Nulla dura in eterno: anche per l’immobiliare la musica è cambiata. La svolta sui tassi di interesse, quasi raddoppiati lo scorso anno, ha segnato il tramonto di un ciclo da superlativi assoluti, che sembrava ormai essersi imposto a norma sul mercato svizzero, ulteriormente corroborato dalla domanda stimolata dalla pandemia. «Sia i proprietari che i locatari sono ora costretti a sostenere costi più elevati, e anche per gli investitori, che a lungo vi hanno trovato una delle poche fonti di rendimento alternative, l’immobiliare sta perdendo attrattiva, come conferma il forte calo degli afflussi di capitale in strumenti di investimento immobiliare», sottolinea Sara Carnazzi Weber, responsabile dell’analisi politico-economica di Credit Suisse, commentando i dati del recente studio immobiliare, Svolta dei tassi versus scarsità, che interpreta sviluppi e tendenze del mercato nazionale.
Sono finiti i tempi in cui senza grandi sforzi i portafogli potevano realizzare ogni anno incrementi di valore notevoli, con rischi gestibili e alle condizioni di finanziamento più favorevoli. Con un rialzo del tasso guida della Bns che nella seduta di giugno dovrebbe raggiungere il 2%, per gli immobili da reddito non si possono escludere correzioni di valore a una o due cifre, anche se distribuite su diversi anni. «Contro il potere del rialzo dei tassi si può fare poco. Ciò significa che, nei prossimi anni, al mercato immobiliare mancherà quel vento in poppa che, fino a poco tempo fa, ovviava anche a molti errori di progettazione, commercializzazione o gestione degli immobili. A differenza dell’estero, il settore in Svizzera sta comunque dando buona prova di resilienza grazie a fattori di diverso ordine: da un lato la domanda rimane solida, dall’altro la penuria di spazio abitativo sta per ora sostenendo i prezzi di vendita, mentre sul mercato della locazione i tassi di sfitto in chiaro calo e i canoni in aumento permettono di generare maggiori guadagni, attenuando le correzioni delle valutazioni per gli immobili residenziali da reddito», osserva Sara Carnazzi Weber.
Rispetto a quanto osservato all’estero, il mercato immobiliare svizzero sta attraversando solo un processo di normalizzazione e non un’inversione di rotta. La Svizzera gode infatti di un quadro congiunturale più favorevole, in particolare per quanto riguarda l’inflazione, scongiurando impennate dei tassi pari a quelle d’oltreoceano ma anche degli altri stati europei. Al contempo la situazione sul mercato del lavoro, di pieno impiego, sostiene le finanze delle economie domestiche e anche quest’anno l’immigrazione dovrebbe movimentare la richiesta di alloggi, con un saldo di 75mila persone solo leggermente inferiore a quello del 2022.
Sempre più inaccessibile
La tenaglia dei tassi di interesse e dei prezzi in crescita esclude tuttavia sempre più potenziali interessati dall’acquisto di un’abitazione di proprietà, lontani dal soddisfare la sostenibilità calcolatoria per ottenere un credito. Se da una parte è vero che il tasso di un’ipoteca fissa a 5 anni, pur essendo schizzato al 2,7% a fine 2022 contro l’1,0% a fine 2021, rimane ben al di sotto rispetto agli standard storici (media a lungo termine del 4%), dall’altra parte considerando l’aumento dei vari costi nel loro complesso per la prima volta da 13 anni l’acquisto è diventato meno vantaggioso rispetto all’affitto. «L’esborso finanziario annuo risulta oggi superiore del 47% a quello per un oggetto paragonabile in affitto, se teniamo conto di tutte le spese correnti legate all’acquisto, dunque oltre al costo di finanziamento dell’ipoteca, le spese di manutenzione (1% del valore dell’immobile), gli aspetti fiscali (valore locativo e deduzione degli interessi sul debito), i costi di opportunità sotto forma di alternative d’investimento per il capitale proprio, rischi come quello di concentrazione o l’illiquidità a breve termine dell’immobile, ma anche le opportunità di profitto grazie a un apprezzamento a lungo termine del terreno. Si consideri che prima del periodo di bassi tassi, tra il 1993 e il 2008 il premio medio era solo del 29%», sottolinea l’analista di Credit Suisse.
