A fine 2022, con lo sguardo rivolto all’anno successivo, le aspettative riguardanti i bond parlavano di un calo dei rendimenti e dunque di un’opportunità da cogliere. Come accade, la realtà ha però smentito le attese e nel 2023 il comparto obbligazionario ha toccato, in area euro e dollaro, nuovi rendimenti massimi. Ciò è spiegato dal fatto che ci si aspettava che le Banche Centrali – di fronte a scenari di forti rallentamenti congiunturali e anche di recessioni – avrebbero allentato la politica monetaria; invece hanno progressivamente alzato il costo del denaro, tanto che il decennale statunitense a fine 2022 remunerava circa il 3,9%; durante l’ottobre 2023 ha toccato quota 5%.
È solo negli ultimi mesi che gli effetti delle politiche monetarie hanno iniziato a concretizzarsi mitigando l’inflazione. Gli sforzi non sono stati dunque vani. Tuttavia, nel 2023 si sono creati presupposti molto importanti per l’anno prossimo. Se la forte resilienza dell’economia americana ha consentito agli Stati Uniti di scongiurare la recessione, questo non è valso per l’Europa. L’Ue sta infatti accusando più pesantemente i rialzi dei tassi e ciò è aggravato dagli impatti nefasti che l’andamento dell’economia cinese sta avendo sulla Germania. Le cifre parlano da sole: il Pil trimestrale europeo è anemico e all’orizzonte si intravvedono trimestri caratterizzati da andamenti negativi.
Questa dicotomia sarà per l’appunto determinante nel 2024. Ma cosa dire dell’azionario sino ora? Al momento di scrivere il mercato americano offre ritorni molto positivi soprattutto sulla parte tecnologica, mentre gli indici storici non sembrano tenere il passo. Per fare un confronto, sempre al momento di scrivere il Nasdaq Composite ha realizzato un +31,5%, mentre il Dow Jones è cresciuto del 3,5%. L’Euro Stoxx ha segnato +12%; lo Smi ha perso lo 0,5%. Molto positivi i Paesi ‘periferici’ dell’Unione: in Italia +23%, in Spagna +16%. A subire il rialzo dei rendimenti sono state soprattutto le Small Cap: negli Stati Uniti il Russell2000 sta perdendo oltre il 3% mentre l’indice Msci Europe Small Cap risulta, al momento, invariato.
Quale sarà il market mover? Se a Washington ci potrebbe essere un ultimo rialzo o quantomeno un mantenimento dei tassi per qualche trimestre, ci si attende invece una decisione diversa a Francoforte. È questo l’evento principe atteso: una decisione in tal senso, con la Bce a muoversi prima della Fed. È un evento mai avvenuto e che si spiega per l’appunto dalla differenza di trazione delle due economie. Gli Stati Uniti, insomma, hanno ancora margini di manovra per una politica monetaria restrittiva: l’Ue dovrà probabilmente agire per andare in soccorso ad un’economia in difficoltà.
Se la forte resilienza dell’economia americana ha consentito agli Stati Uniti di scongiurare la recessione, questo non è valso per l’Europa. L’Ue sta infatti accusando più pesantemente i rialzi dei tassi e ciò è aggravato dagli impatti nefasti che l’andamento dell’economia cinese sta avendo sulla Germania. Le cifre parlano da sole: il Pil trimestrale europeo è anemico e all’orizzonte si intravvedono trimestri caratterizzati da andamenti negativi
In un tale scenario, i bond sono da favorire all’interno dei portafogli, con un occhio particolare su quelli europei. È pur vero che storicamente l’azione della Fed influenza i bond europei; sarà interessante capire se e come l’eventuale sforbiciata della Bce modificherà la correlazione tra rendimenti americani e quelli europei. In tale contesto saranno da favorire bond di alta qualità (Ig) escludendo per il momento società dal bilancio poco solido (Hy) che, chiamate nel 2024 e nel 2025 a rifinanziarsi a un costo ben più alto, potrebbero accusare il colpo. Potrà risultare favorito anche il mercato elvetico, che dovrebbe replicare quello europeo; con la parte più interessante della curva dei rendimenti che si situa sui cinque anni. Sul fronte americano bisognerà osservare l’andamento dell’economia e le mosse della Fed. Occhi puntati sul 2024.