TM   Settembre 2024

Il mito d’Arcadia

Destinazione ideale di villeggiatura dei confederati, il paesaggio mediterraneo dell’odierno Ticino è stato modellato anche per aderire alla loro immagine del Sud. Fra utopia e realtà, l’arte ne fa emergere nuovi ecosistemi emotivi alla Fondazione Bally, come illustra la Direttrice Vittoria Matarrese.

di Susanna Cattaneo

Giornalista

© Andrea Rossetti. La composita opera site specific creata dal duo Ittah Yoda per questa mostra, durante circa un mese e mezzo di residenza. "AVA", 2024; "Demeter" ; "Flor", 2023; "Giovanni", 2024; "Never the same Ocean III", 2023. Courtesy of the artists & Galerie Poggi, Paris.

Quando nella seconda metà degli anni Trenta la strada carrozzabile del passo del Gottardo venne finalmente adattata alle esigenze del traffico automobilistico, affiancata anche dalla cosiddetta “autostrada viaggiante” che permetteva di caricare in coda ai treni merci che transitavano dal traforo un paio di vagoni di automobili, quel Ticino fino ad allora frequentato soprattutto da tedeschi, austriaci, milanesi e qualche britannico per la sua aria pura di mite località alpina, è diventato a pieno titolo la destinazione prediletta dai confederati. Calando sul territorio l’esotismo associato alla loro immagine mentale di località mediterranea, ne fecero il loro ‘salotto soleggiato’ (Sonnenstube). Palme e vegetazione tropicale, ville classicheggianti se non addirittura orientaleggianti, finti ruderi, colonnati, riproduzioni di sculture antiche e persino grotte artificiali. Un fake a cui la regione si è adattata non solo per convenienza economica, ma scoprendovi anche parte della propria vera identità.

La direttrice Vittoria Matarrese, curatrice dell’esposizione collettiva. © Foto Andrea Rossetti / Bally.
© Foto Andrea Rossetti. La direttrice della Fondazione Bally, Vittoria Matarrese, a Villa Heleneum.

Su questi sottili equilibri tra natura e artificio, chimera e realtà, che fondano l’utopia di un patrimonio immaginario e immemore gioca la nuova mostra della Fondazione Bally. Fedele al suo proposito di ospitare in residenza artisti che possano farsi ispirare dalla regione, dalla sua storia, dal suo paesaggio e dalla sua mitologia, portandovi a propria volta il loro mondo, la direttrice Vittoria Matarrese per la seconda esposizione collettiva dopo quella inaugurale nel 2023, ne ha invitati a Castagnola, a Villa Heleneum – a sua volta un’architettura rispecchiante questo concetto di Sud – una quindicina da tutta Europa, e oltre, ponendoli di fronte all’interrogativo di come si possa modellare un paesaggio più emotivo che geografico. Il risultato sono opere site specific che abitano la Villa interagendo con i suoi spazi: «Gli artisti sanno sempre sorprendere e questo è molto bello! Mai avrei potuto immaginare, per esempio, che nell’installazione del duo Ittah Yoda, che ha trascorso in residenza circa un mese e mezzo, la statua scolpita da Virgile Ittah, una sorta di centauro, avrebbe preso le stesse sfumature dei marmi della villa utilizzando una tecnica molto vicina a quella usata per il marmo delle chiese ticinesi. Né potevo prevedere un’interpretazione così originale del lago di Lugano, evocato da frammenti che sembrano emergere da un ricordo lontano», illustra Vittoria Matarrese, riferendosi alle due sale contigue al cuore del primo piano che il duo franco-giapponese ha trasformato in un’Arcadia nell’Arcadia con un’installazione composita, che gioca tutti gli elementi, i sensi e diverse tecniche espressive. 

«L’artista svizzera Julia Steiner, per fare un altro esempio, ha invece condotto ricerche approfondite sull’architettura della Villa scegliendo di concentrarsi su uno spazio di transizione, sfruttando pareti e soffitti per creare il trompe-l’oeil di un vortice, simile a una brezza che trasporta la vegetazione esterna all’interno dell’edificio e poi nuovamente fuori, con sottili giochi di chiaroscuro ed effetti di profondità che creano un’esperienza immersiva», descrive la Direttrice.

