Tentare, ritentare, sbagliare; energia, dedizione e passione. Sono forse questi gli ingredienti alla base di una qualunque avventura, in qualunque luogo e in qualunque tempo, indipendentemente dall’ambito dell’esercizio. Del resto, come è noto, Roma è sì stata fondata in un giorno, e si è soliti individuare nel 21 aprile 753 a.C. tale data, ma è stata poi costruita in diverse centinaia di anni, con migliaia di mani che hanno contribuito al suo sviluppo in misura più o meno sostanziale. Eppure alla base della storia di quella che per secoli sarà la potenza egemone del Mediterraneo c’era il nulla, al pari inevitabilmente all’origine di ogni cosa c’è sempre il nulla. Analogie, parallelismi, raffronti e analisi rispetto ad altri sono sempre possibili, utili e preziosi, anche soltanto quali esercizi teorici, pur nella consapevolezza che ogni caso può rivelarsi sotto la superficie molto diverso dall’altro. Non che poi la presenza di modelli già rodati riduca i rischi del progetto… un altro dato non trascurabile.
«Sono diversi gli aspetti che nel 2022 mi hanno spinto a raccogliere questa sfida, ossia guidare la neonata Banca Generali Suisse. Per la Piazza luganese costituisce sicuramente un evento storico, dopo tanti anni di quiescenza, ma anche per quella svizzera, in cui le nuove aperture dell’ultimo lustro sono state poche eccezioni, e di istituti solo ‘digitali’. Come sono solito dire il motto di questo progetto è ‘Guardiamo avanti, perché indietro non c’è niente’, con tutte le implicazioni che questo rappresenta. Avevo 53 anni, nonostante tutte le evidenti e insite difficoltà, la domanda è stata: quando mi ricapita? Sia di creare da zero una banca, sia di essere parte più che attiva in un progetto di diversificazione internazionale di un grande Gruppo finanziario europeo. La risposta è venuta da sé», esordisce così Renato Santi, Ceo di Banca Generali Suisse.
Dopo diversi anni trascorsi lontano dalla terza Piazza svizzera, equamente distribuiti tra Milano e Zurigo, già decidere di tornarvi desta quanto meno l’attenzione, a prescindere dalle intenzioni. In questo caso sono anche le circostanze molto particolari. «Disegnare da zero una banca, definendone tutti i processi, è una sfida sicuramente notevole, in cui un ruolo decisivo l’ha ricoperto dal principio il risoluto sostegno dell’azionista che ha una visione di lungo termine per il progetto. Farlo a Lugano ha un significato ancora maggiore. Per quanto non abbia mai perso il contatto, tornandovi ho trovato una Piazza meno giovane, sicuramente più orientata all’efficienza per controbilanciare il ridimensionarsi del business, in cui quindi c’è poco ricambio di personale, ma soprattutto concentrata a guardarsi indietro. Anche da qui è derivato lo sprone ad accettare questa nuova sfida sotto l’egida Generali», riflette il Ceo.
I molti nodi. Sfide ambiziose, difficoltà impegnative, grandi soddisfazioni. Almeno idealmente, a patto di chiudere il cerchio, questo dovrebbe essere il corretto iter. Evidentemente però i nodi da sciogliere in qualunque occasione sono molto probabili, oltre che frequenti. «Una delle prime difficoltà è stata trovare i collaboratori, giusti per questo genere di sfida, e per approcciare dal verso giusto il progetto. In questi casi le alternative sono due, affidare tutto a project manager e consulenti, o coinvolgere nella definizione dei processi della futura banca le stesse persone che poi dovranno implementarli. Abbiamo scelto la seconda, che in parte ha anche determinato quali profili fosse necessario trovare per primi. Un secondo capitolo altrettanto impegnativo è l’interazione con le autorità di vigilanza, dunque con Finma, con cui c’è stato uno strutturato e scrupoloso scambio di domande e risposte, come è legittimo attendersi, all’insegna di un rapporto comunque equo e molto costruttivo», nota Santi.
La principale criticità, insita nella storia di ogni start up, è però un’altra. Il non esserci nulla alle spalle. «Siamo partiti da zero, ma forti dell’expertise di un Gruppo presente in 66 Paesi e con un’azionista che negli ultimi anni ha registrato importanti risultati. È evidente che pur come start up, ci siano state delle competenze al servizio del progetto, banker di primissima qualità e bisogni di clienti anche a Lugano. Abbiamo inoltre la fortuna di ‘nascere contemporanei’, e non inutilmente ancorati al secolo scorso, comprensibile per istituti blasonati e con centinaia di anni di storia, ma che nel nostro caso non avrebbe avuto senso. Da qui la necessità di trovare il giusto equilibrio tra contemporaneità e concretezza», rileva il Ceo, attivo nella danese Saxo Bank per quasi tre anni, in qualità di responsabile svizzera, che prosegue: «Devo contestualizzare tutto a oggi, guardando però al 2030, nella consapevolezza di doverci arrivare, rispondendo alle esigenze del cliente sin da subito. Nel caso di Saxo, dove ho lavorato, il tema è sì investire in innovazione, ma anche farla percepire al cliente, rendendola tangibile, il che non è evidente».