Il premio di proprietà sale ai massimi vertici
Domanda in forte calo
(In)sostenibilità calcolatoria
A livello svizzero soltanto il 22% degli oggetti sul mercato è accessibile a un’economia domestica di reddito medio, anche se la situazione varia da regione a regione, meno pronunciata ad esempio in Ticino, se si esclude Lugano dove si arriva a un risicato 13%, mentre nella regione delle Tre Valli addirittura i tre quarti degli alloggi sono abbordabili. Ipotizzando un tasso di finanziamento dell’80% e un tasso calcolatorio del 5%, un’economia domestica con un reddito medio di 120mila franchi dovrebbe impegnarne il 40% per un appartamento nuovo di medie dimensioni e il 59% per un’analoga casa unifamiliare, ben al di sopra del limite abituale, pari invece a un terzo del reddito lordo.
Attenzione però: anche per gli affittuari le spese potrebbero presto aumentare, seppur a ritmo minore. Infatti, con un tasso di riferimento ipotecario all’1,5%, nel corso del 2023 i locatori potranno aumentare i canoni del 3%, a condizione che finora abbiano trasferito tutte le riduzioni ai locatari, il che accade però in meno della metà dei casi. Tuttavia molti proprietari si avvarranno del diritto di trasferire agli inquilini il 40% dell’inflazione e dell’aumento generale dei costi. Dovrebbe risultarne un incremento complessivo degli affitti esistenti del 4%, in buona parte effettivo solo nel 2024. Già quest’anno, gli inquilini i cui edifici sono riscaldati a olio o a gas dovranno farsi carico di un aumento delle spese accessorie probabilmente circa del 40%, mentre per tutti i costi dell’elettricità saliranno, in media, quasi del 30% – con grandi differenze da comune a comune.
Il sostegno della scarsità
Ancora non si intravvede però l’eccedenza di offerta che a rigor di logica dovrebbe seguire alla contrazione della domanda. «Nell’attuale contesto di mercato, il calo dell’attività di costruzione non giunge sgradito, anzi protegge da un eccessivo surplus. L’anno scorso sono stati edificati solo 11.600 appartamenti di proprietà e 6.600 unifamiliari, il 3% in meno rispetto all’anno precedente. Dal picco del 2011, la flessione è del 41%», rileva Sara Carnazzi Weber. Anche le domande di costruzione pervenute di recente indicano che il calo dell’attività edilizia continuerà nel 2024. La minor attrattività degli immobili buy-to-let, cioè affittati da privati (per cui in passato si accendeva ben un’ipoteca su cinque), potrebbe portare nel corso dell’anno a una disponibilità aggiuntiva di 1.500 abitazioni da acquistare a uso proprio, se si ipotizza un dimezzamento della loro quota.
Autorizzazioni edilizie a un minimo decennale
Sfitto, inversione di tendenza
Canoni in rapido aumento
Nel 2022 si è toccato il livello più basso nell’ultimo decennio anche nell’attività edilizia relativa alle abitazioni da locazione, con un calo record del 12% delle autorizzazioni e anche le domande presentate di recente proseguono nel solco. Sono cifre analoghe a inizio del 2000, oggi però con un saldo migratorio doppio, a 80mila arrivi, che ancora non conteggia gli oltre 60mila rifugiati ucraini.
Dalla percentuale record del 2,75% di alloggi vuoti si è passati in due anni al 2,13% (-17.300 unità) e l’offerta sul mercato si è portata dal 6 al 3,7%. L’intensificarsi degli abbonamenti alle piattaforme di ricerca conferma la pressione. «Se guardiamo la struttura di questa domanda, dopo aver registrato durante gli anni della pandemia un interesse crescente per appartamenti di grandi dimensioni siamo tornati a superfici minori. Fra tassi ipotecari e spese varie, le economie domestiche sono infatti sempre più costrette a scendere a compromessi. A livello geografico, si rispecchia nel più marcato sviluppo della domanda soprattutto nelle regioni rurali, periurbane e turistiche, grazie anche agli effetti del telelavoro», osserva l’analista di Credit Suisse.
In Ticino, dove l’offerta approfitta del ritardo sull’andamento nazionale, è in particolare la regione del Bellinzonese e Tre Valli ad avvantaggiarsene, ma anche nel Luganese si è riscontrato un aumento di appartamenti in locazione superiore alla media. Si delinea un evidente Röstigraben, con la Svizzera tedesca già ben al di sotto del valore di sfitto di lungo periodo e invece quella italiana e romanda sopra la media, addirittura con punte del 9,14% come nella regione di Mendrisio.
