Garbato e riflessivo come la sua pittura, Filippo Boldini ha attraversato quasi un secolo sotto traccia (1900-1989), con la modestia e la misura che contraddistinguevano la sua elegante figura. Sin dalla scelta di non frequentare l’Accademia a Brera, ma di coltivare lo studio sostanzialmente da autodidatta, intraprese un percorso appartato, inaugurato sotto il segno della sua passione per la pittura del Quattrocento toscano che aveva scoperto in un suo raro viaggio giovanile a Firenze che troverà poi un corrispettivo nella passione per Morandi e Carrà. Fiori, nature morte, figure, temi religiosi, paesaggi sono i soggetti di un pittore pascolianamente delle ‘piccole cose’: dalle opere ancora di stampo naturalistico degli anni Trenta al passaggio postidivisionista di ispirazione segantiniana, dalla fase novecentista, virata poi su un’espressività cubisteggiante, con lo sguardo a Cézanne e Braque, fino al superamento della fase analitica puntando a una progressiva stilizzazione, che mai però sconfina nell’astratto. Una maggiore notorietà arrivò nel 1959, quando la personale che Virgilio Gilardoni gli dedicò alla Casa del Negromante di Locarno gli aprì la partecipazione a mostre di pregio, anche oltre i confini regionali. Ma la sua carriera rimase appartata, come riservata fu la sua vita privata, in cui il quotidiano esercizio dell’arte non è mai venuto meno, nonostante le difficoltà economiche e la profonda frattura provocata dalla scomparsa precoce, a soli 26 anni, dell’amata figlia Annaly, colpita da una malattia degenerativa. Quella che Boldini avrebbe in seguito raggiunto non si può che descrivere, come ebbe a fare Giuseppe Curonici, come una sofferta serenità morale.
L’occasione per ricordarlo l’ha suggerita alla Pinacoteca Giovanni Züst di Rancate la segnalazione di sedici bozzetti per pittura murale di proprietà privata, realizzati da Filippo Boldini tra gli anni ’40 e ’50 per partecipare a concorsi pubblici. Si tratta di pannelli, da eseguirsi poi ad affresco, spesso dipinti su Heraklith, lana di legno compressa utilizzata di solito come isolante nelle costruzioni. Una pratica, quella dei concorsi pubblici, diffusa fra gli artisti ticinesi che vivevano in uno stato di forte precarietà nel periodo fra le due guerre, in un momento congiunturale estremamente difficile e aggravato dal ripiegamento regionalistico del territorio. Basti pensare che Boldini molto spesso poteva far affidamento solo sullo stipendio della moglie, cassiera al Supercinema di Lugano – dove peraltro si tenne la sua prima personale nel 1938. Dietro le insistenti richieste delle associazioni di categoria e in linea con quanto avveniva a livello federale, anche in Ticino venne istituito un sussidio annuo per l’incremento delle belle arti, in parte anche dettato dalla volontà di coinvolgere gli artisti nel rafforzamento dell’identità del paese attraverso opere pubbliche. I soggetti scelti, di norma non imposti, lo confermano privilegiando edificanti temi religiosi oppure scene di vita agreste o di emigrazione, attingendo ampiamente all’iconografia locale. Anche Boldini, accanto alla pittura di cavalletto, frequentò dunque i generi della pittura murale o del mosaico. Pur giungendo spesso in finale, dove veniva anche insignito con riconoscimenti pecuniari, non ottenne però quasi mai un incarico.
Si è quindi deciso di presentare per la prima volta al pubblico questo materiale praticamente inedito, affidandone lo studio a Cristina Brazzola del Museo d’arte della Svizzera italiana. Non ci si è però fermati qui. A quasi quarant’anni dalla ultima importante personale organizzata nel 1985 a Villa Malpensata e a venti dalla presentazione del fondamentale volume di Claudio Guarda, si è infatti sentita l’esigenza di sfruttare l’occasione per un’immersione più ampia nell’arte di Filippo Boldini, proponendo una selezione dai ricchi fondi donati dal pittore alle collezioni pubbliche luganesi: circa 280 dipinti e disegni che alla sua morte lasciò generosamente a Paradiso, suo Comune di nascita, e una ventina alla Città di Lugano e allo Stato, con l’integrazione di alcuni acquisti effettuati da questi ultimi. Lasciti di cui per la prima volta nel catalogo che accompagna la mostra si presenta l’inventario, del quale nello specifico si è occupata, insieme alla ricostruzione dell’elenco delle esposizioni, la direttrice della Pinacoteca Züst Mariangela Agliati Ruggia.
La mostra, curata da Alessandra Brambilla, proseguirà fino al 3 settembre e diventa così l’occasione per rivelare come, pur conducendo una vita lontana dalla mondanità, Boldini non fosse il carattere schivo e chiuso che tanti si immaginano, ma un uomo cordiale e generoso nei rapporti personali, amante delle conversazioni con i fedeli amici, scelti con cura e custodi della sua preziosa confidenza. Il suo stesso atelier apparteneva a quel viale Cassarate di Lugano su cui si affacciavano case e studi di molti altri esponenti della cultura dell’epoca, fra cui Emilio Oreste Brunati, Giuseppe Foglia, Tita Carloni, Nag Arnoldi e Giuseppe Curonici. E tante altre erano le personalità che transitavano dal suo studio e che dialogavano con lui. Malgrado la sua situazione precaria era anche generoso con i bisognosi e i giovani, che non esitava a sostenere. Per fare un solo esempio celebre, Nag Arnoldi, che era coetaneo della figlia Annaly e vicino di casa, aiutava spesso Boldini nella preparazione di colori e supporti, oltre a posare per lui, come testimonia un piccolo dipinto con dedica “In omaggio al Bambino Arnoldi – Arnaldo che gentilmente mi ha posato”.
Radunando qui diverse fra le opere – in molti casi presentate per la prima volta al pubblico – che Boldini donò in segno di tangibile ricordo ai suoi amici di penna e di pennello, viene ricostruita (in particolare nella seconda sala) la rete di rapporti personali di amicizia che nella sua lunga vita seppe intessere e nutrire con altri pittori, scultori, ma anche intellettuali, critici e scrittori, ricevendo spesso sincere attestazioni di stima e affetto che coglievano il suo grande valore di uomo e artista: insieme al già nominato Virgilio Gilardoni, Piero Bianconi, Adriano Soldini, Mario Agliati, Remo Beretta, Giorgio Orelli, Eros Bellinelli, Mario Barzaghini, Angelo e Pierre Casè, Nag Arnoldi, Giovanni Genucchi, Mario Bernasconi, Mario Moglia, Ubaldo Monico, Pietro Salati, Mario Marioni, per citare i principali.
Uno spazio speciale è poi riservato alla dolce Annaly: fra i tanti ritratti che ne realizzò, è qui esposto anche quello, del 1933, a cui il pittore era più legato e che tuttavia scelse di donare quando ancora era in vita alla Città di Lugano, non senza la sofferenza di separarsi da quello che definiva “un toc dal me cör”. Proprio accanto a lei riposa in eterno, insieme all’altrettanto amata moglie Marily, nel Cimitero monumentale di Lugano, con la lapide ornata da un mosaico da lui stesso realizzato.
© Riproduzione riservata
Per maggiori informazioni: Pinacoteca cantonale Giovanni Züst