Dei tre poli della Piazza elvetica Lugano rappresenta sicuramente quello meno vitale, e generalmente attrattivo, specie se rispetto a Zurigo e Ginevra. Sembra dunque legittimo chiedersi perché lanciare una start up proprio in Ticino. «È sicuramente una Piazza piccola, il che implica anche qualche difficoltà nel reperire i collaboratori, ma ha un ottimo potenziale, e soprattutto è vicina a Milano. Nell’iniziare un progetto importante e molto complesso la naturale tendenza è a limitare tutti quei rischi anche banali o marginali, come quello linguistico. Lugano è sicuramente un inizio, un punto da cui muovere liberamente in altre regioni, valutando di volta in volta tutte le opportunità che si presentino. Inserirsi in un hub meno dinamico e attrattivo di altri ha i suoi vantaggi, e soprattutto siamo sicuri di poter contribuire il nostro contributo nel riportare tonicità», chiarisce Santi.
Italia – Svizzera. La vicinanza con la Penisola è sempre stata la vera forza di Lugano, seppur unita ai molti atout tradizionali svizzeri. I venti contrari contestuali al cambio di paradigma del sistema bancario elvetico e mondiale non si sono però fatti desiderare negli ultimi anni, con riflessi molto negativi sugli equilibri interni della Piazza ticinese. Ma che dire della vicina Italia? «Al termine della mia lunga parentesi in Bsi, a fine 2017 mi sono spostato in una società di consulenza specializzata a Milano, dove sono rimasto qualche mese. Nel corso degli anni il Private Banking italiano è evoluto rapidamente, ed è molto simile al nostro, sia in termini di competenze che di servizio. Le distanze con le principali Piazze europee si sono ormai assottigliate di molto, anche per merito delle richieste sempre più esigenti di clienti che in precedenza avevano conosciuto il modello elvetico, e che negli anni sono tornati a casa. L’ingrediente fondamentale, seppur non esclusivo, a che il Private Banking possa prosperare è infatti la ricchezza, il benessere prodotto dal sistema Paese, e in Italia questa non è mai mancata», precisa il Ceo.
Seppur in presenza di molti problemi, in diversi casi cronici e incancreniti, il Bel Paese si conferma essere uno degli apripista per qualità della vita, tra i più longevi e benestanti al mondo, seppur evidentemente tra i peggio gestiti. «In Italia sopravvive un tessuto produttivo formato prevalentemente da piccole e medie imprese che nel corso del tempo hanno generato fortune molto importanti seppur illiquide, il consolidamento in atto ormai da tempo ha smosso molti equilibri, con l’industria finanziaria ad averne beneficiato. Rimane una certa distanza con la Svizzera soprattutto in termini di condizioni quadro, e nell’immediato è molto difficile qualcosa cambi. La Svizzera è il porto sicuro per antonomasia, e date le dimensioni del nostro mercato interno ha fatto dell’apertura internazionale la sua fortuna – non è affatto un caso che le multinazionali nascano nei Paesi molto piccoli – declinandola ad esempio anche nel Private Banking, una di quelle forze che tuttora sopravvivono, e che ancora la caratterizzano. Banca Generali vuole mettere a disposizione della sua clientela anche questa possibilità di diversificazione», evidenzia Santi.
Rispetto ai fasti del secolo scorso la Piazza ticinese è molto cambiata, tutto il contesto è radicalmente mutato, oltre evidentemente al mondo, anche tralasciando la variabile ‘Asia’ che ha completamente stravolto l’equazione. «In termini sostanziali, dunque al netto della decisiva forma, quello che un cliente cercava negli anni Novanta in Svizzera non è cambiato. Nell’ordine, fiducia, servizio e performance. A livello Core le esigenze del cliente sono sempre le stesse, le soluzioni che l’industria oggi è in grado di fornire sono certamente più sofisticate, e personalizzabili, ma non cambiano nella sostanza. Il rapporto che si ha con il patrimonio è rimasto particolare come allora, è solo cambiato il cliente, o più spesso la sua anagrafe. Oggi si dà un’enfasi completamente diversa ai temi previdenziali, così come a un’indagine molto più olistica delle fortune del cliente e delle sue necessità future, che fa l’eco al grado di sofisticazione che ha raggiunto l’industria», rileva il Ceo.