Non si è voluta dare priorità agli artisti ticinesi, ma non ne mancano due in mostra. In particolare colpisce l’opera collocata nel portico, accessibile anche a chi visita liberamente il parco, ribattezzata “gli occhi della Villa”: quelli di una civetta, che potrebbero però anche essere due ali, proposti da Lisa Lurati. La sua pratica si lega al mondo animale, come conferma anche la sua altra opera, al secondo piano: un enorme telo di lino con una stampa blu in cianotipia che evoca una surreale foresta.

C’è anche un celebre ticinese di adozione, che la regione l’ha dipinta e descritta tanto bene, Hermann Hesse, presente con tre acquerelli. Insieme a lui un altro nome storico, Mario Schifano con la sua Palma del 1973, pezzo forte prestato dalla Collezione Olgiati: una presenza-assenza, con la sua silhouette svuotata, perché proprio come in Ticino, anche a Los Angeles (cui fa riferimento Schifano in questa sua serie) la palma che pure ne è diventata l’emblema non era una specie autoctona, ma importata. Ben 25mila ne furono piantate solo per abbellire Hollywood in occasione delle Olimpiadi del 1932. E se proprio da questo primo settembre in Ticino è proibito vendere, regalare o importare palme di Fortune, le più diffuse, diventate troppo invasive, anche a L.A. ora che le prime arrivate cominciano ad accusare una certa età si sta pesando di rinunciare al proprio simbolo per motivi ambientali.

Di opere a carattere ecologico, che il tema ‘Arcadia’ non poteva che suggerire, se ne incontrano diverse in mostra: è il caso, per limitarsi a citare una delle interpretazioni più efficaci, delle microscopie di palme morte dell’artista franco-marocchino Mehdi-Georges Lahlou, denuncia delle conseguenze del cambiamento climatico e dello sfruttamento delle risorse naturali.

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© Andrea Rossetti. A sinistra, Mario Schifano, “Palma”, 1973. Courtesy Giancarlo e Danna Olgiati Collection, Lugano; a destra, Amy O’Neill, “Buris Grotto”, 2008. Courtesy of the artist & Collection MAMCO, Geneva.
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© Andrea Rossetti. A sinistra, Gabriel Moraes Aquino, “Negative Palm VI, 2024. Julius von Bismarck, I like the flowers (Pandanus utilis)”, small, 2023. Courtesy of the artist & Sies + Höke, Düsseldorf. Exhibition view of Arcadia, Bally Foundation, Lugano, Switzerland, 2024-2025. A destra, una selezione di cartoline della Collezione dell’Archivio Storico della Città di Lugano, 1900-1976.

Molto interessante, per calarsi nello spirito della mostra, anche il contributo dell’Archivio Storico della Città di Lugano in apertura del percorso: «Una selezione di cartoline storiche che illustra con efficacia come un territorio in origine prealpino si sia trasformato, tra il 1900 e il 1976, per incarnare una certa visione del Sud, fino a palesi fotomontaggi dove le palme vengono aggiunte per creare un’atmosfera di “Swiss Riviera”, come veniva definita in un opuscolo promozionale del 1939, alludendo alla costa francese. Ecco, il mito di Arcadia, ideale di perfezione e di equilibrio tra clima, paesaggio e art de vivre in simbiosi con la natura, mi è sembrato rappresentare con grande efficacia il paradigma a cui il Ticino ha teso sin dal primo Novecento e alla cui consolidazione, oltre ai turisti, hanno contribuito numerosi artisti e scrittori», conclude Vittoria Matarrese.

Una chicca extra muros: nella chiesetta sconsacrata di Parco San Michele, l’artista francese Maxime Rossi ha materializzato una rara orchidea albina visibile attraverso le finestrelle illuminata da una luce ultravioletta. Un omaggio a Nabokov e uno dei tasselli dell’installazione interdisciplinare, arricchita dalla realtà aumentata, che ha realizzato per Arcadia. Da scoprire e decifrare.

© Andrea Rossetti. La chiesetta di Parco San Michele che al suo interno racchiude un’opera di Maxime Rossi.

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Fondazione Bally
Arcadia
Fino al 12 gennaio 2025