Sebbene le prospettive finanziarie a breve termine sembrino meno cupe di quanto ci si aspettava all’inizio di quest’anno, è importante continuare a guardare avanti e riconoscere che il quadro economico cui devono far fronte dirigenti e investitori sta cambiando. Tre i temi cui guardare.
Transizione energetica: il cambiamento climatico sta causando la maggiore destabilizzazione economica della storia moderna. Sarà creato e distrutto valore per migliaia di miliardi di dollari per contenerlo e adeguarsi. I 369 miliardi iniziali dell’Inflation Reduction Act statunitense potrebbero divenire oltre 1.000, secondo Brookings Institution e Goldman Sachs, ma è solo una minima parte dei 175 trilioni necessari in trent’anni a completare la transizione secondo l’Agenzia internazionale dell’energia. Nonostante grandi promesse, il mondo non è per nulla in linea con l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050, con danni attesi per popolazione e imprese.
Intelligenza artificiale: i progressi esponenziali nelle capacità di generare Ia hanno stupito persino gli addetti ai lavori. Gran parte della discussione iniziale si è focalizzata sulle conseguenze sociologiche e occupazionali, ma le implicazioni economiche più importanti potrebbero riguardare le imprese che riescono a integrarla in modo efficace per migliorare l’efficienza e ridurre i costi.
Geopolitica: La globalizzazione ha reso la geopolitica più rilevante per le imprese. Dal 1997 al 2019, con l’ingresso della Cina nell’Omc nel 2001, ha favorito una bassa inflazione dei beni. Le economie emergenti hanno esportato la deflazione nei Paesi sviluppati, mentre le imprese cercavano costi più bassi e catene di fornitura complesse. I movimenti populisti, la pandemia e le tensioni tra Stati Uniti e Cina hanno bloccato questa tendenza. Invece di sganciarsi dalla Cina, ora ci si concentra sul “de-risking”. Con la Cina che esporterà 3,7 trilioni di dollari nel 2021 rispetto ai 415 miliardi di dollari del 2001, il de-risking, la resilienza della catena di approvvigionamento e l’aumento dei costi di produzione cinesi probabilmente aumenteranno l’inflazione e sposteranno la geografia della crescita futura del Pil. Prima il Covid e poi le crescenti tensioni Usa-Cina hanno fermato tale processo, lasciando chi a confrontarsi con i tentativi di un irrealistico decoupling, chi con quelli di un de-risking.
Invece di sganciarsi dalla Cina, ora ci si concentra sul “de-risking”. Con la Cina che esporterà 3,7 trilioni di dollari nel 2021 rispetto ai 415 miliardi di dollari del 2001, il de-risking, la resilienza della catena di approvvigionamento e l’aumento dei costi di produzione cinesi probabilmente aumenteranno l’inflazione e sposteranno la geografia della crescita futura del Pil
Questi tre trend rappresentano ostacoli sempre più significativi, che stanno già incidendo anche sui mercati finanziari, che a loro volta determinano il costo del capitale per le imprese e il modo in cui i loro futuri flussi di cassa vengono valutati. I canali più diretti sono:
Inflazione: la fase peggiore della crisi è probabilmente già alle spalle, ma è improbabile che l’inflazione ritorni al di sotto del livello del 2%. Ci si attende che l’effetto combinato del cambiamento delle catene globali e della transizione energetica faranno salire l’inflazione di circa 100 bp l’anno nei prossimi 5-10 anni rispetto al decennio precedente. Questa prospettiva non è allarmante, in quanto il Cpi statunitense è salito a un tasso composto dell’1,75% dal 2009 al 2019, e ciò prefigura un 2,7% circa dal 2023 al 2033. Tra il 1999 e il 2007 gli Stati Uniti avevano registrato una media del 3,2% con una crescita del Pil nominale annuo del 5,8 il che dunque implica una crescita reale sostenuta.
Spesa per interessi: un’inflazione più elevata implica un costo del finanziamento del debito nettamente più alto per imprese, consumatori e Governi. Nel caso di quest’ultimi, le conseguenze sono particolarmente significative a causa del notevole accumulo di debito durante la pandemia, il che non esclude quindi il ripetersi di una crisi dei debiti sovrani. Pesanti implicazioni si avranno anche su imprese molto indebitate, e su famiglie indebitate con mutui a tasso variabile. Aspetti positivi? Sicuramente, per tutti i risparmiatori e i prenditori a tassi d’interesse fissi, con l’inflazione attiva nell’erodere il valore del debito da rimborsare.
Valutazioni azionarie: l’altra conseguenza significativa dell’aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse sono i più alti tassi di sconto sui flussi di cassa futuri generati dalle imprese, che dovrebbero dar luogo a multipli di valutazione più bassi per le loro azioni dopo decenni. Scontare tassi più alti ha però conseguenze dirette, e al ribasso, sulle azioni di tutte quelle società che potranno generari utili solo in un lontano futuro.
Nel complesso, il prossimo decennio dovrebbe presentare diverse opportunità e sfide rispetto a quello precedente. I gestori che elaborano strategie per adeguarsi e sfruttare questi trend potrebbero raccoglierne i frutti in misura significativa.
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