Come crescere? La centralità che l’ambito previdenziale si sta rapidamente guadagnando rispecchia del resto i significativi cambiamenti della popolazione del Vecchio Continente, e di come questa ‘seconda giovinezza’ debba essere gestita e pianificata. Da qui il ruolo ritagliatosi dall’industria negli ultimi anni. «Le Casse pensione svizzere hanno in pancia circa mille miliardi di franchi, e nell’arco dei prossimi anni un numero impressionante di Baby boomer uscirà dal mondo del lavoro. Già solo questa è un’opportunità di raccolta incredibile per il sistema bancario, si tratta di capitali ingenti, frutto di un lungo e importante percorso professionale, che devono essere investiti da specialisti per consentire ai beneficiari di godere di una rendita adeguata, e al tempo stesso preservare il capitale, la sfida principale. La nuova parola chiave dei prossimi anni sarà ‘protezione del patrimonio’, con tutto quello che questa implica, anche in termini di mentalità del cliente, che smette improvvisamente di produrre ricchezza, ma si trova nella situazione di doverla amministrare o erodere, senza farsi prendere dal panico», prosegue Santi.
Ammettendo che durante la vita attiva il capitale venga alimentato, e che una volta in quiescenza il processo si interrompa, salvo rendite di altra forma e dimensione, il cambio di paradigma alla base può essere effettivamente sostanziale. «Ho conosciuto imprenditori che hanno ottenuto risultati eccezionali durante la loro vita professionale, nel panico più totale a cessione dell’azienda perfezionata. Avere un patrimonio liquido e quantificabile in qualunque istante è diametralmente opposto a uno quasi interamente illiquido, gestirlo richiede competenze diverse, e delegare assume tutto un altro significato. Senza dimenticare che contestualmente a questo si inizia anche a pensare alla generazione successiva, da qui il desiderio di garantirsi una rendita finanziaria senza intaccare il capitale. A cambiare deve però essere anche la mentalità della banca, se nel nostro caso nasciamo con questa consapevolezza, nel caso di altri il passaggio può rivelarsi più impegnativo. Si tratta di momenti il cui carico emotivo è molto importante, circostanze in cui a volte il ruolo del banker è semplicemente quello di esserti accanto», nota il Ceo.
Un ruolo altrettanto importante lo ha dunque anche l’alfabetizzazione finanziaria del cliente, presto dotato di cospicui capitali. Ma su questo fronte segnali incoraggianti sono comunque visibili. «Mediamente è molto migliorata, i clienti sono molto più informati e già questo di per sé è una buona notizia. Rischi e temi non sono cambiati in misura troppo importante nell’arco degli ultimi decenni, ma anche per il bombardamento mediatico che incassiamo tutti i giorni alcuni aspetti fondamentali sono oggi noti, senza che vi siano state innovazioni davvero sconvolgenti, salvo in qualche nicchia di mercato. Un cliente consapevole può apprezzare di più il valore di un consulente preparato, il servizio offerto da un istituto ben posizionato, spingendo la crescita dei migliori rispetto al mercato. Margini per crescere ci sono, si tratta di saperli intercettare, in Svizzera e fuori», chiarisce Santi.
Crescere e conquistare quote in un nuovo mercato richiede spesso operazioni straordinarie, quanto meno per accorciare i tempi, in un contesto, quello svizzero, già di suo effervescente. «Rispetto ai gestori indipendenti all’interno del Gruppo è già presente una struttura, Bg Valeur, che è la nostra piattaforma di aggregazione, entro il cui perimetro vengono fatte tutte le valutazioni del caso. Rispetto invece agli istituti bancari non è un mistero, ci siamo già dati disponibili a valutare eventuali operazioni che si giustifichino nell’ottica della strategia di espansione che abbiamo per la Svizzera. Le eventuali opportunità saranno sicuramente verificate attentamente», rileva il Ceo.
Si tratta del resto di una sfida, un progetto al cui interno ‘costruire’ è la parola d’ordine, e nel farlo valutare opportunisticamente i passi successivi, destreggiandosi con una concorrenza non solo domestica. «Il bello di avere la mia età è che a un certo punto si possono fare valutazioni, e decidere cosa si vuole fare. Il mio lavoro mi permette di usare la testa, e rimanere al passo con i tempi. Mi reputo una persona molto fortunata, ho sempre fatto quello che mi piaceva, facendo cose diverse, esplorando tutte le dimensioni del far banca, a partire dal ’94 quando ho iniziato in Bsi. Ho sempre pensato che uno spazio vuoto equivalga a uno spazio da conquistare, e di spazi vuoti sicuramente non ne mancano, anche nel nostro settore. Si tratta ora di farlo, guardando convintamente avanti», conclude Renato Santi, Ceo di Banca Generali Suisse.
A essere intrecciate a doppio filo sono una serie di sfide notevoli anche prese singolarmente, ma che con ogni probabilità segneranno il successo di quella che sin dalle origini è stata una visione: aprire una banca in una Piazza dove si è noti solo per chiuderle, in un Paese in cui indiscutibilmente non mancano, al pari dei problemi ben noti di quelle già presenti. Eppure, a patto di non guardare indietro, le opportunità restano notevoli, si tratta solo di saperle cogliere, con abilità.
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