Sono 845mila le persone che traslocano in Svizzera ogni anno, dunque una su dieci. Under 35, soprattutto – la fascia tra i 18 e i 34 anni rappresenta il 43% degli spostamenti pur essendo solo un quinto della popolazione – e stranieri. Quando si forma una famiglia, la frequenza dei traslochi diminuisce e si cercano appartamenti e case più grandi. Se il portafoglio lo consente, la proprietà abitativa diventa l’obiettivo di molti. Ciò si riflette anche nel fatto che i 35-49enni costituiscono il gruppo di domanda più importante per le case unifamiliari. Dopo la mezza età, la disponibilità a spostarsi diminuisce ulteriormente in modo marcato, inoltre si tende a passare più frequentemente ad abitazioni più piccole. Può sorprendere che però molto raramente si esca dal circondario: solo il 28% va oltre i 10 km. Dati che non sono decorativi: per gli investitori e gli sviluppatori immobiliari, ciò significa che il 72% della domanda per un progetto abitativo proviene in media da un raggio di 10 chilometri o meno, dunque dallo stesso comune. Per valutare la domanda di spazio abitativo è quindi dirimente non solo conoscere l’intensità dei traslochi, ma anche tenere conto della struttura della popolazione nelle vicinanze di un immobile, nonché della concorrenza nell’area circostante.
Distanza media dei traslochi: solo 13 km
Sviluppo mancato
Ma come si spiega che sia sul fronte della proprietà che della locazione si sia potuti arrivare a un tale immobilismo dell’attività edilizia? Da una parte a scoraggiare sono i costi di costruzione che, per fare un esempio, nell’ottobre scorso per una nuova casa plurifamiliare superavano dell’8,7% il livello dell’anno precedente. Benché si preveda una distensione, non è da attendersi un rapido ritorno ai livelli di prezzo prepandemia. Ma questa è solo storia del passato recente. Le motivazioni sono in realtà strutturali: «A nostro avviso la principale causa è da addebitare alla pianificazione territoriale. Nel 2014 è stata varata la revisione della relativa Legge che ha reso difficili nuovi azzonamenti cercando di aumentare la densificazione verso l’interno con l’obiettivo di limitare la dispersione degli insediamenti. Sono però mancate le necessarie misure di accompagnamento. Avrebbe dovuto essere chiaro fin dall’inizio che cantoni e i comuni avrebbero avuto bisogno di anni per creare strumenti efficaci per accelerare la densificazione, che continua a scontrarsi con notevoli resistenze, sebbene goda di un ampio sostegno politico», sottolinea Sara Carnazzi Weber.
Autorizzazioni edilizie ai minimi
Favorire la densificazione
Oltre alle opposizioni sollevate da diversi attori per interessi non sempre giustificati, spesso di natura personale, c’è il problema dell’interpretazione molto rigorosa di alcune regolamentazioni, ad esempio legate all’inquinamento fonico, o dei contrasti che subentrano fra le logiche di sviluppo territoriale e la protezione della natura e del patrimonio storico, insieme alla tesaurizzazione dei terreni da costruzione. Il risultato è che si è ovunque constatato un calo delle superfici edificabili, all’8,4% a livello nazionale, rispetto al 17,6% del 2017, che vede il Ticino con una disponibilità superiore rispetto a quella di molte regioni della Svizzera tedesca.
«La Legge attuale non permette di aumentare rapidamente le riserve disponibili. La densificazione rimane l’unica via di uscita per risolvere rapidamente il trilemma politico, conciliando la libera circolazione che deve soddisfare le esigenze di forza lavoro, la pressione sugli spazi abitativi e l’imperativo di limitare la dispersione degli insediamenti. Tirate le somme, ci si sta però muovendo verso uno scenario di penuria di alloggi», afferma l’analista.
I possibili correttivi ci sono, anche se gli effetti non saranno istantanei: come indica lo studio immobiliare di Credit Suisse, che approfondice la questione, si dovrebbero adottare misure efficaci contro la tesaurizzazione dei terreni edificabili, sotto forma di tasse d’incentivazione o diritti d’acquisto; aumentare gli indici di sfruttamento e le altezze massime degli edifici nei centri urbani; proporre bonus di sfruttamento per gli edifici sostitutivi nuovi e, in parallelo, favorire la conversione di immobili per uffici, meno richiesti nel contesto postpandemico. Una riqualificazione di destinazione, quest’ultima, però non così semplice, ai sensi del diritto in materia di zonizzazione, della compatibilità dell’ubicazione con l’uso residenziale, nonché degli interventi strutturali necessari per adattare spazi, accessibilità e impianti. Il che implica alti costi di investimento, di solito oltre metà di quelli dei nuovi edifici, che si ribattono sulla reddittività. Pertanto, l’ubicazione del progetto rimane cruciale: la regola d’oro, che si conferma anche quando gli altri parametri vacillano e i tassi corrono.
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