L’indiscussa rilevanza della proprietà intellettuale come principio generale è innegabile. In una società in cui il diritto alla proprietà di beni materiali è uno dei pilastri fondanti, è logico sostenere che la difesa di un’idea sia altrettanto, se non addirittura maggiormente importante. Questo argomento può essere sostenuto considerando l’intimità e il legame personale con un bene che scaturisce direttamente dalla creatività e dalla forza del pensiero. Si potrebbe quindi affermare che un bene intellettuale sia ancor più indivisibile dal suo possessore rispetto a un oggetto materiale. Il furto di un’idea costituisce pertanto un atto estremamente grave che richiede una adeguata tutela.
Nell’era digitale, l’importanza di regolamenti protettivi in questo campo è in costante crescita. Il mondo digitale ci espone a un ambiente in cui il plagio e l’appropriazione indebita di beni intellettuali altrui sono facilitati dalla vasta disponibilità di dati presenti online. Di conseguenza, è essenziale adattare costantemente le leggi. Ciò che rende la questione ancor più complessa è la rapidità del cambiamento nell’ambito digitale. Le tecnologie evolvono in maniera sempre più veloce, richiedendo un adattamento legale altrettanto rapido che non è sempre facile vista la complessità del processo legislativo.
La Svizzera è custode di un’eredità simbolica nel campo della proprietà intellettuale, è infatti stata la culla del primo, e ancor oggi uno dei più influenti, trattati internazionali concernenti questo campo giuridico: la convenzione di Berna per le opere letterarie e artistiche. Firmata nel 1886 e sviluppatasi nel corso del secolo passato, ha posto le basi fondamentali per la protezione dei diritti d’autore che sono una branca del diritto alla proprietà intellettuale, noto più comunemente come “Copyright”. La convenzione è al giorno d’oggi sottoscritta da 181 Paesi e la sua sottoscrizione è condizione necessaria per aderire al Wto. Nella convenzione di Berna viene per esempio descritto cosa definiamo come oggetto di protezione, e quindi ‘degno’ di copyright.
Secondo legge e giurisprudenza vigenti in Svizzera, viene riconosciuto il diritto d’autore solamente alle opere create da esseri umani. Tuttavia, quando una persona si avvale di strumenti tecnologici dotati di “autonomia creativa” per ideare un’opera, diviene complesso determinare in che misura il risultato finale sia attribuibile al lavoro umano rispetto a quello della macchina utilizzata come strumento. A livello nazionale, si è già confrontato con questa tematica l’Ipi (Istituto federale della Proprietà Intellettuale) che ha ribadito il concetto chiave di ‘contributo creativo’
Un’organizzazione che si confronta con queste tematiche è la Wipo (World Intellectual Property Organisation), agenzia specializzata affiliata alle Nazioni Unite con sede a Ginevra. Essa si occupa proprio di tutelare e sviluppare i diritti nel campo della proprietà intellettuale. Tiene regolarmente le cosiddette “Wipo conversations”, ossia forum globali di incontro in cui esperti, accademici, professionisti e rappresentanti di vari ambiti espongono le loro considerazioni e condividono le loro conoscenze sulle varie questioni legate alla proprietà intellettuale.
Nei dibattiti dell’organizzazione spicca tra tutti un tema in costante trattativa, ossia il complesso ed esponenziale sviluppo del rapporto tra intelligenza artificiale e proprietà intellettuale. Parte fondamentale della discussione è infatti determinare con più chiarezza possibile l’assegnazione dell’arbitrio sui diritti d’autore tra le parti in gioco. Trattasi del software di intelligenza artificiale oppure della persona che ne ha usufruito, un’unica e oggettiva soluzione non esiste tutt’ora.
Secondo legge e giurisprudenza vigenti in Svizzera, viene riconosciuto il diritto d’autore solamente alle opere create da esseri umani. Tuttavia, quando una persona si avvale di strumenti tecnologici dotati di “autonomia creativa” per ideare un’opera, diviene complesso determinare in che misura il risultato finale sia attribuibile al lavoro umano rispetto a quello della macchina utilizzata come strumento. A livello nazionale, si è già confrontato con questa tematica l’Ipi (Istituto federale della Proprietà Intellettuale) che ha ribadito il concetto chiave di ‘contributo creativo’. Questo criterio si basa sulla valutazione del grado in cui la persona che ha utilizzato l’Ia abbia effettivamente contribuito in modo personale alla componente creativa dell’opera. Solo in presenza di tale contributo personale, l’opera può essere considerata come prodotto dell’individuo e, di conseguenza, coperta dai diritti d’autore.
È evidente che, come spesso accade nel diritto, il termine ‘creativo’ richiede una definizione più precisa. Tale definizione viene fornita mediante l’interpretazione delle norme e l’analisi della giurisprudenza, che in questo ambito risulta ancora come già detto in fase di sviluppo.
In conclusione, l’esempio concreto dei diritti d’autore legati all’Ia sottolinea l’urgente necessità di definire linee guida legali più chiare per affrontare le nuove sfide giuridiche legate all’era digitale che soddisfino le aspettative normative dei cittadini. In un mondo altamente interconnesso come quello del web, casi di questa natura coinvolgono spesso attori provenienti da diverse giurisdizioni internazionali. L’esistenza di organizzazioni internazionali come la Wipo è quindi fondamentale per facilitare lo scambio tra le legislazioni dei vari paesi che, confrontandosi poi con i singoli istituti e legislatori nazionali, contribuiscano a creare un quadro giuridico armonizzato.