TM   Giugno/Luglio 2024

Inflazione? Ti aspetto

Per quanto l’allarme sia gradualmente rientrato, l’andamento del Cpi americano nei prossimi mesi potrebbe riservare qualche nuova sorpresa. Specie dopo novembre. Un’analisi di Fabrizio Biondo, Head of innovative and liquid alternative investments di Lemanik Invest.

Fabrizio Biondo

di Fabrizio Biondo

Senior Portfolio Manager di Lemanik Invest

L’andamento delle volatilità delle quattro principali asset class (Tassi, Cambi, Credito, Equity) evidenzia valori non fisiologici soltanto per la prima, che su un orizzonte temporale di dieci anni si trova al di sopra della prima deviazione standard positiva, guidata dalla preoccupazione monotematica della maggior parte degli investitori riguardo al trend dell’inflazione, mentre la volatilità ultra-bassa delle attività rischiose sembra riflettere una totale rilassatezza rispetto al rischio di uno sgonfiamento della domanda aggregata.

Un doppio standard consolidato, e probabilmente influenzato dallo spettro macro visibile in questa prima metà del 2024, con un’inflazione americana restia a scendere, e un contestuale piccolo recupero del manifatturiero a livello globale.

Nei prossimi 6-12 mesi dovrebbe verificarsi un ribaltamento di questa prospettiva. La resilienza dell’inflazione americana nei primi mesi del 2024 è stata infatti dovuta, da una parte, al ruolo giocato da importanti fattori di stagionalità, e dall’altra, al ritardo strutturale di alcune componenti chiave dell’indice dei prezzi.

Riguardo ai primi, va detto che le aziende tendono a concentrare gli aumenti dei prezzi praticati ai consumatori nei primi due mesi dell’anno; si stima che negli ultimi anni il 40% dell’inflazione annuale sia stato generato nel primo trimestre. Per quanto concerne le componenti in ritardo strutturale, invece, l’attenzione va concentrata essenzialmente su tre voci: shelter, premi assicurativi sui veicoli, e spese sanitarie; escludendole, il Cpi viaggerebbe già oggi sotto il 2%, mentre includendole l’inflazione complessiva resta quasi un punto e mezzo al di sopra.

Disoccupazione americana

Evoluzione del tasso di disoccupazione Usa (media mobile a 3 mesi)

Tasso disoccupazione US
Fonte: Bca research 2024. L'andamento della disoccupazione negli Stati Uniti.

La buona notizia è che tutte le tre categorie dovrebbero iniziare a decelerare, sebbene con tempi diversi. Lo shelter (pesa per il 34% dell’indice), che raggruppa tutte le voci di spesa collegate alla proprietà o all’affitto di un immobile, il tasso di inflazione continua a viaggiare a livelli molto sostenuti (intorno a +5,5%), e contribuisce al momento da solo al 94% del target di inflazione della Fed. È già in lenta discesa da mesi, e dovrebbe adesso scendere più rapidamente, essendo una fotografia ritardata dieci mesi dell’indice che misura l’inflazione dei nuovi affitti (il New Tenant Rental Index), oggi sotto l’1%.

A sua volta questo indice è fortemente correlato con l’andamento dei prezzi delle case, e dato che hanno fatto un minimo a maggio 2023, nei prossimi mesi si dovrebbe assistere a un notevole calo dello shelter, che tornando a livelli pre-pandemici (+3%), porterebbe un contributo materiale alla disinflazione.

La seconda componente più importante del Cpi americano è rappresentata dai Servizi ex Shelter (il 27% dell’indice) che sono tornati a crescere negli ultimi quattro mesi fino al +4,91%. Shelter e Servizi ex shelter contribuiscono insieme un +3,2% circa all’inflazione, ed è qui che si gioca la partita. In questa seconda crescita, la dinamica più preoccupante, un ruolo importante è stato giocato dai fattori di stagionalità e dai ritardi di indicizzazione dei premi assicurativi.

Per quanto riguarda i primi, gli aumenti dei premi vengono negoziati a lungo dalle compagnie assicurative con le autorità locali, producendo un notevole ritardo, e un incremento tipicamente concentrato nel primo trimestre, spiegando il brusco recente aggiustamento; dal momento che i prezzi dei nuovi veicoli si sono stabilizzati, e che i prezzi dell’usato sono in discesa ormai da tre anni, è probabile che la crescita dei premi si sgonfi.

