TM   Settembre 2023

Il ritardo energetico

Nonostante gli sforzi profusi, la guerra in Ucraina ha aggravato i problemi riguardanti le tempistiche della transizione verso energie verdi in atto da diversi anni.

Luca Henzen

di Luca Henzen

Derivatives Analyst Cio di Ubs Global Wealth Management

Subito prima dell’estate è stato pubblicato il rapporto Statistical Review of World Energy 2022 che è riconosciuto come la fotografia più autorevole dell’industria dell’energia a livello mondiale. I dati che presenta sono impietosi: si è molto in ritardo per quanto riguarda la transizione energetica e, anzi, probabilmente causa la guerra in Ucraina ci sono stati dei passi indietro.  

La domanda di energia è continuata a salire raggiungendo un nuovo massimo, in parte spinta dall’accelerazione della mobilità a esclusione della Cina, che è uscita dalle restrizioni legate al Covid solo alla fine dello scorso anno. Si consuma sempre più energia, ormai il triplo rispetto agli anni Settanta, e si produce quindi sempre più anidride carbonica, solo nel 2022 l’incremento annuo è stato quasi dell’1%, consegnando un ulteriore preoccupante record.

Se ci si concentra sullo scorso anno, quasi tutto l’incremento è venuto da tre Paesi: Stati Uniti, Indonesia e India – gli stessi Paesi che, insieme al Messico, hanno incrementato maggiormente le emissioni di anidride carbonica. L’Unione Europea, per via della delocalizzazione di alcuni processi produttivi e probabilmente grazie anche agli sforzi fatti sull’efficienza energetica, ha invece registrato una piccola contrazione dei consumi.

Ubs, grafico variazione annua del consumo di energia primaria
Se da un lato garantire un affidabile approvvigionamento energetico resta complicato, dall’altro la forte variabilità dei consumi anno su anno pone diversi interrogativi sul come farlo.

 

I combustibili fossili sono ancora dominanti, rappresentando ben l’82% della produzione di energia. La domanda di petrolio e carbone, il più inquinante tra i combustibili fossili, è aumentata ulteriormente sfiorando i massimi storici mentre è diminuita la domanda di gas (anche per via del conflitto in Ucraina e delle sanzioni nei confronti della Russia) e nucleare. A livello globale, il carbone purtroppo rappresenta il 35% della produzione di energia elettrica, ci si trova quindi ancora davvero molto indietro. La domanda di energia proveniente da fonti rinnovabili continua a crescere e, in valori assoluti, l’incremento non è così lontano da quello registrato dal petrolio. Infatti hanno registrato un aumento del 13% coerentemente ai tassi di crescita registrati nell’ultimo decennio. 

La produzione di energia elettrica da rinnovabili è sempre più rilevante, rappresenta ormai quasi un terzo del totale, la più rilevante a oggi è l’idroelettrico seguito da fotovoltaico e dall’eolico. Ulteriori passi avanti potrebbero essere fatti grazie a batterie, e miglior capacità di accumulo per risolvere il problema dell’intermittenza, l’assenza di vento e la mancanza di sole nelle ore notturne. È interessante osservare come la Cina rappresenti il 40% della crescita delle rinnovabili, seguita a distanza dagli Stati Uniti. Purtroppo però le rinnovabili rappresentano ancora una quota marginale della produzione di energia, circa il 7,5% che è comunque un record storico e rappresenta un forte incremento rispetto all’anno precedente. Ci si aspetta che tale crescita prosegua anche in futuro. 

Molte innovazioni non hanno ancora un impiego di massa, per esempio l’idrogeno, il carbon capture (il recupero delle emissioni di Co2 provenienti da processi industriali o dalla produzione di energia) e i biocombustibili. Se si riuscissero a ridurre i costi di produzione, l’idrogeno potrebbe rimpiazzare i combustibili fossili in alcune aree come il trasporti navali, la siderurgia e la generazione di elettricità. Le società petrolifere in molti casi sono ben posizionate su questi nuovi settori avendo risorse e tecnologie.

Di questo passo, tenendo in considerazione l’aumento della popolazione mondiale, la domanda di energia potrebbe aumentare dal 30 al 50% nei prossimi trent’anni. Quindi ridurre le emissioni di anidride carbonica è assolutamente imprescindibile e per farlo occorreranno ingenti investimenti. Il ruolo dei Governi è cruciale, gli investimenti pubblici servono a tutti i livelli dalla ricerca fino alla produzione e sono un volano anche per gli investimenti privati. Gran parte della nuova domanda di energia verrà dagli Emergenti e questo ha due implicazioni: occorre essere pragmatici e a medio termine spesso occorrerà accontentarsi di sostituire il carbone con il gas; saranno necessari  investimenti ancora maggiori in infrastrutture per creare reti ancora più efficienti.

Gli Stati Uniti sono sostanzialmente indipendenti da un punto di vista energetico, tuttavia tra le iniziative approvate con l’Inflation Reduction Act sono inclusi ingenti investimenti proprio nelle energie rinnovabili, nei veicoli elettrici e nell’efficienza energetica. Il programma metterà a disposizione investimenti per 390 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni come volano per gli investimenti privati in soluzioni energetiche pulite. Il piano stabilisce un’agenda climatica che mira a ridurre le emissioni di gas serra negli Stati Uniti tra il 50 e il 52% rispetto al 2005.

Subito prima dell’estate è stato pubblicato il rapporto Statistical Review of World Energy 2022 che è riconosciuto come la fotografia più autorevole dell’industria dell’energia. I dati che presenta sono impietosi: si è molto in ritardo per quanto riguarda la transizione energetica e, anzi, a causa la guerra in Ucraina ci sono stati dei passi indietro.

Oltre a dover fare i conti con i cambiamenti climatici e recuperare il tempo perduto sulla riduzione delle emissioni, non avendo sufficienti risorse in casa, per l’Europa la strada verso l’indipendenza passa forzatamente dalle rinnovabili, dall’efficienza e dall’economia circolare. Ad oggi, l’Ue ha riproposto alcuni incentivi esistenti ma per tenere il passo di Stati Uniti e Cina probabilmente dovrà varare iniziative più ambiziose nei prossimi anni. In un contesto di deficit dei bilanci pubblici che dal prossimo anno saranno in contrazione, non è tuttavia chiaro come ciò potrà avvenire.

Come investitori, ci si deve preoccupare di investire sia nel futuro dell’energia che nel presente, perché la transizione richiederà anni. A oggi infatti, fermo restando l’obiettivo di ridurre le emissioni, non esiste un’unica tecnologia e soluzione che sia in assoluto meglio delle altre, molto dipende dalle condizioni di ogni mercato. Per abbattere le emissioni saranno necessari nuovi avanzamenti tecnologici oltre a cambiamenti infrastrutturali nei trasporti. Alla luce dell’enorme volume di finanziamenti iniziali e sovvenzioni, nei prossimi anni si dovrebbe registrare un’aggiunta di capacità energetiche rinnovabili ancora più rapida del previsto. Imprese selezionate nel settore delle tecnologie verdi offrono dunque prospettive interessanti per gli investitori sia a breve che a lungo termine. Più ad ampio raggio, le utility dovrebbero riuscire a cogliere molte opportunità derivanti dalla transizione energetica e potrebbero essere tra i beneficiari di piani governativi.

 

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