Questo non sono io. È l’avvertimento con cui una persona di mia conoscenza ha pubblicato un articolo sui social media. Sopra la didascalia, in un video appare il volto a me noto dell’autore dell’articolo che illustra i servizi offerti dalla sua azienda in un insolito ‘Hochdeutsch’. Stupito, leggo l’articolo in cui il protagonista del video spiega, con dovizia di particolari, di aver prodotto il video in questione grazie a una soluzione di intelligenza artificiale generativa, a cui ha fornito la propria immagine, la voce e i testi del sito internet della sua azienda. Che meraviglia – ho pensato. Salvo, un attimo dopo, immaginare scenari futuri, tanto spettacolari quanto inquietanti. Sì, perché il mio conoscente, concentrato sulla dimostrazione di quanto la tecnologia stia evolvendo in un lasso di tempo brevissimo, si è sentito in dovere di avvertire che il protagonista del video sembra lui ma non lo è.
Il dubbio, affiorato subito dopo il mio entusiasmo iniziale, ha generato una riflessione: tante altre persone, concentrate sull’espansione delle proprie capacità oratorie e linguistiche, non avvertiranno invece che il loro video è un artefatto.
Che futuro ci attende se ciascuno di noi potrà elaborare un alter ego con conoscenze pressoché illimitate e capacità linguistiche e oratorie espanse? Cosa ne sarà del talento e del sacrificio formativo che molti di noi hanno compiuto per tanti anni della propria vita? La democratizzazione artificiosa delle competenze non rischia di portarci all’appiattimento delle capacità individuali e di conseguenza, prima o poi, all’annientamento della creatività e dell’ingegno umano così come li intendiamo oggi? In un articolo pubblicato in questo titolo, qualche mese fa, abbiamo elencato alcuni esempi che dimostrano l’uso ‘buono’ dell’intelligenza artificiale. Si tratta di casi in cui dalla capacità analitica e di elaborazione degli algoritmi, può derivare un supporto decisivo all’essere umano. Del resto, affrontando il tema della trasformazione digitale applicato all’industria, nella quinta fase della rivoluzione industriale si parla di robotica e intelligenza artificiale a supporto dell’essere umano il quale, superati i preoccupanti scenari che preconizzavano la sua sostituzione con i robot, torna a occupare la scena da protagonista coadiuvato da squadre di aiutanti digitali.
Ma cosa succede quando il presunto aiuto induce l’essere umano a rinunciare all’uso delle proprie capacità? Ammettiamo ad esempio che la guida autonoma sia più sicura di quella umana, che determinati calcoli siano più precisi, che la sicurezza in casa e sul posto di lavoro affidata alla tecnologia sia più affidabile rispetto al controllo umano e che potersi esprimere in qualsiasi idioma presente sul pianeta possa favorire la coesione tra popoli. Quante attività saremo portati a dimenticare? Quale possibilità di crescita cognitiva ci rimarrà?
Qualche anno fa si è tenuto un evento in cui, incluso tra gli organizzatori, ho assistito ad un appassionato dibattito sulla ‘singolarità tecnologica’ ovvero sul momento in cui, in un ipotetico futuro, le macchine prenderebbero il sopravvento sull’uomo. Nell’immaginario collettivo, si pensava allora a macchine senzienti che avrebbero dominato il pianeta. Scene già viste in diversi film di fantascienza. Ma il pericolo per il genere umano potrebbe essere diverso, costituito da una tecnologia da cui diventiamo sempre più dipendenti e che rischia di atrofizzare la nostra crescita cognitiva. È già successo, se pensiamo alla semplicità dei calcoli che affidiamo alla calcolatrice dei nostri smartphone.
Nel frattempo, dopo le prime discussioni nell’ambito del diritto d’autore, l’Ai generativa ha finalmente destato l’attenzione dei ‘grandi’ della terra (politici, dirigenti e pensatori) che si sono riuniti lo scorso ottobre a Bletchley Park (sede del gruppo di lavoro guidato da Alan Turing, colui che aveva decifrato la criptografia della macchina ‘Enigma’); tuttavia, non sono riusciti a sintetizzare una presa di posizione comune. La comunità tecnologica è divisa tra chi teme che l’intelligenza artificiale possa spazzare via l’umanità e chi ritiene esagerate queste paure esistenziali, riconoscendo però un pericolo più immediato rappresentato dall’eccesso di disinformazione e dalle possibili ripercussioni sulle prossime tornate elettorali. Pensandoci bene, non è però detto che le due ipotesi si escludano a vicenda.
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