Relativamente alle spese sanitarie, le aziende del settore hanno di recente iniziato ad aumentare i prezzi a un tasso superiore all’incremento dei costi. Tale crescita dei prezzi non può essere sostenuta a lungo, ma dato che l’aumento dei costi negli anni è stato molto pesante è probabile che questa dinamica abbia ancora un certo spazio; anche qui va peraltro ricordato il tema della stagionalità, che potrebbe significare un tasso di inflazione più basso nei prossimi mesi.

Tuttavia, il fattore decisivo sono i salari: al momento crescono ancora a un tasso (superiore al 4%) incompatibile con il target Fed, ma il mercato del lavoro si sta raffreddando, a giudicare dal calo continuo nell’utilizzo di lavoro temporaneo, dalla componente occupazionale dell’Ism sotto 50, dal calo del quit ratio e dalla contrazione nel numero e qualità di offerte di lavoro secondo Linkup o Indeed, e dai piani di assunzione delle Pmi, indicatori anticipatori di aumento della disoccupazione e di raffreddamento dei salari.

Dal picco il tasso di crescita è già decelerato di due punti, ma due fattori hanno evitato un calo più vistoso: l’adeguamento dei salari dei lavoratori sindacalizzati, in ritardo, portando adesso a un allineamento con i lavoratori non iscritti; oltre al fatto che le posizioni lavorative aperte restino superiori al numero dei disoccupati, sebbene in misura sempre più piccola (da un picco di quasi il 4% all’1,5 circa).

Tutto lascia presagire un aumento del tasso di disoccupazione nei prossimi mesi, che è variabile storicamente condannata a tornare inesorabilmente verso la media: dopo la Seconda guerra mondiale ogni qualvolta il tasso di disoccupazione ha iniziato ad alzarsi dal suo minimo, non è mai atterrato a un livello più basso del 6%. Cosa più importante, ogni qualvolta la media trimestrale del tasso ha superato di oltre 0,3% tale minimo, si è verificata una recessione, e il 3,9% di aprile ha superato il minimo di ciclo (3,5%) di 0,4.

Il mercato ha iniziato a parlare del rischio recessione così in anticipo, da finire con l’annoiarsi. Esiste una spiegazione semplice (con il senno di poi) al perché la recessione non sia mai arrivata: il ruolo giocato dalla politica fiscale.

Un report della Fed di New York incentrato sul ruolo dei risparmi in eccesso creati durante la pandemia, datato ottobre 2022 e aggiornato al giugno 2023 (quasi un anno fa), ne stimava il contributo al Gdp americano nella bellezza di due punti percentuali, ipotizzando che fossero ancora pari al 9% circa del reddito disponibile. Come osservato dalla stessa Fed, la differenza tra l’economia americana in crescita, e l’Europa in stagnazione, si riduceva a questo, una diversa attitudine delle famiglie rispetto ai risparmi in eccesso.

Un anno dopo, i risparmi in eccesso in Europa sono ancora lì (1,6 trilioni di euro), mentre le famiglie americane hanno continuato a spenderli, attingendo poi anche al risparmio ordinario, oggi al 3,2% rispetto alla media pre-Covid del 7,4 e ai quasi minimi degli ultimi 60 anni. Il 10% del Pil americano, ossia 2,6 trilioni, è stato già speso. Nel frattempo il credito al consumo sta diventando sempre più scarso: le insolvenze sulle carte di credito e leasing sono cresciute ai livelli del 2012; le banche rispondono razionando il credito, e offrendolo a tassi sempre più vertiginosi (sopra il 20%), quindi la domanda scende.

Il consumatore americano si trova in una tempesta perfetta, con il mercato del lavoro in deterioramento, i risparmi agli sgoccioli, e il credito sempre più inaccessibile, e questo condurrà con buona probabilità a una recessione in 6-12 mesi.

Cosa potrebbe impedirlo? Soltanto un uso ancora più spregiudicato ma improbabile della politica fiscale. Il Fondo Monetario prevede infatti una notevole stretta fiscale negli Stati Uniti nel 2024 (-1,4% del Pil), rispetto al +2% del 2023, e attende strette fiscali anche in Europa ed Emergenti, a eccezione della sola Cina.

È opinione di chi scrive che questa recessione non possa essere evitata, e che condurrà nella seconda metà dell’anno a tassi più bassi e curve inclinate positivamente in Stati Uniti ed Europa, ma anche che le probabilità che dopo novembre con un nuovo presidente la politica fiscale tiri fuori nuovi conigli dal cilindro siano molto alte. L’indisciplina fiscale americana tra metà anni Sessanta e Ottanta ha prodotto ripetute ondate di inflazione, con possibili inquietanti similitudini con il presente. Il tempo sarà galantuomo per un po’, ma l’inflazione è destinata a tornare presto la ragione di ansia principale.

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