Tanto va l’investitore al lardo, che ci lascia lo zampino? E a dipendenza degli anni quello che potrebbe lasciarci è anche molto altro, a dipendenza del contesto di mercato, e di una serie apparentemente casuale di fattori, come esperienze recenti hanno ampiamente dimostrato, qualora ve ne fosse un reale bisogno. Eppure la memoria dell’investitore, o del suo consulente, è alquanto corta, nella migliore delle ipotesi consapevolmente, tant’è che ci sono fenomeni di default multipli, e particolarmente ravvicinati nel tempo. È il caso dell’Argentina, con nove default in 200 anni di storia, e tre negli ultimi 20.
Quello del gestore è sempre stato un compito ingrato, come più di recente ha indagato la finanza comportamentale: le persone sono strane, l’Homo Oeconomicus non esiste, e di razionalità ne fa un uso assai parsimonioso, comprensibile nel caso del cliente, meno da parte del professionista. E dunque sono molti gli ossimori con cui entrambi devono convivere: sono avversi alle perdite, ma vittima spesso dell’effetto gregge, decidono istintivamente e difficilmente cambiano idea. Da ultimo, e più in generale, chiunque è convinto di essere più intelligente della media, ma dunque… la media è sbagliata?
Al tempo stesso, in passato, pur al netto di più o meno sofisticati equilibrismi ingegneristici finanziari il punto di caduta di tutto rimaneva sempre l’economia reale, dunque anche il più creativo ed esperto dei gestori, chiamato a operare le più complesse e ardite delle decisioni – come il caso del capostipite dei Rothschild durante le guerre napoleoniche? – presto o tardi si trovava confrontato con la semplice e concreta realtà del suo tempo. A prescindere dall’epoca questo non è cambiato, sino al secondo Novecento.
Risalendo ai tempi più antichi, dunque ancora in epoca classica e a Roma, pur in presenza di mercati finanziari sorprendentemente sofisticati e altamente attrezzati per far fronte alle necessità di una super potenza in costante e rapida espansione, con dunque soluzioni avanguardistiche per fronteggiare fasi tese di liquidità o volatilità non rare, l’oggetto ultimo delle decisioni d’investimento era la realtà con tutti i suoi protagonisti, cose e persone. Certo, era quasi tutto su una scala geografica molto più ridotta rispetto all’attuale, a eccezione di spedizioni commerciali nel profondo sud dell’Africa, o in estremo Oriente, il bacino del Mediterraneo rimaneva il baricentro naturale del portafoglio, ma i problemi e gli obiettivi all’ordine del giorno erano i medesimi.
Un buon gestore, o almeno il suo profilo tipo, rifletteva gli equilibri che il mondo romano aveva assimilato nei primi secoli avanti Cristo, era dunque solitamente di origine extra-italica, e appartenente alla media borghesia delle nuove province, di frequente in Oriente. Era dunque figlio di commercianti, spesso greci o siriani, o di una minoranza culturale, immigrati a Roma, il cuore pulsante del commercio del Mediterraneo allargato, ma che mantenevano solidi rapporti con le terre di origine, dove solitamente continuavano a condurre affari di varia natura. Perché? In primo luogo asimmetrie informative, aggravate dai limiti dei mezzi di comunicazione e trasporto dell’epoca, in un contesto sociopolitico molto frizzante.
I mercanti, in epoca repubblicana e imperiale, erano sempre al centro di una fitta ragnatela di relazioni e informatori, alleanze consolidate spesso da vincoli di parentela, che in linea di principio garantivano velocità e maggior sicurezza alle informazioni trasmesse da sponda a sponda (a patto il messaggio arrivasse), anticipando così il mercato rispetto allo scoppio di rivolte, sconfitte campali, morti inaspettate, in grado di sconvolgere improvvisamente il quadro politico ed economico, segnando la sorte di un sino a quel momento brillante investimento.
Problema nel problema, non tutti potevano investire in tutto, e i patrimoni dei ceti più elevati erano ciclicamente sottoposti ad accurato scrutinio, era dunque molto diffusa la pratica dei ‘presta nome’. Sulla carta l’aristocrazia era tagliata fuori da qualunque asset class offrisse una buona redditività, a esclusione del mattone, al tempo stesso doveva poter offrire garanzie sulla sostenibilità economica del suo stile di vita per mantenere seggi e cariche politiche. Da qui il ruolo del mercante di fiducia, legale rappresentante del potente senatore presso il suo banchiere, autorizzato a investire in attività lucrative ma rischiose in regioni lontane dall’Italia (di frontiera), ma a lui molto ben note.