e sull’impatto di ciascuna componente.
Dal dibattito in corso sono emersi i seguenti dati sul premio a termine. La stima della Fed del premio a termine statunitense ha avuto una tendenza al ribasso ed è diventata addirittura negativa dagli anni Novanta fino alla metà del 2020, il che suggerisce che gran parte del calo dei rendimenti a lungo possa essere attribuito al calo del premio a termine.
Le forze secolari che guidano il calo del premio a termine sono il basso premio al rischio di inflazione e le proprietà di bene rifugio dei Treasury. Più di recente, il Qe e le politiche di forward guidance all’indomani della grande crisi finanziaria hanno spinto al ribasso i rendimenti e ridotto l’incertezza sui tassi, comprimendo ulteriormente il premio a termine.
La tendenza al ribasso del premio si è arrestata nella seconda metà del 2020 e da allora ha iniziato a salire, con una brusca accelerazione nel maggio 2023. All’inizio del 2022 si è iniziata a vedere l’improvvisa decompressione del premio dai suoi minimi, in quanto si prevedeva un forte aumento del premio per l’inflazione, un incremento della volatilità inflativa attesa e l’aggressivo ciclo di rialzi e la politica di inasprimento quantitativo. Poiché la Fed, non sola, continua a ridurre il bilancio mentre il deficit federale americano è destinato ad aumentare, è probabile che il premio a termine torni alla sua media di lungo di circa l’1,5%.
Considerando lo scenario di lungo termine, che prevede tassi statunitensi tra il 3 e il 5% e un premio a termine superiore all’1%, si prevede che i tassi d’interesse a lungo termine si aggireranno ancora a lungo tra il 4 e il 6%. Ne consegue che il costo del capitale sarà permanentemente più alto rispetto all’ultimo decennio.