Lo scorso 26 settembre la Banca Nazionale Svizzera (Bns) ha ridotto nuovamente il tasso di interesse di riferimento, o policy rate, portandolo all’1.00%. Il Board ha comunicato che ulteriori ribassi potrebbero essere necessari. Il nuovo Presidente, Martin Schlegel, e il suo Vice, Antoine Martin, si sono espressi riguardo la possibilità che i tassi di interesse svizzeri tornino in territorio negativo come nel periodo 2014 – 2022. I banchieri centrali hanno sottolineato che questo scenario non è al momento in considerazione, ma hanno detto che se le circostanze lo richiedessero potrebbe tornare d’attualità. Ciò è per certi aspetti straordinario: poco tempo dopo che la più forte fiammata inflativa degli ultimi 30 anni è stata superata lo spettro dei tassi negativi si riaffaccia…
In effetti, le previsioni di inflazione della stessa banca centrale potrebbero giustificare qualche preoccupazione. Il tasso d’inflazione annuo nel periodo fino a metà 2027 dovrebbe essere in media pari a solo lo 0.6%. Un’inflazione che rimane a lungo nella parte bassa della fascia obiettivo 0-2% perseguita dalla Banca Centrale rappresenta un rischio per la stabilità dei prezzi allo stesso modo di un’inflazione troppo alta. Le aspettative degli operatori potrebbero adeguarsi al nuovo scenario, prolungando il periodo di bassa inflazione. Partendo da un livello basso, eventuali nuovi shock avversi, come una recessione o un forte apprezzamento del tasso di cambio del franco, potrebbero più facilmente portare a una situazione in cui i prezzi al consumo calano in modo diffuso, la cosiddetta deflazione.
In questa particolare situazione, l’economia avrebbe grandi difficoltà a riprendersi. Il calo dei prezzi e l’attesa che questo continui potrebbe spingere i consumatori a rimandare gli acquisti, deprimendo ulteriormente l’attività economica. Inoltre, il peso del debito in termini reali aumenterebbe e con esso il rischio di maggiori insolvenze. Le difficoltà del settore bancario renderebbero più difficoltoso l’accesso al credito, andando di nuovo a deprimere l’attività economica.
In tale contesto l’efficacia della politica monetaria a stimolare l’economia sarebbe seriamente compromessa, come è ad esempio successo in Giappone per buona parte degli ultimi 30 anni. Per ridurre tale rischio, o combatterne gli effetti, la Banca Centrale potrebbe essere di nuovo costretta ad applicare dei tassi negativi.
Ma quanto è elevato il rischio che ciò accada nel prossimo futuro? In breve, la risposta è: non molto. Infatti, il calo dell’inflazione previsto nel 2025 è in larga parte dovuto all’esaurirsi degli effetti dell’aumento di 0,4 punti percentuali dell’aliquota Iva del gennaio 2024 e al calo dei prezzi dell’elettricità a partire da gennaio 2025. Questi shock difficilmente si ripeteranno negli anni successivi – anzi nel 2026 l’aliquota Iva potrebbe aumentare per finanziare la 13esima Avs confermata dal popolo a marzo. Il calo dell’inflazione potrebbe quindi essere meno duraturo di quanto previsto dalla Bns.
Inoltre, il calo del prezzo dell’elettricità, così come quello dei carburanti e del gas per il riscaldamento registrato già dalla primavera del 2024, liberano risorse a vantaggio della spesa in altri beni e servizi e della crescita economica in generale.
In conclusione, pare rassicurante, oltre che corretto, che i nuovi vertici della Bns non escludano nessuno scenario e si dicano pronti ad utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per garantire la stabilità dei prezzi. Al tempo stesso, il ricorso a misure estreme come i tassi di interesse negativi non dovrebbe essere necessario in assenza di nuovi shock avversi.
© Riproduzione riservata